Diamoci una “Mano”
Non c’è nessuna parte del corpo che come le mani siano altrettanto determinanti per realizzare i progetti del cervello. La simbiosi raggiunta da queste due parti del corpo (mani, cervello) così diverse fra loro ma anche così interdipendenti, ha del miracoloso.
Sappiamo infatti che l’uso delle mani per costruire un utensile è stato il primo passo indispensabile che gli animali (primati) hanno fatto quando è iniziato il lungo cammino che ci ha portati a diventare quello che siamo ora (umani).
Si dice che la mano possa assumere 40 milioni di posizioni diverse, è anche simbolo, serve per comunicare con gli altri, ce le stringiamo a vicenda per salutarci o per accordarci (al tempo dei nostri nonni il gesto era sufficiente a suggellare accordi anche di interesse, ora invece… e meglio lasciare perdere, come dissero i fratelli Coen “non è un paese per vecchi”).
Si gesticola per aiutare la parola, ci si tocca per significare simpatia, amore, amicizia, le mani giunte in gesto di preghiera ci aiutano ad entrare in comunicazione con Dio, l’Islam per negare la comunicazione con Dio le amputa.
Il cervello per mezzo degli occhi prima vede, poi in una frazione di secondo valuta su come intervenire manipolando per modificare una cosa, per farla diventare una cosa diversa, ed è a quel punto che intervengono le mani a cui viene ordinato di realizzare concretamente il progetto del cervello.
In cucina, prendiamo un ingrediente lo modifichiamo, cambiandone la forma, lo uniamo ad un altro ingrediente, ed ecco che abbiamo realizzato una ricetta, con la possibilità di variare sapore e sostanza, aspetto e gusto in una infinita possibilità di soluzioni, che diventano nostre variazioni e di cui ci possiamo vantare, o confrontare con gli amici.
Stiamo perdendo questo specifico uso delle mani, il processo di inversione si è fatto più marcato ed evidente a cavallo degli anni ’70 con la fuga prima dalle campagne, ma sopratutto dai mestieri manuali, il fenomeno sembra essere inarrestabile e irreversibile.
Da principio si diceva che in questo modo avremmo finito con il disimparare, dimenticando gli apprendimenti delle generazioni passate, questo sta già avvenendo, con il risultato che le generazioni future non avranno mai imparato e quindi non potranno trasmettere questi saperi, spesso considerati obsoleti e superati ai loro figli, ma superati da cosa?
Considero questa una bella domanda a cui servirebbe una risposta che tenga anche conto di dove si intenda andare, in quale direzione e per fare cosa.
Speriamo che Darwin si sia sbagliato quando ha formulato la sua teoria, altrimenti l’uomo e la donna del futuro probabilmente saranno degli esseri tutta testa, poco tronco e niente mani ne gambe, “tanto non ci serviranno” neanche per schiacciare i tasti del computer, la cui prossima generazione (peraltro già pronta) si comanderà con il pensiero. Ma noi non ci saremo, cantavano alcuni anni fa i Nomadi, ed io aggiungo “per fortuna”.
L’homo faber si sta estinguendo rapidamente e con lui si stanno perdendo abilità, talenti, maestrie, destrezze, tutti vocaboli che si usavano spesso per descrivere le abilità manuali. In campo gastronomico questo fenomeno determina inevitabilmente anche la perdita dei sapori.
Sempre più frequentemente cibi precotti e preconfezionati invadono le nostre tavole, determinando una perdita di gusto e l’insorgere di un appiattimento generale dei sapori a cui si rimedia spesso da parte dell’industria con esaltatori di sapidità e sostanze colorate per renderne invitante l’aspetto.
Progressivamente sopratutto i giovani (trentenni e quarantenni) esprimono apprezzamento per piatti (preconfezionati e/o precotti) che fino a qualche decennio fa ci si sarebbe vergognati di portare in tavola. Mi chiedo se siamo ancora in tempo per invertire questa tendenza. Vorrei fare un appello, tutti nel nostro piccolo possiamo contribuire se non ad invertire almeno a rallentare questa tendenza, e ritengo che sul mangiare ci siano tanti buoni motivi per farlo.
Nella nostra tradizione forse il piatto più semplice è il sugo al pomodoro, è appena terminata la sua raccolta, possiamo quindi usare la polpa dei nostri pomodori invece del barattolo.
La ricetta: Salsa al pomodoro.
Facciamo un soffritto con mezzo scalogno ed un piccolo peperoncino sminuzzato, appena inizia ad imbiondire aggiungiamo la polpa privata dei semi e della buccia di alcuni pomodori (100 g di polpa per persona) aggiungiamo due fettine di zenzero sbucciate, una delle quali sminuzzata con un coltello in piccolissimi pezzi, facciamo prendere il bollore, aggiustiamo di sale e facciamo cuocere per trenta minuti circa, aggiungendo quando e se serve un poco d’acqua.
Quando salteremo la pasta aggiungeremo alcune foglie di basilico sminuzzate con le mani. Possiamo usare questo sugo per condirci delle tagliatelle, in questo caso dovrà essere molto più morbido (più acquoso) dovrà invece essere più tirato se ci condiamo della pasta secca.
Lo stesso sugo lo possiamo usare (improvvisandoci) anche come base in cui ci possiamo mettere diversi tipi di pesce, meglio se di piccole dimensioni e di una unica varietà (triglie, mazzole, seppioline, spighetta spinata ecc…); alla fine aggiungiamo prezzemolo sminuzzato, ed ecco che il brodetto è pronto, o almeno una delle innumerevoli varianti che ogni paese delle coste d’Italia (isole comprese) si vanta di considerare l’unico, il migliore, la vera ricetta originale.
Ma si sa, noi italiani o siamo protagonisti o non siamo niente.