Era nata in Brasile a Morrinhos, nel 1821 circa, e si chiamava Ana Maria Ribeiro da Silva, ed era figlia del mandriano Bento Ribeiro e della madre Maria Antonia. Ebbero anche altre due figlie, mentre i tre figli maschi, assieme al padre, morirono di tifo nel 1834.
La nostra Ana, eroina di questo racconto, che Giuseppe Garibaldi chiamò sempre col nome di Anita, crebbe come una ragazza alquanto emancipata, amante della natura ed anche spavalda cavallerizza e capace di difendersi.
Aveva uno zio di nome Antonio che le insegnò gli ideali di giustizia sociale in quel Brasile con un imperatore gretto e reazionario, cui le gesta di lei; in seno alla gente arretrata del suo tempo, non erano certo approvate, nemmeno da parte di sua madre che, nel 1835, il 30 agosto, quando aveva solo 14 anni, la costrinse a sposarsi con un uomo più anziano (tale Manuel Duarte, un calzolaio reazionario e conservatore), perché mettesse giudizio.
Ed è proprio nel 1835 che in Brasile scoppiò la rivolta, cosiddetta “degli straccioni”. E questa sommossa popolare riscosse tutto il consenso di Anita che nel suo animo pensò subito di potere lei, riproporre quelle gesta.
Quattro anni dopo, quando i rivoluzionari conquistarono momentaneamente la città di Laguna, lei fu tra costoro e fu in questa occasione, nel luglio 1939, che vide per la prima volta Giuseppe Garibaldi, anche lui presente con i rivoluzionari cui era giunto dall’Italia nel 1836, andando in America Latina per sfuggire da una condanna a morte perché in Italia aveva partecipato ai moti carbonari, iscritto alla Giovine Italia di Mazzini. Garibaldi nelle sue “MEMORIE” ricorderà intensamente quel suo primo incontro con Anita, di quel giorno e del giorno dopo, che fu un colpo di fulmine per entrambi.
Da quell’incontro iniziò la loro vita in comune, giacchè il marito di lei, dal 1838, l’aveva già abbandonata per unirsi all’esercito imperiale dell’Imperatore Pedro II.
Anita sarà sempre la compagna di Giuseppe Garibaldi e diventerà la madre dei suoi figli, ma sarà con lui come un soldato in più, assieme agli altri per combattere anche con incarichi pericolosi.
Nel 1840 nella battaglia di Curitibanos, Anita fu fatta prigioniera ma riuscì a farsi concedere di poter cercare il marito tra i cadaveri nel campo di battaglia.
Lei, che non aveva trovato il cadavere di Garibaldi tra i morti, approfittando della disattenzione delle guardie, prese un cavallo e fuggì fino a raggiungere Garibaldi a Vacaria, nel Rio Grande do Sul.
Se teniamo conto che in questa circostanza, Anita era anche incinta, veniamo a capire che temperamento forte avesse questa donna, anzi questa ragazza, giacchè aveva solo 19 anni.
Infatti, in data 16 settembre 1840 nasce il loro primo figlio, di nome Domenico, che chiameranno sempre “Menotti” in memoria ed onore del patriota Ciro Menotti, vittima degli austriaci.
Dodici giorni dopo il parto i soldati imperiali circondarono la sua casa per catturarla, uccidendo le persone che la difendevano e lei, con il neonato in braccio, uscì da una finestra secondaria ed a cavallo raggiunse il bosco fitto che era una selva nella quale si nascose per giorni con il neonato legato al suo collo e sul petto, finchè fu trovata da Garibaldi ed i suoi compagni.
L’anno dopo, vista la insostenibile situazione brasiliana, Giuseppe ed Anita si trasferirono in Uruguay a Montevideo dove rimasero per sette anni ed ebbero i figli: Rosita nel 1843 (che purtroppo morì due anni dopo), Teresita nel 1845 e Ricciotti nel 1847.
In questi anni, per vivere, Giuseppe trasse il sostentamento dando lezione di francese e di matematica, mentre Anita arrotondava le entrate facendo la sarta. Il 26 marzo 1842 si sposarono a Montevideo dichiarando la morte del marito di Anita, del quale non si seppe più nulla.
Garibaldi ricorda nelle sue “MEMORIE” che in quel tempo stava per essere nominato quale comandante della piccola flotta militare dell’Uruguay, contro il dittatore argentino Juan Manuel de Rosa e nella battaglia di San Antonio, mentre Anita si prodigava quale infermiera da campo, Giuseppe con soli 190 uomini nello scontro armato, ebbe la vittoria contro 1500 soldati nemici.
Verso la fine del 1847 giunse dall’Italia la notizia delle rivoluzioni in Europa e del movimento che esisteva in Italia e Giuseppe ed Anita decisero di lasciare l’America e partire per l’Italia.
Per prima Anita, con i figli Teresita e Ricciotti, partì ed arrivò a Genova il 27 dicembre del 1847 ove fu accolta da una folla di 3000 persone, e da lì si spostò a Nizza dove venne ospitata dalla mamma di Garibaldi. Lui partì in aprile, con una parte della sua legione, ed il 21 giugno arrivò a Nizza, ma saputo della Prima Guerra d’Indipendenza che era in corso si portò quasi subito nel nord Italia.
Garibaldi seppe che a Roma il 9 febbraio 1849 era stata proclamata la Repubblica Romana (dopo la fuga vergognosa di Pio IX la sera del 24 novembre 1848, quando travestito da dottore, fuggì con una comoda “berlina” verso Napoli dal Borbone fino a Gaeta).
L’eroe dei due Mondi si attivò per raccogliere le forze di uomini, per andare a soccorrere Roma dal pericolo che rappresentava il nefando Napoleone III dei francesi, il quale per amicarsi il clero, nella notte tra il 21 ed il 22 aprile, fece salpare da Tolosa 17 navi da guerra al comando del Generale Oudinot con 6000 uomini diretti a Civitavecchia contro la Repubblica Romana.
Garibaldi con una guarnigione di 1200 uomini arrivò a Roma il 26 aprile dopo che il governo repubblicano lo aveva nominato Generale di Brigata il 23 aprile.
Nella battaglia del 30 aprile, a Porta San Pancrazio, Garibaldi al comando dei suoi patrioti, vinse questo primo scontro ed umiliò gli spavaldi francesi (vedasi allo scopo il mio libro con il breve saggio sul Risorgimento, volume II – dal 1848 al 1859 – Edito da La Piazza 2018, da pagina 52 a pagina 94).
Invece nella battaglia del secondo prevedibile scontro per la difesa della Repubblica Romana, cui le forze soverchianti francesi avranno tristemente ragione sui patrioti difensori, Anita pur essendo incinta di quattro mesi, lasciò i figli a Nizza alla cura della mamma di Giuseppe per correre a Roma dove giunse il 26 giugno e Garibaldi nel presentarla agli altri disse: “Questa è Anita ora avremo un soldato in più”.
Dopo il disastro del 30 giugno con la perdita di valorosi patrioti, il Generale Garibaldi con la colonna dei garibaldini, uscì da Roma la sera del 2 luglio.
Questa colonna era costituita dai superstiti del Battaglione Medici, dai Lancieri di Masina, dai resti della Legione Italiana e della Legione Polacca, oltre a frange residue di combattenti isolati.
Più di un esercito dava la caccia alla colonna in marcia forzata. Due reparti francesi, più truppe borboniche l’inseguivano. A Rieti gli spagnoli si preparavano a sbarrare la strada ai garibaldini mentre gli austriaci cercavano di ostruire il percorso sulle alture appenniniche.
La grande capacità militare di Garibaldi, con un susseguirsi di marce e contromarce, riusciva a farlo sfuggire agli scontri ed agli sbarramenti ma stremava i suoi uomini. L’otto di luglio giunse a Terni e vi sostò nel vano tentativo di far sollevare la popolazione che invece non aderì agli incitamenti. Decise allora di muoversi con l’intento di raggiungere Venezia che ancora difendeva la sua libertà.
Diresse la sua colonna verso la Toscana e qui vi trovò l’ostilità della gente che veniva abbondantemente informata dai prelati e dai benpensanti che i garibaldini erano delle bande feroci senza Dio quali briganti e rapinatori. Inoltre nei nuclei abitati vi erano sempre inseriti degli informatori e delle spie che rendevano mano a mano più irto di insidie il percorso. Molte, nella colonna in fuga, furono le defezioni alimentate anche dalla fame e dalla stanchezza. Tuttavia con la sua bravura di grande guerrigliero, l’eroe dei Due Mondi, riuscì sempre a sottrarsi alla cattura ed il 16 luglio passò per Montepulciano, proseguì per la Valle di Chiana riuscendo a respingere un attacco di austriaci che proveniva da Perugia, fino giungere ad Arezzo ove i reazionari del posto gli sbarrarono le porte della città. Quivi confluirono da ogni parte le milizie avversarie avuto notizie dell’arrivo della colonna garibaldina ma questa era già sfuggita dalle loro possibili grinfie.
Attraversò l’alta valle del Tevere e scese nel versante della Romagna con le file dei patrioti abbondantemente decimate, anche in conseguenza degli scontri armati con le avanguardie degli inseguitori. Giunsero così nel territorio di San Marino ove ebbero il permesso di sostare dai Capitani Reggenti e Garibaldi sciolse il suo piccolo residuo esercito lasciando liberi quei patrioti di tornare nelle loro case.
Gli austriaci che perimetravano i confini della Repubblica del Titano, richiesti dai Reggenti, parvero garantire la libertà ai legionari disarmati ed a far partire, imbarcati per l’America Garibaldi ed Anita. Questa acquiescenza destò però un sano sospetto in Garibaldi che, troppo astuto in questi frangenti già più volte incappato, sospettò un’insidia.
Pertanto nella notte tra l’ultimo giorno di luglio ed il primo di agosto si dileguò con Anita e con una parte di compagni riuscendo ad eludere le sentinelle asburgiche. Il generale austriaco che aveva il comando della città felsinea emanò un dispaccio per tutte le terre di Romagna minacciando di morte chiunque avesse aiutato quei “masnadieri sfuggiti alla galera e alla corda”.
Inseguiti dagli austriaci riuscirono ad arrivare a Cesenatico e quivi, con tredici barche, presero il largo in direzione di Venezia ma alcune ore dopo furono raggiunti da una flotta austriaca. Garibaldi con pochi altri riuscì a sfuggire alla cattura ritornando sulla costa nei pressi di Magnavacca ove fece disperdere i compagni e lui, con Anita spossata ed assalita anche da violenta febbre malarica, trovarono il patriota Gioacchino Bonnet che, nella laguna di Comacchio fuggendo di casolare in casolare, riuscì a far trovare rifugio alla piccola comitiva nella fattoria Guiccioli di Mandriole, vicino Ravenna, nella sera del 4 agosto, ove Anita morì tra le braccia del marito. Aveva soltanto 28 anni e gli aveva dato quattro figli di cui tre le sopravvissero.
Garibaldi dovette poi immediatamente fuggire di casa in casa inseguito dalle pattuglie austriache poi un sacerdote amico dei patrioti: Don Giovanni Verità lo nascose per due giorni ed attraverso la strada delle Filigore lo fece arrivare in Toscana ed ivi poté imbarcarsi per la Liguria ove con alterne peripezie poté partire esule per la seconda volta.
Purtroppo ebbero molto meno fortuna i suoi fidi patrioti che furono catturati dagli austriaci: il padre barnabita Don Ugo Bassi con il Capitano Giovanni Livraghi rifiutarono di fuggire, aiutati da alcuni patrioti romagnoli, perché convinti di non avere nulla da rimproverarsi e furono presi a Comacchio dai carabinieri pontifici ai quali non nascosero le loro identità. Questi li consegnarono agli austriaci. Il Vescovo di Bologna pubblicò una violenta accusa contro Don Ugo Bassi. Il Generale austriaco Gorzkowski, senza né interrogazioni né processo, li fece fucilare la mattina dell’8 agosto 1849.
Furono catturati e fucilati anche Angelo Brunetti detto Ciceruacchio coi suoi due figli Luigi e Lorenzo che era poco più di un bambino e così anche i patrioti Gaetano Fraternali, Paolo Bacigalussa, Francesco Laudasio, Stefano Ramorino e Lorenzo Parodi.
Il popolo bolognese sfidando ogni pericolo prese ad onorare ed infiorare la tomba di Don Ugo Bassi e del Capitano Livraghi di giorno e di notte ed allora, il potere fece riesumare e nascondere in luogo ignoto i due cadaveri.
Oggi 4 agosto 2023 a Mandrioli di Ravenna è ricordata Anita Garibaldi nel luogo in cui morì il 4 agosto 1849. Ma non solo oggi, anche negli anni precedenti, il 4 agosto è sempre stato ricordato dalla “Fondazione Ravenna Risorgimento” quella incredibile biografia, cominciata in Brasile nel 1821 e conclusasi nel ravennate in una zona lagunare, tra sabbia, specchi d’acqua e canneti, quasi simili alla terra in cui era nata.
Fu una eroina sempre a fianco del suo Giuseppe dall’America Latina all’Italia, come riportato sul quotidiano “La Repubblica” di venerdì 4 agosto 2023 a pagina 13 su “Bologna – Cultura”:
“… attraverso le tante rivolte per la libertà e l’emancipazione dei popoli oppressi Anita ha condotto una vita avventurosa. La storiografia recente l’ha finalmente affrancata dall’ombra del marito. In quest’ottica, dunque, la si ricorda oggi, anche con la proiezione del film “La versione di Anita“ di Luca Criscenti uscito a giugno che sarà proiettato alle 21 alla fattoria Guiccioli. Il documento, coproduzione italo-brasiliana col contributo di Emilia – Romagna Film Commission, racconta la sua figura interpretata dall’attrice Flaminia Cuzzoli, “in continuo rimando tra passato e presente”, spiega il regista. Girato in quel lembo di Romagna fino a Comacchio, Goro e Cesenatico, oltre che Genova, Nizza, Porto Alegre e Montevideo, il film ha una tappa anche bolognese. “All’Archivio di Stato dove è ancora oggi custodito il documento ufficiale del ritrovamento del suo cadavere nel 1849”, prosegue Criscenti.
Le celebrazioni cominciano però alle 17,00, introdotte da Lorenzo Cottignoli, Presidente di Federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna e dal vice-sindaco Eugenio Fusignani Presidente della Fondazione Ravenna Risorgimento: una corona di fiori dove Anita è morta ad appena 28 anni per una febbre malarica, poi l’ammaina bandiera con la banda musicale Città di Ravenna ed il gruppo storico dei garibaldini.
Gran Cerimoniere della giornata sarà Roberto Balzani docente di Storia Contemporanea dell’Università di Bologna che ha un ruolo nel film. Con lui, anche la storica Silvia Cavicchioli e lo scrittore Maurizio Maggiani che ha una passione per la figura di Anita.
Fra documentario e finzione, il lavoro “è un racconto della storia di Anita moderna ed attualizzata. L’attrice, dentro la cornice narrativa di una lunga intervista radiofonica con Marino Sinibaldi, ripercorre la propria vita nei luoghi da lei toccati confrontandosi coi documenti scritti, con le immagini del cinema e dell’arte”.
A restare in controluce questa volta è Giuseppe Garibaldi, qui interpretato da Lorenzo Lavia. E’ Anita a rubare la scena, donna autonoma, volitiva e combattente.