Tratto da il Domani
Dietro la polemica sul decreto del governo Meloni sui bonus edilizi c’è una realtà molto concreta che merita di essere spiegata. C’è un tesoro di oltre 50 miliardi di euro costituito dai crediti fiscali che si sono accumulati nei cassetti fiscali delle imprese e dei committenti del comparto edilizio. Questi crediti fiscali (per lo Stato debiti, in termini di minori entrate fiscali future) vengono cancellati in minima parte dalla mossa del governo, per il resto rimangono tali e quali, ma passeranno di mano dalle aziende edili che falliranno ai soliti avvoltoi che li acquisiranno dai fallimenti a prezzo vile. Il liquidatore di un’azienda andata a gambe all’aria perché non è riuscita a scontare in banca il suo credito fiscale venderà quello stesso credito fiscale a sconto e qualcuno comprerà a 50 o 60 una carta che gli consentirà di pagare tasse per 100.
Funziona così: a fronte di un progetto di riduzione del consumo energetico e o di miglioramento sismico di un edificio privato, l’impresa incaricata inizia a lavorare con risorse proprie o anticipate dal committente, fino a poter redigere uno stato di avanzamento lavori (Sal); per il Superbonus 110 per cento il primo Sal è quando si realizza almeno il 30 per cento dei lavori e, dunque, si può procedere alla asseverazione del professionista (una relazione tecnica ed economica di tutte le attività) e successivamente, per lo sconto in fattura o cessione del credito, a ottenere da altro professionista il “visto di conformità” e dunque vedere accreditato sul cassetto fiscale il credito di imposta dovuto, suddiviso per gli anni del suo utilizzo (per il Superbonus erano 5 anni ora 4 oppure 10 a scelta del cessionario).
Per poter trasformare questo credito di imposta in “moneta”, in un controvalore in euro, occorre venderlo a una banca o a un altro intermediario. Le banche hanno già acquistato crediti fiscali per circa 50 miliardi, che hanno utilizzato e utilizzeranno per pagare le proprie tasse per gli anni a venire. Rimangono, quindi, nei cassetti di imprese e committenti altri 50 miliardi di crediti di imposta verso il fisco, già riconosciuti validi dallo Stato. Oltre 100 miliardi di crediti di imposta sono infatti l’ultima informazione ufficiale data in Senato dal direttore generale delle Finanze Giovanni Spalletta il 2 febbraio scorso: comprendono tutto il sistema dei bonus fiscali e non solo quelli edili.
Oggi le imprese sono a corto di liquidità ma hanno i loro cassetti fiscali pieni di crediti che sono già stati bloccati dalla decretazione del governo Draghi che ha inibito la cedibilità e il frazionamento del credito, ovvero la possibilità di cedere a successivi compratori – anche privati – quote del credito fiscale riconosciuto. Cedibilità e frazionamento dell’importo del credito fiscale costituiscono un fattore essenziale per la sua gestione che altrimenti viene vanificata per l’impossibilità di monetizzarlo da parte di imprese e committenti. Stiamo parlando di una forma di moneta fiscale che ha svolto una funzione decisiva nel boom del settore edile che ha trascinato l’economia italiana negli ultimi due anni.
Questo circuito è stato a più riprese bloccato, con 26 modifiche normative al sistema dei bonus fiscali. Bloccate le aziende, si sono fermati i cantieri e i pagamenti a maestranze e fornitori: un pericoloso effetto domino sulla economia reale di famiglie e imprese. La situazione è degenerata fino al collasso attuale, con il decreto del governo Meloni che – in perfetta continuità con le politiche del governo precedente – ha tolto anche alle amministrazioni regionali e locali la possibilità di acquistare i crediti fiscali per utilizzarli come pagamento dei propri oneri fiscali e previdenziali. La provincia di Treviso aveva dato l’esempio un mese fa, acquistando da due banche locali 14.5 milioni di euro di crediti fiscali per destinarli alle proprie esigenze di pagamento di Iva e previdenza, con un risparmio stimato in 1 milione di euro. Visto il meccanismo virtuoso (un risparmio per la pubblica amministrazione e un aiuto alle imprese), a ruota avevano intrapreso questa via molte amministrazioni come, ad esempio, il comune di Ferrara. Ma il governo Meloni ha bloccato subito il meccanismo con un decreto d’urgenza che vieta alle amministrazioni locali questa possibilità.
Le argomentazioni governative si presentano ingannevoli: «I crediti fiscali sono cresciuti troppo», «Truffe per miliardi», «Debito fuori controllo». La realtà, invece, è che i 100 miliardi di crediti fiscali non sono un debito pubblico se non nella forma di minori entrate fiscali nei prossimi anni, e comunque è un debito su cui non vengono pagati interessi fino al momento in cui non maturano le minori entrate corrispondenti. E la truffe – come risulta dalla documentazione ufficiale – sono quasi tutte concentrate sul bonus facciate a causa dei mancati controlli della Agenzia delle Entrate che non si è attrezzata per le doverose verifiche, accettando supinamente fatture e comunicazioni false da ditte e da privati di cui sarebbe stato invece possibile verificare la correttezza.
Ma la circolazione e il frazionamento del credito fiscale nulla c’entra con l’ammontare del credito già riconosciuto, ovvero con il diritto acquisito dal proprietario di tali crediti. Bloccare la circolazione dei crediti fiscali li rende illiquidi per le imprese che li hanno nel cassetto e quindi può spingere al fallimento fino a 60 mila imprese e alla disoccupazione 1 milione di lavoratori diretti e dell’indotto, per non parlare delle migliaia di famiglie che si ritroveranno con casa sventrata e lavori sospesi. Ma questo “debito insostenibile per lo Stato” verrà cancellato solo in piccola parte, quella riguardante le famiglie committenti che non possono cedere il credito fiscale e non hanno un reddito sufficiente da poterne usufruire.
C’è quindi da chiedersi a chi interessa che falliscano così tanti soggetti che però portano in dote 50 miliardi di euro di crediti fiscali certi e sicuri. Sicuramente ci sono in gioco gli interessi di una certa finanza che può puntare a incamerare quei crediti fiscali a prezzo scontato. Ma anche l’interesse politico di uccidere questa forma di moneta parallela che per qualcuno ha effetti positivi sull’economia nazionale, in quanto moltiplicatore a basso costo della capacità dello stato di sostenere gli investimenti, mentre per altri, e segnatamente per la premier Giorgia Meloni, va sradicata. I bonus del governo Conte, ha detto Meloni nel suo messaggio video di domenica scorsa, «hanno praticamente generato una sorta di moneta parallela e quella moneta parallela rischia di impattare sui bilanci pubblici in modo devastante».
Il credito fiscale, vale la pena di ripeterlo, è solamente un «accetterò» dello Stato di quote di sconti sulle tasse degli anni a venire, distribuiti su un arco di più anni. Mentre nell’immediato tutto l’ammontare del credito fiscale concesso produce stimoli sull’economia reale e sulla crescita del Pil (prodotto interno lordo). Negli anni 2021 e 2022 gli incentivi all’edilizia hanno determinato la gran parte della crescita del prodotto interno, dopo la grave crisi da pandemia del 2020. E il credito d’imposta, al netto di errori e truffe, si è dimostrato uno strumento efficace di programmazione e stimolo dell’economia, finanziato con una creazione di debito nettamente inferiore a ciò che si racconta e sicuramente molto inferiore a quello prodotto dagli investimenti diretti dello stato.