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Home Località Gabicce Mare

Pritelli (Tambùr), il principe sardellero

Redazione di Redazione
10 Marzo 2003
in Gabicce Mare
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
A A

[img align=left]http://www.lapiazza.rn.it/marzo/tambur.jpg[/img]

Sebastiano Pritelli padre di Carlo

“Mio padre Sebastiano Pritelli era nato a Cattolica il 22 marzo 1891 in via Viole, la ‘Viulèna’, da Battista Pritelli, detto ‘Bulèn e da Rosa Galli. Poiché mio nonno Battista suonava il tamburo nella Banda di Cattolica, gli diedero il soprannome di ‘Tambùr’. Mio padre cominciò ad andare in mare a 9 anni. A quei tempi non si andava tanto a scuola, si doveva lavorare per necessità di famiglia. Il lavoro della terra a lui non piaceva, preferiva il mare. Arrivò il periodo del militare, fu chiamato alla leva in Marina, durante la guerra 1915-18: furono sette anni e mezzo. Mi raccontava che fu imbarcato anche con Nazario Sauro e quando questi fu catturato dagli austriaci, mio padre fu salvato dal fatto che si trovava ricoverato all’ospedale militare, operato ai piedi per unghie incarnite.
Durante questo periodo venne a sapere da alcuni commilitoni, marinai di Chioggia, che lì si praticava la pesca della sardina. Finita la guerra rimase a Chioggia per un mese, per imparare questa tecnica di pesca, scoprendo che oltre ad essere remunerativa, portava altri vantaggi: si andava in mare la sera e si veniva a casa alla mattina a mezzogiorno, si faceva in tempo a mangiare con la famiglia, fare un riposo e salutare la moglie e i figli… e poi ritornare in mare la sera. Prima della pesca della sarda i nostri marinai andavano in mare con barche grandi e spesso si trovavano fuori con i temporali, rimanendo ancorati per diversi giorni fra tremendi pericoli. Mentre con la pesca della sardina si erano ridotti.
Si tornava in terra la mattina, si vendeva il pescato, si stendevano le reti lungo il porto, si riparavano quelle rotte spezzate dai delfini, che di solito seguono i banchi di sardine e se queste sono imbroccate nelle reti le spaccano. Mio padre a Chioggia aveva comprato la barca e un calo di reti, portando giù con sé due marinai chioggiotti; aveva bisogno di manodopera esperta, i nostri marinai al tempo non conoscevano questo tipo di pesca. In pratica Sebastiano Pritelli (‘Tambùr’) ha importato a Cattolica e Gabicce e ha insegnato ai nostri marinai la pesca della sardina. Tornato a casa, nel nostro porto imbarcò subito altri due marinai: uno di Cattolica, un certo Barulli e Bruno Cola di Gabicce, detto ‘Bròcle’.
Partirono subito in mare con questa barca chioggiotta nominata ‘Norge’, buttarono il calo delle reti nella Vallugola. Alla sera con una barca a vela non si possono fare molti provini, e molto ‘movimento’, si spera nella fortuna… Ma alla mattina venne a terra con un bel carico di sarda. La sera dopo sempre alla Vallugola e al mattino in terra con un’altra bella pescata… Comunque dai oggi, dai domani, gli altri pescatori cominciarono ad interessarsi a questo nuovo metodo di pesca, che era anche più redditizio e meno pesante. Gli altri marinai facevano una vitaccia con le barche sempre in mare, andavano a buttar giù al ‘pèlghe p’la ragia’, pescavano con la tartana (la tratèna), la sfogliara… ma non c’era resa al confronto di un calo buono di sardina che pagava il tutto.
Così piano piano in molti iniziarono a buttarsi nella pesca della sardina, anche se con la barca a vela la pesca è limitata. A questo punto si pensò al motore, così sono sorte diverse officine meccaniche proprio per installarli sulle barche. Si cercavano motori di ogni tipo, anche alla buona, senza capire che il tal motore magari non era adatto… I primi motori erano così e venivano montati ugualmente. Dopo un po’ di tempo vennero fuori motori marini quali Bolinder, gli Elve, i Satima, i Deutz e altri. Ricordo i fratelli Caldari (‘Bagora’), che avevano una barca, credo si chiamasse Maria Carmine, aveva un 36 Deutz che era uno spettacolo di motore. E così in breve tempo furono tutte motorizzate, la pesca si era facilitata: si usciva in mare, si facevano i provini, si buttava giù 2-3 reti e si aspettava un’oretta, dopodiché si andava a guardare se nella rete c’era la sardina impigliata. Se era poca o niente si tirava su e si ricambiava posizione, se invece si vedeva che il provino andava bene, a quel punto si allungava tutto il calo.
Mio padre Sebastiano aveva tanta passione per la pesca della sardina. Questi marinai li chiamava i ‘nobili sardelleri’, il padrone della barca (‘paròn’), addirittura il ‘principe sardellero’.
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