Elisabetta II ha interpretato alla perfezione il ruolo di regina nei limiti di una monarchia costituzionale. Dopo il momento del lutto, molto esibito, la Gran Bretagna dovrà affrontare una transizione che potrebbe portare alla fine della monarchia.
Lutto costoso per una brava regina
È stata, sicuramente, la persona più famosa della storia. Seconda solo al Re Sole nella lunghezza del regno, Elisabetta II ha esercitato per 70 anni, negli stretti limiti di una monarchia costituzionale, un calmo potere informale che ha portato sia il Regno Unito sia i paesi dell’impero della bisnonna Vittoria dal XIX secolo al XXI ad un passo talmente impercettibile da essere accettabile anche ai più reazionari dei suoi sudditi, senza mai nascondere né un sorriso, né il fatto di voler avere una vita privata. Va anche annoverata fra le persone che hanno commesso meno errori nella sua attività professionale. Anche i più severi anti-monarchici sono pronti ad ammettere che ha sempre mantenuto una disciplina e un’autorevolezza che l’hanno resa completamente immune a critiche. Per 86 anni, dall’11 dicembre 1936 in cui divenne erede al trono in seguito all’abdicazione dello zio Edoardo, ha coperto un ruolo in cui ogni pubblica parola e ogni sussurro a portata di microfono sono stati scrutinati e sviscerati a non finire, ciononostante, ha fatto pochissimi passi falsi, mai perdendo l’occasione per stare zitta. Silenzio forse eccessivo, al punto che molti considerano proprio il suo imbarazzato mutismo dopo la tragica morte della principessa Diana il momento più nero del suo regno.
All’imperturbabile serenità di Elisabetta II, la nazione ha risposto con una pacchiana isteria, esibendo segni di dolore e lutto tanto stravaganti quanto assurdi, in una sorta di macabra gara di esibizionismo del cordoglio dove vince chi sfoggia le più eccentriche forme di condoglianze e simpatia. E colgo l’occasione per offrire ai lettori un’opportunità di valutare la loro capacità di identificare fake news con un piccolo vero/falso quiz (le risposte nei commenti): (a) una catena nazionale di supermercati ha eliminato il “beep” al self service delle casse in segno di rispetto; (b) una catena nazionale di pub ha sospeso le vendite nei distributori automatici di preservativi nei bagni maschili in segno di rispetto; (c) il consiglio comunale di una grande città ha chiuso i suoi parcheggi per biciclette in segno di rispetto; (g) tutte le partite di calcio del fine settimana scorso sono state posticipate in segno di rispetto; (e) l’associazione nazionale dentisti ha chiesto al pubblico di non lavarsi i denti durante il funerale in segno di rispetto; (f) l’aeroporto di Heathrow ha modificato l’orario di partenze e decolli per evitare le ore del funerale in segno di rispetto.
Gli inglesi sono famosi per la loro passione per mettersi in coda, ma quando la coda per l’ingresso (e immediata uscita) alla camera ardente è stata giudicata eccessiva, il governo ha imposto una pausa, creando, si presume, una coda per entrare in coda (una coda quadrata?). Più serie sono le restrizioni alle libertà individuali: una donna è stata allontanata perché ha alzato un cartello con la scritta “not my king”, e un uomo arrestato per aver urlato insulti al principe Andrea, terzogenito della regina, coinvolto in ambienti pedofili.
Il costo, monetario e non, di questo “rispetto” è immane. Quello immediato per attività specifiche per il funerale – polizia, servizi d’ordine e di vigilanza, servizi medici per il pubblico, noleggio coni stradali e transenne – è stimato tra i 5 e gli 8 milioni di sterline. Ma è una frazione del vero costo, che deve tener conto di tutte le attività produttive che vengono spiazzate dalle cerimonie. Fabbriche, scuole, uffici restano chiusi il 19 settembre, giorno del funerale, dichiarato vacanza nazionale, con la conseguente perdita di output e Pil (il fatto che i lavoratori vengano pagati anche se stanno a casa si cancella con la riduzione di profitto dei datori di lavoro). Molte altre attività che si svolgono nei giorni di vacanza, dalle visite ai parchi divertimenti, ai pranzi di famiglia al ristorante, alle serate al pub, non avverranno in segno di rispetto: la gente starà in casa a guardare la processione (anche perché le televisioni trasmetteranno poco altro, e comunque sempre in tema reale).
Il futuro della monarchia
Non è chiaro quale sarà il futuro dell’istituzione monarchica. A caldo, è difficile districare l’apparente rispetto per la monarchia della popolazione dall’ammirazione e dall’affetto per la persona che la rappresenta. Al contrario di sua madre, che durante la guerra riparava camion militari, e che, nel giorno della resa dei nazisti, assieme alla sorella minore, chiese ai genitori di poter andare anonima a mescolarsi con il pubblico nella festa nelle strade di Londra, il nuovo re non ha quel nonsoché che genera rispetto anche in chi è contrario alla monarchia. Carlo ha sempre dato l’impressione di muoversi con l’aria di chi ha l’intraducibile “sense of entitlement”: è difficile immaginare che possa mai liberarsi dell’alone di schizzinosa alterigia che lo circonda: non lo aiuteranno certamente i momenti di stizza diretti a segretari o a stilografiche. La mancanza del tocco umano potrebbe essere ignorata se Carlo III riuscirà a resistere alla tentazione di utilizzare il suo ruolo per cercare di influenzare scelte pubbliche, e attenersi invece al motto di sua madre, “non lamentarsi mai, non spiegare mai niente” (never complain, never explain). Le rare volte in cui ha lasciato sospettare cosa pensasse Elisabetta lo ha fatto con il guardaroba e l’arredamento: il caso senza dubbio più memorabile fu il disegno del cappellino con cui lesse in parlamento il programma legislativo dove “il mio governo” prometteva di completare entro l’anno il processo di divorzio dall’Unione europea: giudichi il lettore se la somiglianza con la bandiera europea sia solo nell’immaginazione dei filo-europei, desiderosi di attribuirle una preferenza europeista.
Il passato non promette bene: da principe di Galles, Carlo ha utilizzato la sua posizione per cercare di imporre al governo le sue preferenze in temi disparati come il trattamento dei tassi (i mammiferi), l’equipaggiamento dell’esercito, la gestione delle scuole statali, il finanziamento pubblico alla protezione del moro della Patagonia (il pesce Dissostichus eleginoides), la disponibilità di cure omeopatiche nel servizio sanitario pubblico, la protezione di edifici storici, senza omettere un trattamento speciale per la sua proprietà personale. Ora ha promesso che resterà fuori dalla politica e alcuni ex-premier gli credono, ma il lupo, si sa, perde il pelo ma non il vizio.
Staremo a vedere. Anche se la monarchia porta indubbi benefici al paese, dal rispetto internazionale, non solo nel Commonwealth, al reddito dovuto al turismo, al piacere personale di chi è presente quando un membro della famiglia reale partecipa alla cerimonia per l’apertura di un ospedale, di un centro culturale, di un campo di calcio in quartieri di periferia o città di provincia, davvero non scommetterei che, alla fine del secolo, Londra sarà ancora la capitale di una monarchia.
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