– Ricorre in questi giorni il terzo anniversario della morte di Guido Nozzoli, una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano. Si è spento a Rimini l’11 novembre 2000, nella città era nato il 2 dicembre 1918.
E’ stato giustamente detto di lui che fu: “Giornalista, scrittore, uomo politico dall’intensa partecipazione alla vita del Paese, che lascia il ricordo di una persona che onestamente ha combattuto le sue battaglie ideali, nel segno della Giustizia e della Libertà” (da Riministoria di Antonio Montanari).
E’ doveroso dire di più su questo mirabile personaggio riminese dal raro ed implacabile rigore dialettico, la cui figura conferisce prestigio alla sua città.
Fin dalle scuole medie inferiori il giovane Guido dimostra un carattere ed un temperamento contestatore che lo mette in condizione di collezionare “non so quante sospensioni più una proposta di espulsione”. La scuola media superiore magistrale andrà a frequentarla a Forlimpopoli, perché a Rimini allora non c’era, affrontando le levatacce mattutine per giungere in tempo alla stazione ferroviaria, “con corse mozzafiato”, per non perdere quell’unico treno che troppo presto lo porta di buon’ora alla scuola col portone ancora chiuso.
Ad Urbino sarà un attento allievo alla Facoltà di Lettere del Magistero ove salivano in cattedra docenti di grande prestigio come Mario Apollonio, cultore dell’atmosfera dell’Ermetismo Cattolico; Carlo Bo, critico letterario che diede un contributo decisivo alla definizione delle istituzioni ideologiche; Cesare Musatti, come insegnante di rottura nel campo della psicologia sperimentale, ed altri come Rebora, Mori, Ronconi.
Purtroppo la decisione dell'”Uomo della Provvidenza” del 10 giugno 1940, di trascinare l’Italia in quella che sarà la immane catastrofe, toglierà nel 1941 il beneficio di rinviare il servizio militare fino al conseguimento della Laurea agli universitari e Guido, nell’autunno dello stesso anno, sarà aggregato al 32° reggimento carristi di Verona ove inizierà la sua breve carriera militare prima come caporale, poi sergente, poi sottotenente ed infine come sostituto dell’aiutante maggiore, negli ultimi tempi, prima dell’otto settembre del ’43.
All’intelligenza e sensibilità dei due giovani universitari e uomini di cultura, del tipo di Guido e del suo compagno Gino Pagliarani, non sfuggivano le enormi contraddizioni del fascismo, del comportamento dei suoi esponenti e della loro propaganda..
La loro coscienza li aveva già fatti aderire a movimenti segreti di libertà che dalla polizia fascista venivano definiti come “attività politica contro il regime” ed un conoscente laureato in giurisprudenza infiltrato tra di loro, dichiarandosi fortemente antifascista, era invece una spia dell’Ovra, la polizia segreta, che li vendette alla polizia per 300 lire, come si apprende dai racconti dello stesso Guido.
In ogni luogo si poteva annidare la “spia”. Mio padre me li ha indicati nel dopoguerra. Ad onor del vero, nessuno li ha poi denunciati, nessuno si è vendicato.
Dopo la condanna i nostri due riminesi beneficeranno dell’amnistia del ventennio e Guido sarà destinato al reparto militare di Siena al 32° Reggimento Carristi della Divisione Centauro e lì, l’8 settembre del ’43, farà l’esperienza, assieme al Maggiore Comandante del suo Battaglione, di quella che sarà tutta la insipienza e la incapacità degli alti Comandi Militari Italiani, del Governo, della Casa Savoia, dei dignitari dello Stato che, con esemplare codardia, fuggiranno da Roma per andare nei luoghi già liberati.
Guido, che con la giovane moglie sposata da appena quattro mesi, aveva affittato una cameretta ammobiliata con uso di cucina a Siena, vicino alla caserma, riuscì, prima di essere catturato dai tedeschi, a metà settembre con gli abiti borghesi, con la consorte ad arrivare a Rimini via ferrovia.
Qui, assieme agli altri giovani ufficiali antifascisti quali Gianni Benzi, Angelo Galluzzi, Gianni Quondamatteo, Ezio Venturini ed altri, iniziarono a costituire i primi nuclei di attività partigiana.
Dopo la liberazione di Rimini, come riporta l’editore Bruno Ghigi nel suo volume “La guerra a Rimini e sulla Linea Gotica”, il Nozzoli, dal 22 settembre del ’44, fu un assiduo attivista per la rinascita della vita nella città e, sulla piazza Cavour in collaborazione con il Capitano Trevor dirigente del Welfare Service, si presterà ai compiti più svariati, assieme ad Illaro Pagliarani, Angelo Galluzzi, Peppino Polazzi, Nicola Melluzzi, Ettore Ferrari, Valter Ceccaroni, i tre fratelli Arnaldo, Natale ed Antonio Zangheri, tutti intenti a sistemare i primi autocarri militari di farina e di altri viveri che affluivano a Rimini per sfamare i primi sfollati che rientravano e le molte migliaia ancora costretti a rimanere nelle campagne perché in città non c’erano più le case in piedi.
Nozzoli e il suo drappello di partigiani, fin dal giorno della liberazione erano rientrati in città e nei locali ancora agibili del centro in piazza Cavour ad angolo con la via Sigismondo sistemarono le prime iniziative di immediata sussistenza, quali il luogo per distribuire i viveri alla gente, per installare un ufficio per il vicesindaco Arnaldo Zangheri, una mensa per dar da mangiare ai primi che arrivavano a Rimini, un piccolo ospedale con una trentina di letti.
A conclusione della lunga intervista di sedici pagine concessa all’editore Ghigi per il libro sopracitato, alla domanda dello stesso editore-intervistatore di che cosa gli fosse rimasta più impressa nella memoria dell’esperienza partigiana di quel 1943 – 1944, Guido rispose: -” Senza esagerazione ti rispondo: tutto. Ogni ora, ogni minuto di quel lavoro per quanto oscuro e modesto. E ogni casa frequentata, ogni sentiero percorso, ogni volto dei compagni: di quelli perduti che conservo nel ricordo con l’espressione quasi fanciullesca che avevano allora, e di quelli rimasti ad invecchiare con me. Non tutti, hanno affrontato gli eventi del dopoguerra allo stesso modo e fatto le stesse scelte. Però c’è qualcosa che continuerà ad accomunarci per sempre, al di sopra delle ombre, delle polemiche, dei dissensi ideologici e caratteriali: l’amore per la libertà. Quella che abbiamo vissuto nella Resistenza fu una stagione di tensioni, di fatiche, di privazioni, di segrete paure, che non vorrei rivivere e non vorrei fosse mai vissuta dai nostri figli. Eppure fu anche la stagione più bella della nostra vita. Non perchè legata agli incanti della giovinezza, ma perchè illuminata da una grande speranza”.
Schivo, egli fece addirittura uno sforzo per accettare il riconoscimento del “Sigismondo d’oro” nel 1999. “In quella occasione” come riporta il suo amico Enzo Pirroni “di fronte ad assessori distratti, giovani politici che nulla conoscevano di lui e della di lui storia, Guido fu dissacrante, autoironico riuscendo ad impartire a tutti i presenti una lezione di stile e di umiltà”.
Si dedicò al giornalismo ed all’attività di scrittore. In questa compose opere storiche e monografie di grande importanza sotto l’aspetto della cronaca e della realtà storiografica in relazione ai fatti accaduti.
“Quelli di Bulow – cronache della 28° Brigata Garibaldi”, ripresa più volte con monografia nel 1971, ci ricorda le battaglie nelle zone del ravennate ove l’allora giovane partigiano ventitreenne Mario Castelvetro, ora nostro concittadino di adozione a Cattolica, operava con la Brigata di Arrigo Boldrini assieme anche al “poeta” Antonio Meluschi che, con Mario Verdelli (“Nando”) commissario politico trasferito a Rimini da Bologna avevano già incontrato nell’attività clandestina Guido Nozzoli e con lui collaborato.
Quel “poeta” compagno Meluschi è quel comandante che più tardi, rispetto all’esperienza del lavoro clandestino a Rimini, assumerà il comando di quel distaccamento partigiano nelle Valli di Comacchio immortalato da sua moglie Renata Viganò nel romanzo “L’Agnese va a morire”.
Mia madre non era una donna di cultura e non aveva nessuna dimestichezza con i libri. Nel dopoguerra leggeva e diffondeva il settimanale “Noi donne” e quando le capitò in casa questo libro della Viganò con la descrizione di quella epopea partigiana con la tragica fine della sua eroina, ricordo che rimase molto colpita e i suoi occhi erano lucidi quando si appartava con il libro in mano su un angolo del tavolo di cucina. Come sono cari i rari ricordi di mia madre con un libro in mano! Lei che aveva fatto appena la seconda elementare e che per tutta la prima parte della sua vita aveva lavorato in casa dei padroni come donna di servizio e i libri li aveva sempre e soltanto spolverati. Vi ringrazio molto, miei cari genitori che, dopo le elementari, mi avete mandato ancora a scuola anche con le ristrettezze che vi ritrovavate. Tanti miei compagni non sono stati così fortunati.
Come giornalista Nozzoli inizia la sua attività a Bologna al “Progresso d’Italia”, poi a Milano a “L’Unità”, poi passerà al “Giorno” di Enrico Mattei.
Nel freddo inverno del 1950 sarà a Modena quando la polizia del ministro Scelba sparerà sulla folla uccidendo sei operai. Nel luglio del ’50 sarà un cronista puntuale, con tutte le punte dubbiose, nel descrivere l’annuncio dei Carabinieri del Colonello Luca, che avevano ucciso il bandito Giuliano in uno scontro a fuoco.
Nell’ottobre del ’51 seguirà il processo che condannerà all’ergastolo il Maggiore delle S.S. Walter Reder, il boia dell’eccidio di Marzabotto.
Nel novembre dello stesso anno sarà un protagonista nella descrizione della catastrofe dell’allagamento del Polesine con la rottura degli argini del Po con le distruzioni, lutti e rovine che ne derivarono.
Nel ’54 sarà nel Vietnam per descrivere la capitolazione francese a Dien Bien Phu.
Nel ’56 sarà a Budapest e non sarà capace di essere ossequiente con la linea del partito ed è interessante quanto descrive circa la sollevazione ungherese repressa brutalmente dai carri armati sovietici.
Sarà nel Nord Africa ed i suoi reportage sulla rivolta algerina e la sua intervista a Ben Bellà costituiranno una cronaca anticipatrice del destino di quella terra che alienava al suo riscatto.
Sarà corrispondente dal Congo, dall’Uganda, da Firenze allagata, dalla penisola del Sinai, in giro per il mondo e quasi mai nella redazione del giornale.
Sarà sulle alture del Golan in Cisgiordania ed i suoi articoli descriveranno con profetiche intuizioni tutte le premesse di ciò che poi succederà nel tempo a venire.
Andrà a visitare don Lorenzo Milani, questo prete scomodo per la Chiesa, sarà di nuovo nel Vietnam con Igor Man; sarà poi a Praga nel ’68 a difesa della “primavera” di Dubcek ed inoltre sarà lo strenuo difensore dei più deboli nella immane tragedia del Vajont.
di Silvio Di Giovanni