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Home Economia

Cresce la produzione ma diminuscono gli occupati

Redazione di Redazione
13 Aprile 2010
in Economia
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
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‘Terza rivoluzione industriale: più consumi e meno occupazione’

L’INTERVISTA

“E’ la jobless growth. Dobbiamo passare dalla produzione dei beni industriali a quelli immateriali dei saperi. Solo così possiamo competere con cinesi e indiani”

– “Non fate patacate”. Con questa espressione molto viva, molto riminese, Stefano Zamagni, preside della facoltà di Economia e commercio dell’Università di Bologna, tra i massimi economisti mondiali, si è congedato con lo scriba alla fine dell’intervista che aveva come tema questo particolare momento economico. Quel non fare patacate si riferiva al braccio di ferro all’interno della Fondazione Cassa di Risparmio, l’ente che controlla la Cassa di Risparmio di Rimini. I concetti di Zamagni dicono che siamo in una fase di crescita con perdita dei posti di lavoro. Una terza rivoluzione industriale che si può vincere solo puntando sui saperi, abbandonando la produzione industriale per quella dei servizi.
Quanto è lontano l’uscita del tunnel della crisi?
“Per l’aspetto finanziario siamo verso la fine ed è confermato da tutti i parametri. Mentre per quanto riguarda l’occupazione non siamo affatto alla fine; andrà a crescere fino alla fine dell’anno. L’aumento della disoccupazione non deve sorprendere, ci sarebbe stata anche senza la crisi. La perdita dei posti di lavoro è stata soltanto accelerata dalla crisi, che è stata una specie di detonatore. La nostra società è in mezzo alla terza rivoluzione industriale. La crisi investe il vecchio modo di produrre, il jobless growth, cioè una crescita senza occupazione. Oggi, è possibile aumentare la produzione diminuendo la forza lavoro. In passato invece quando si produceva di più, l’occcupazione cresceva. E questa terza rivoluzione industriale è in atto da due decenni. Non è più pensabile di occupare con i vecchi metodi, ci vuole un mutamento di fase. Non è più pensabile di risolvere con le cosiddette misure keynesiane, ovvero attraverso il sostegno della domanda effettiva. Se si fa salire la domanda, salgono gli utili degli imprenditori ma la manodopera diminuisce. Queste cose le capiscono anche i bambini, ma politici ed imprenditori no”.
Professore allora Keynes non è più attuale?
“Assolutamente no. Guai a dire che non è più di moda, va soamente interpretato. Oggi, Keynes non direbbe quello che disse 70 anni fa. La terza rivoluzione industriale vuol dire anche il fenomeno della globalizzazione che non c’entra”.
Come affrontare allora questa terza rivoluzione industriale?
“Dobbiamo aumentare la produzione dei beni relazionali non soggetti alla concorrenza: turismo, sanità, educazione, cultura, servizi alla persona, agli anziani, da una parte. Dall’altra, dobbbiamo avere dei mercati pluralistici; dei mercati con dentro la classica impresa capitalistica e nuove forme come le cooperative, le sociali. Il 19 febbraio del 2009, il parlamento europeo ha votato una risoluzione legislativa dove si dice che il mercato deve essere non solo capitalistico, ma anche pluralistico. Come la politica ha bisogno del pluralismo partitico, la stessa cosa deve avvenire nelle forme delle imprese”.
Gli imprenditori hanno paura della concorrenza cinese, indiana, come affrontarla?
“Con l’innovazione e la creatività e non sul piano del costo del lavoro. Solo aumentando il livello della qualità, dei saperi, della cultura, dei beni immateriali, si possono liberare le creatività. C’è una correlazione molto forte tra cultura e qualità dei prodotti. A livello mondiale gli italiani sono i più creativi, i più innovativi, solo che qualcuno lo impedisce: la poltica, la comunità degli affari, le università. Non possiamo concorrere con i paesi emergenti cercando di inseguirli nella discesa. E’ in salita che dobbiamo vincere la sfida con loro. E per andare in salita ci vogliono fiato e muscolo. Tutte cose che abbiamo fatto con l’Umanesimo e il Rinascimento, nel ‘400 e nel ‘500”.

John Keynes
John Kyenes (1883-1946), economista inglese, la sua teoria di stimolare i consumi attraverso l’aumento della spesa pubblica soprattutto con la costruzione di opere, una nuova politica fiscale e monetaria, aiutò l’Occidente ad uscire dalla terribile crisi economica del 1929

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