di Enzo Cecchini
– Le elezioni comunali si avvicinano: incontri e ammiccamenti per definire candidature e alleanze s’infittiscono. Il centrodestra cattolichino perde un pezzo pregiato: Gianfranco Vanzini, non si candiderà a sindaco. Alla fine dovrà accontentarsi di un candidato di bandiera. Dovrebbe essere Cono Cimino. La battaglia, salvo miracoli, sembra già persa in partenza. Questo non solo per la tradizione storica di sinistra della città, ma anche per il clima di sbandamento che si respira nella compagine berlusconiana a livello nazionale.
Ora nel centrosinistra si pone il problema di Rifondazione comunista, con tutta la sua anomalia cittadina (fanno riferimento alla minoranza trotszchista del partito). Dopo cinque anni di accanita opposizione alla giunta Micucci e una presenza significativa nelle battaglie politiche nazionali, si trovano di fronte all’inversione di rotta del loro leader, Fausto Bertinotti che “invita” a riallacciare ogni possibile rapporto con l’Ulivo, ovunque, per “fermare questa destra”. Meglio tardi che mai, hanno commentato in tanti. Ma come fare a riallacciare i fili con Ds e Margherita, dopo anni di scontri e quando sono gli stessi uomini politici portatori delle lacerazioni, che dovrebbero riannodarli? Senza un accordo con l’Ulivo rimane la scelta della solita corsa solitaria con un candidato a sindaco di bandiera (ancora Giona Di Giacomi?) per raggranellare il solito zoccolo duro di voti.
Ci potrebbe essere un’altra strada: quella di costruire una lista civica di sinistra (coinvolgendo esponenti dei Verdi, PdcI, Italia dei Valori), larga e autorevole (dove Rifondazione mantiene solo un ruolo di sostegno) con una forte presenza di candidati non militanti e rappresentativi di spezzoni importanti del tessuto sociale, sindacale, economico e culturale della città, per raccogliere consensi trasversali e pescare nelle crepe del consenso diessino. Obiettivo? Sottrarre voti alla lista dell’Ulivo per arrivare al ballottaggio. A quel punto cercare l’apparentamento col centrosinistra che dovrebbe acquisire parte del programma di Rifondazione. Scenario suggestivo, ma, forse, impossibile, perché in questi anni non ne sono stati creati i presupposti.
Fino adesso, oltre al lodevole impegno su tematiche locali e generali e le tonnellate di volantini distribuiti, Rifondazione ha tenuto un atteggiamento chiuso e settario, senza riuscire a penetrare a fondo e in maniera diffusa nel tessuto sociale cittadino. I dirigenti hanno privilegiato un partito militante fortemente ideologizzato, trascurando la conquista dell’opinione pubblica, l’allargamento della base sociale, e l’articolazione dell’iniziativa su tematiche non solo economiciste, ma diversificate e coinvolgenti con momenti di discussione e confronti aperti. Non a caso tutti gli iscritti più “moderati” si sono allontanati e altri non si sono neppure avvicinati. C’è una logica chiusa ed esasperatamente autoreferenziale che tende ad annullare la diversità di opinioni, dove ci si muove per campagne d’intervento e di lotta chiuse, senza mai quel respiro che dia l’idea di una visione-progetto e costruzione più ampia, che tenga in considerazione la variegata complessità sociale ed economica della città.
Questa logica non fa aumentare i voti, fa pochi proseliti, brucia in fretta, in un attivismo sfrenato (quasi ginnico), i giovani militanti, non costruisce l’articolazione sociale del partito, parla a piccole nicchie di disagio senza riuscire a costruire intorno le alleanze necessarie per socializzare quelle battaglie, per farne paradigma di una visione alternativa di città. Tutti i militanti della prima ora, quelli della tradizione del vecchio Pci, se ne sono andati e accusano: “Vige una gestione settaria che esaspera e si compiace del contrasto a sinistra; c’è un fare opposizione senza proposte alternative. L’interesse e la difesa del mondo dei lavoratori diventa solo virtuale e alla fine dannosa”, basta vedere la gestione e l’esito del referendum sull’estensione dell’art. 18.
Ma forse tutto questo è intrinseco nella logica di chi nasce da una rottura e da una separazione, come è stato per il Prc. Diventa allora naturale alimentare e alimentarsi della divisione-frattura perché è il supporto ideologico e psicologico che giustifica l’impegno militante, insomma, diventa senso e identità. Ma ci vuole però la capacità politica dei dirigenti di non diventare prigionieri di questa logica, di sapere capire le differenze fra destra e sinistra, ponderare le articolazioni delle sinistre, altrimenti il rischio è diventare, in buona fede, organici dei progetti della destra. Non è l’opposizione dura e radicale, spesso giusta, che qui si critica, ma la sua incapacità di dargli progetto complessivo, di farsi guida politica del dissenso e alternativa di governo. Criticabile anche l’evidente sovrapposizione e intreccio con organismi di base (esempio: Social Forum, comitati, ecc.) che spesso si muovono in una sfera di collateralismo che ne limita la loro credibilità e autonomia.
Questo non toglie alcuni meriti dei militanti di Rifondazione: sono stati tra i primi a cogliere le potenzialità dei movimenti contro la globalizzazione e pacifisti, l’intransigenza sulla trasparenza amministrativa, la generosità nell’abbracciare senza opportunismi e calcoli, le battaglie per la difesa del posto di lavoro, i diritti degli emigrati e di tutti gli ultimi che questa società emargina.
Alle prossime comunali il sistema elettorale inchioda a delle scelte precise: Rifondazione comunista se vuole entrare in Consiglio comunale, deve partecipare alla consultazione. Il loro simbolo può essere apparentato al candidato a sindaco dell’Ulivo (ma qui bisogna mettersi attorno al tavolo senza pregiudizi e cercare un’unità programmatica) o partecipare in solitudine col proprio candidato a sindaco in aperto conflitto col centro sinistra. C’è, volendo, un’altra strada ancora, quella del compromesso-dialogo, una sorta di non belligeranza: chiedere il voto di lista per Rifondazione e invitare pubblicamente a sdoppiare il voto barrando anche il nome del candidato a sindaco dell’Ulivo. E’ una scelta di apertura politica che potrebbe creare ottimi scenari nei rapporti con il popolo della sinistra cattolichina. Quel popolo che da due anni (da Nord a Sud), dopo il patatrac delle ultime politiche, urla a gran voce: unità!
Per questo bisognerebbe a tutti i costi trovare il maggior numero di punti in comune con l’Ulivo, e sugli altri marcare la propria diversità senza esasperazioni. Non va regalato l’alibi ai dirigenti dell’attuale maggioranza, di tirarsi fuori prima di un serrato confronto programmatico. In questi anni sui problemi locali è stato scontro su tutto, sarà dura ricucire, anche perché l’attuale maggioranza punterà sulla continuità, mentre Rifondazione, che ha criticato tutto e di più, vorrà puntare sulla discontinuità per giustificare una sua eventuale entrata nel governo della città.
Ma visto che a Cattolica non dovrebbe essere in pericolo la riconferma di una giunta di centrosinistra, una corsa solitaria di Rifondazione la si potrebbe ragionevolmente giustificare così: non ci sono le condizioni per stare insieme all’Ulivo, ma in fondo una forza di sinistra che incalzi dall’esterno l’amministrazione comunale, può solo fare bene, anche perché tutte le critiche e i malcontenti che sorgerebbero, andrebbero ad esclusivo vantaggio dell’opposizione di destra. E poi chi difenderebbe più le piccole sacche di emarginazione e disagio che ci sono anche a Cattolica?
I NUMERI
Rifondazione alle elezioni
– Politiche 1996: 9,35%
– Politiche 2001: 6,17%
– Regionali 2000: 6,36%
– Comunali 1995: 8,94%
– Comunali 1999: 8,59%
UOMINI E NUMERI
Rifondazione al femminle
– Gli organismi dirigenti di Rifondazione comunista di Cattolica sono ricoperti da sole donne.
Segretario: Federica Bizzarrini
Direttivo: Raffaella Rondolini, Monica Molari, Lara Gennari, Cristina Cerioli.
L’Assemblea di circolo è l’organismo decisionale, che coinvolge tutti gli iscritti.
I consiglieri comunali sono 2: Giona Di Giacomi e Paolo Tonti.
Gli iscritti sono 50, tra cui anche alcuni extracomunitari.