Ricordare Arnaldo Forlani, sala della Repubblica del Teatro Rossini il 4 settembre, alle 16,30. Presente il senatore Pier Ferdinando Casini.
«Un momento solenne, per ricordare una delle figure più importanti della politica nazionale – dice il presidente del Consiglio Marco Perugini -, un leader che ha segnato la storia del Paese e della Democrazia Cristiana, un pesarese che nonostante i suoi impegni nazionali ha sempre amato profondamente la città di provenienza».
A partire dalle 16.30, dopo l’introduzione di Perugini, interverranno il sindaco di Pesaro Matteo Ricci, il coordinatore del Centro Studi Sociali “A. De Gasperi” Giorgio Girelli. A seguire sarà la volta di Pier Ferdinando Casini, senatore della Repubblica Italiana, per tanti anni al fianco dell’ex segretario della Democrazia Cristiana. Il Consiglio monotematico si concluderà con gli interventi dei consiglieri del Comune di Pesaro.
L’intervento di Giorgio Girelli
Forlani: “potere discreto”, comportamenti corretti
Rinnovo innanzitutto espressioni di profondo cordoglio ai familiari di Arnaldo Forlani e rivolgo il mio compiacimento al Comune di Pesaro per l’organizzazione di questo incontro volto a ricordare ed onorare lo statista pesarese che, come hanno scritto il sindaco Matteo Ricci ed il presidente del consiglio comunale Marco Perugini, “ha lasciato un solco profondo nel contesto istituzionale italiano”.
Convinto credente, come emerge anche da una intervista di qualche tempo fa rilasciata a Milena Gabanelli, Forlani teneva ben distinte le sfere della religione da quella della politica tanto che nel corso degli anni più volte adombrò la inopportunità del termine “cristiana” per il suo partito ritenendolo troppo impegnativo per un mondo, quello della politica, “terreno della competizione e della concorrenzialità, dove – egli diceva – le malattie sono sempre presenti”. Salvo non concordare quando la denominazione fu davvero cambiata in Partito Popolare, quale conseguenza delle cosiddette Mani pulite. Gli appariva una imposizione del momento che assumeva la veste di una smentita di tutta la positiva azione della DC nel corso della storia della cosiddetta prima repubblica.
Il rifiuto della strumentalizzazione della religione a fini politici si manifestò anche in occasione del referendum sul divorzio, rispetto al quale aveva posizioni coincidenti con quelle di Carlo Bo, val dire che sarebbe stato meglio evitarlo. E quando proprio il giorno del risultato, durante una riunione di democristiani qui a Pesaro presso la sede della Gioventù Italiana, lo raggiunse, verso le 16, una telefonata del deluso Fanfani, fu signorilmente comprensivo con il leader sconfitto, pur ribadendo che su certi temi non è consigliabile lo scontro politico.
Conseguentemente non ricercava contatti con le alte gerarchie. Per anni, nel corso della collaborazione che con lui ho avuto specie quando è stato segretario politico, il riscontro di contatti ad alto livello era frequente, inclusa la visita della coppia Gianni Agnelli e Cesare Romiti. Gli incontri con uomini di chiesa si limitavano a qualche parroco che veniva a perorare le cause della propria comunità.
Frequentava d’estate a Piobbico il cardinale Palazzini, più come conterraneo che come gerarchia vaticana. Il suo significativo apporto, comunque, alla revisione dei patti lateranensi, con l’assistenza del capo gabinetto, il compianto consigliere di Stato Ugo Gasparri, già direttore generale per gli affari di culto, è più che noto.
E quando ne aveva la possibilità non mancava il suo sostegno alla chiesa locale: allorchè risarcito dalla magistratura con dieci milioni di lire per una accusa ingiusta rivoltagli da un organo di stampa, devolse l’intero importo all’Istituto Suore missionarie della Fanciullezza per le loro opere benefiche. I rapporti con la diocesi pesarese furono sempre sereni, incluso il vescovo Borromeo, che non mancava di polemiche verso Venturi e Sabbatini. Non accettava la loro “apertura a sinistra” perché “I cattolici – mi disse, esponendomi la sua soggettiva valutazione – possono allearsi anche con il diavolo, ma questi di oggi non sono abbastanza forti per mettersi con i socialisti”. Forlani pur a capo insieme ad altri leader DC di quella linea, schivò – a quanto mi risulta – contrasti diretti.
Sereno e garbato dunque, ma non cedevole. Quando da un alto prelato del sud delle Marche venne duramente attaccato per la linea politica che sosteneva, non esitò a replicare: “ Credevo di trovare nell’arcivescovo un pastore, non un lupo!”.
Delle responsabilità governative elevatissime e del forte ruolo esercitato nella DC e nel progresso del Paese, incluso il consolidamento della democrazia non sempre al sicuro negli anni del suo impegno, avremo il piacere di ascoltare l’Amico Presidente Pier Ferdinando Casini, cui esprimo vicinanza ed affetto. E pensare – restando ai miei ricordi di ambito locale – che, come ogni genitore, la mamma, quando egli era agli esordi dei suoi impegni a Roma, manifestava preoccupazione perché ambiva vedere il figlio “sistemato”. Da bambino, spedito da mia madre per un acquisto presso il verduraio, lo stesso frequentato dalla signora Forlani, a richiesta di notizie sui figli, la sentii esporre valutazioni molto soddisfatte su Romolo, il fratello, già “a posto” quale maestro elementare, mentre scuoteva la testa su Arnaldo perché… “perdeva il tempo con la politica”. Anche se le sue capacità lo portarono al successo, pure lui però non vedeva per un giovane traguardi certi nella politica. A me, quando ero studente, ha sempre raccomandato:” Studia. Trovati un posto, e solo dopo fai politica”. Molti anni dopo, in un incontro alla Tombolina di Loris Fraticelli, Loreno Zandri, attuale vicesegretario generale della Camera di Commercio delle Marche, capitò a tavola accanto a lui il quale , appreso che il giovane stava per laurearsi, impartì lo stesso ammonimento:” Finiti gli studi trovati un lavoro, poi occupati di politica”. Trovava il tempo per dedicarsi anche a buone letture e non erano rare nelle conversazioni le citazioni di qualche rinomato autore. Anche di quelli locali: fu mio testimone di nozze e quando apprese che la futura consorte era nipote di Pina Bocci, avvocato e fine poetessa, lo sentii recitare a memoria una intera poesia della scrittrice, apprezzata peraltro anche da Manara Valgimigli e Carlo Bo.
Non trascurava la lirica, e il luogo prescelto per questo incontro ne è testimonianza. Fu Forlani, Ministro degli Affari Esteri, a firmare il primo accordo di cooperazione culturale con la Repubblica Popolare Cinese il 6 ottobre 1978 cui seguirono, tra l’altro, le presenze in Cina di Pavarotti, l’orchestra Santa Cecilia, il Teatro di Firenze e, nei tempi attuali, tra i tanti, il Rossini Opera Festival e lo stesso Conservatorio Rossini. Fu molto vicino anche al ROF. Del suo sostegno ebbi diretta testimonianza per le telefonate sul tema che Gianfranco Mariotti mi faceva al Quirinale dove svolgevo le funzioni di consigliere parlamentare di Cossiga. E ricordo pure quando Mariotti lo volle, nell’intervallo di un’opera, nel suo palco per rinnovargli ringraziamenti e offrirgli una coppa di Champagne.
Un mio estroso compagno di scuola, Enrico Roseo, si adoperò per realizzare un incontro con Renata Tebaldi che venne accompagnata alla casa di Novilara dove Forlani era giunto, da solo, non molto tempo prima. Non c’era stato modo, quindi, di predisporre una accoglienza adeguata alla grande artista. Ma il colloquio procedette egualmente in modo aperto e gradevole, con grande reciproca spontaneità. Alla fine Forlani disse: “Cosa si può offrire ad una Signora? Certamente una rosa. Ma io ho solo questa”. E porse alla Tebaldi una “rosa del deserto” che arredava il suo salotto. Il bell’aggregato di cristalli fu molto gradito dalla cantante.
I toni troppo accesi non appartenevano al suo patrimonio oratorio. In una intervista al Corriere della Sera del dicembre 1985 sostenne che “il vero guaio della politica è la ricerca della teatralità. Ma in questo modo tutt’al più, si accontentano esigenze “sceniche” dei mass-media”. Sembra il commento a certi talk show di oggi, più propensi ad offrire il ring che elementi di pacata riflessione. E continuava: “La Dc deve restare una grande forza tranquilla, in grado di assicurare stabilità al governo e soluzione dei problemi che stanno a cuore alla gente”.
Negli schieramenti opposti vedeva non nemici, ma avversari, forze alternative, con le quali confrontarsi, con toni pacati: ed al riguardo ricordo che mi trovai ad introdurre un suo comizio, in sede di campagna per le elezioni politiche , nella gremita Piazza del Popolo di Pesaro. Usai accenti da arringa, graditi alla folla<. Nel corso del suo discorso Forlani mi corresse: “ Ho udito toni aspri nei confronti dei comunisti. Ma non siamo più nel ’48 !”.
Però, quando da segretario provinciale della DC chiedevo consiglio circa gli insistenti inviti del PCI alla partecipazione a manifestazioni sulla Resistenza, sulla “Pace”, ecc.. mi rispondeva:” Vai se ci sono anche i Liberali”.
Fu con lui ministro degli esteri che venne approvata la risoluzione Piccoli-Natta “con il riconoscimento della politica estera e della Alleanza Atlantica” da parte dei comunisti. Il PCI avanzava su un terreno nuovo anche se non ancora accostabile – secondo Forlani – a responsabilità di governo soprattutto in ragione degli assetti internazionali come i casi Berlinguer e Moro rimarcavano. E del suo impegno anche su Moro, speso sempre con il consueto costume discreto, se ne saprà di più quando saranno disponibili le carte degli archivi di taluni paesi esteri.
Vengo infine ad un episodio che non posso tralasciare perchè connesso con i momenti più dolorosi della sua esperienza politica.
Era favorevole al finanziamento pubblico dei partiti. A me, giovanissimo, sembrava invece che i partiti dovessero essere sostenuti con gli apporti dei propri iscritti. Lui spiegava come quel contributo fosse del tutto insufficiente e che il finanziamento pubblico avrebbe consentito di contestare i comportamenti di chi alimentava contribuzioni illecite. Quindi nella filosofia del personaggio non c’era spazio per le “tangenti”.
A me capitò di ricevere da lui un consistente contributo per iniziative della DC in provincia di Pesaro e Urbino. Alla mia domanda su chi avrei dovuto ringraziare esclamò: “Ringraziare ? Di qui, vengono, di qui !!”, battendo ripetutamente con il palmo della mano la parte dove solitamente viene allocato il portafoglio. Si trattava di quasi la metà della sua indennità parlamentare. Ironia della sorte , fu proprio una di quelle contribuzioni improprie a procurargli il più forte dispiacere della sua vita politica.
Oggi Piero Sansonetti, comunista, per quasi 30 anni all’Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore, ha riproposto sulla rinata “Unità” un suo articolo di otto anni fa in cui deplorava che Forlani, mai accusato di avere messo in tasca una sola lira, fosse stato condannato per avere “oggettivamente” favorito il finanziamento del suo partito. Perché ? Perchè il tribunale accettò la formula famosa del “non poteva non sapere”. Dunque, rileva ancora Sansonetti, “non ci sono prove che sapesse “. Ed il codice penale prevede condanne solo in presenza di prove certe. Quindi la condanna intervenne in base ad una supposizione, nonostante peraltro che lo statuto del partito escludesse ogni competenza del segretario in tale materia della quale doveva occuparsi solo il segretario amministrativo.
Ora, alla sua scomparsa, le Istituzioni hanno risposto bene al doveroso impegno di rendergli onore. E con lui, in fondo, alla stessa “prima Repubblica” di cui egli è stato protagonista e simbolo.
Nell’epoca della cosiddetta “immagine” la sua discrezione non ha reso evidente a tutti il suo operato mirato sempre “a far valere le ragioni della corresponsabilità delle forze politiche verso il Paese di cui – insisteva – bisogna risolvere i problemi veri”.
I solenni funerali di Stato ed il lutto nazionale sono stati una prima risposta al debito che la Repubblica ha nei confronti di una personalità che ha fatto tanto per l’Italia, senza esibizione mediatica.
E sarà la Storia a rendergliene compiuta testimonianza e merito.