– Il 4 settembre, davanti al cimitero di Riccione, uno sventuratissimo incidente in moto ha interrotto a vita di un uomo che in vita ha dato ben oltre alla semplice amicizia… Egli si chiamava Stelvio… in tuta blu, a San Giovanni, noi tutti colleghi di lavoro e di vita lo apprezzavamo e ci rivolgevamo a lui che ci dirigeva, chiamandolo “Giuàn”, perché così ci piaceva e lui saggiamente tollerava.
Mi pare un abbaglio vedere appesa ad un chiodo la sua tuta blu ancora impregnata dagli intensi odori dei metalli che lavoravamo, tutto sembra intatto, incluso il desiderio di indossarla di colui che non è piü!
In questa società deludente e sempre più decadente, di uomini come lui c’era grande necessità. Simbolicamente se si potesse fare indossare quella tuta a certi personaggi potrebbe servire come una provvidenziale terapia, perché li farebbe accorgere che “oltre alle sale degli specchi” in cui abbondano, vanità e autocelebrazione, esiste un mondo dove vivono coloro che con impegno e sudore, mantengono vivo lo spinto positivo della vita che consiste nel “fare-vero”, senza contaminazioni ideologiche del parassitismo senza anima né corpo.
Nell’immaginaria officina dove operavamo con Stelvio e tanti altri come lui, bastava un’occhiata o un cenno per intendersi al volo e per metterci all’opera, così il lavoro “vero-positivo” veniva quotidianamente materialmente svolto.
Oggi, molto spesso, il futuro dei comuni cittadini di ogni categoria viene deciso da personaggi assai abili ad annunciare mirabolanti strategie, ma altrettanto maldestramente e svogliati nell’attuarle.
Non bastano 8 ore per ricordare l’amico scomparso in modo così tremendo… col quale abbiamo condiviso ben altro, oltre alle tante giornate di lavoro, prima di tutto vi era l’aria di intesa che si respirava in quell’officina.
Per questo motivo mi permetto di scrivere queste righe in prima persona per ricordare Stelvio, di cui conservo la figura nei miei ricordi col nome di “Giuàn”, in modo indelebile come un marchio nel mio intimo, il ché mi fa sentire quasi contento di soffrire come un cane nel ricordarlo.
Ricordo le prime note musicali di Ennio Morricone in “Giù la testa”. Ci piaceva tanto fischiettarne le note con sorriso beffardo sulle labbra, incitandoci così al massimo impegno nello svolgere i nostri lavori, con fatica… ma anche con la soddisfazione di aver dato il nostro meglio.
Che vuoto in quell’officina. Con i colleghi ammutoliti e in silenzio che stentano a farsene una ragione… ma io li immagino tutti ancora in azione anche se in sofferenza per la mancanza di “Giuàn”, ci sentiamo tanto soli, senza la sua risoluta, qualificata, robusta umana presenza con la quale ci dirigeva, oltre al lavoro c’era anche dell’altro che ci stimolava nell’amicizia. Ora nel ncordarlo, tutti noi che lo conoscevamo, nel nostro intimo proviamo una profonda tristezza per la sua prematura e tragica scomparsa.
Noi tutti, compreso Gino, stando fianco a fianco pur se non ce n’eravamo accorti, quegli anni trascorsi assieme man mano inconsapevolmente ci avevano resi come “fratelli”.
Col mio diploma da ragioniere “la meccanica” non poteva essere il mio forte, ma grazie a lui in quell’officina ho potuto assolvere ai miei compiti, questo non lo potrô mai dimenticare! Sento molto la sua mancanza dopo la sua sfortunata e prematura uscita dalla scena della vita….