Tratto da lavoce.info
DI TOMMASO FONTI, Research Assistant al SI Lab – Social Inclusion Lab all’Università Bocconi nel progetto MUSA e pre-doc al Centro Studi Luca D’Agliano.
Dinamiche demografiche, precarietà lavorativa e limitata mobilità sociale rendono difficile l’inserimento dei giovani italiani nella società. Ma investire nelle nuove generazioni contribuisce a una crescita del paese più inclusiva e sostenibile.
La vulnerabilità dei giovani
Negli ultimi decenni, dinamiche demografiche, precarietà lavorativa e limitata mobilità sociale hanno compromesso le opportunità di un’ampia parte dei giovani italiani. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Istat, nel 2022, il 47,1 per cento dei giovani tra i 18 e i 34 anni si trovava in condizioni di deprivazione, ossia non raggiungeva soglie minime di accesso a servizi/beni cruciali per il benessere, articolati in cinque diverse dimensioni: Istruzione e Lavoro, Coesione sociale, Salute, Benessere soggettivo e Territorio.
La maggiore incidenza dei fenomeni si riscontra nell’Istruzione e Lavoro, nella Coesione sociale e nel Territorio, dove la quota di giovani in condizioni di deprivazione si attesta rispettivamente al 20,3 per cento, 18,2 per cento e 14 per cento. Il livello di benessere nella dimensione Istruzione e Lavoro è legato all’iscrizione alla scuola, al possesso del diploma superiore e alla partecipazione ad attività culturali. La dimensione Coesione sociale è influenzata dai legami interpersonali e dalla partecipazione politica, mentre la dimensione Territorio dipende dal rapporto con l’ambiente ma anche dalla difficoltà a raggiungere i servizi (vedi la tabella a pagina 45 del rapporto Istat).
La situazione dei giovani lontani dalla scuola e dal lavoro
La presenza significativa in Italia di giovani Neet (Not in employment, education or training) è strettamente collegata alla loro vulnerabilità nella dimensione Istruzione e Lavoro. Nel 2022, si trovavano in questa condizione quasi 1,7 milioni di persone tra i 15 e i 29 anni, con un tasso di oltre 7 punti percentuali superiore alla media europea, che è dell’11,7 per cento (figura 2). Le cause sono riconducibili alla debolezza dell’offerta formativa, alla carenza di politiche attive sul lavoro e alla staticità del mercato del lavoro italiano (rapporto Istat 2023).
Quali sono le ragioni principali di esclusione per i giovani?
Nascere da famiglie povere è il primo ostacolo per i giovani. Secondo il rapporto Istat, in Italia la trasmissione intergenerazionale delle condizioni di vita sfavorevoli è particolarmente forte. La figura 4 illustra come quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio di povertà vivevano all’età di 14 anni in una famiglia in condizioni finanziarie precarie, il dato più alto tra i paesi europei. In particolare, l’intensità del legame intergenerazionale tra le condizioni economiche dei genitori e dei figli aumenta nel nostro paese più che altrove in Europa.
In Italia, 1,4 milioni di minori crescono in contesti di povertà assoluta. Dato il legame intergenerazionale nella povertà, l’interconnessione tra le condizioni di vita dei giovani e degli adulti rappresenta una problematica che trascende l’individuo, assumendo un carattere collettivo.
Vivere in condizioni di povertà da piccoli ha effetti fortemente negativi in termini di sviluppo del capitale umano: uno studio dell’Ocse ha evidenziato che già a 5 anni, provenire da contesti familiari con uno status socio-economico più elevato si traduce in un vantaggio di 12 mesi nei livelli di alfabetizzazione, ovvero nelle capacità di lettura e scrittura che un bambino acquisisce nell’età pre-scolare (tra i 2 e i 5 anni).
Un secondo ostacolo per i giovani italiani proviene dalla minor spesa pubblica loro destinata rispetto agli altri paesi europei, sia in termini di Pil sia sulla spesa totale (rapporto Istat 2023). Come mostra il grafico nella figura 5a, non solo la spesa pubblica per istruzione in Italia è inferiore, ma a partire dagli anni Duemila è diminuita, così come è accaduto in Francia.
In termini di destinazione della spesa pubblica totale, la figura 5b mostra che l’Italia dedica alle famiglie e ai minori una quota molto più bassa rispetto ad altri paesi europei (1,2 per cento rispetto al 2,5 per cento della media europea), nonostante una spesa sociale percentualmente maggiore (33,2 per cento rispetto al 30,3 per cento). Inoltre, rispetto agli altri paesi Ocse, la spesa italiana per le politiche attive del lavoro è destinata proporzionalmente più ai sussidi che ai servizi di formazione, ostacolando lo sviluppo delle competenze necessarie ai giovani nel mercato del lavoro.
Questi fattori contribuiscono a creare un ambiente in cui i giovani trovano estrema difficoltà a essere inclusi nella società, specialmente se provengono dalle famiglie più povere. Investire nelle nuove generazioni, fornendo loro le opportunità e le risorse necessarie per superare le barriere socioeconomiche, non solo favorirà il loro benessere individuale, ma contribuirà anche a una crescita economica e sociale più inclusiva e sostenibile per l’intera società italiana.
*L’autore è attualmente consigliere municipale presso il Municipio 2 di Milano.
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