di Silvio Di Giovanni
– Il Papa Gregorio I (San Gregorio), nato nel 540, assunto al soglio pontificio nel 590, morto nel 604, si meritò sicuramente l’appellativo di “Gregorio Magno”. Dopo una lunga serie di papi piuttosto mediocri dalla caduta dell’impero romano, Gregorio passò meritatamente alla storia e così va considerato, come il fondatore della potenza terrena della Chiesa.
Nato in un grandioso palazzo del Celio da una ricca famiglia aristocratica romana, che in passato aveva assunto le più alte cariche dello Stato, vantando anche un imperatore tra i suoi avi (il padre aveva un elevatissimo incarico pubblico e la madre apparteneva pure lei a nobilissima famiglia), Gregorio, fin da ragazzo, crebbe con una educazione e con idee che si ispiravano alla grandiosità del passato e alla grandezza di Roma e del suo perduto dominio del mondo. Così si esprimerà in una sua omelia rivolta alla “città eterna”: “un’aquila, ora, priva di penne, che abbassa vergognosamente le ali”.
In età molto giovane si dette alla vita pubblica, diventando ben presto Pretore e a 33 anni addirittura Prefetto di Roma.
Alla morte dei genitori cambiò radicalmente la propria scelta futura di vita. Non si può sapere se alle radici di questa importante svolta stesse alla base una crisi di ascetismo, in quei tempi la cosa non era inusuale, oppure se Gregorio avesse fin da allora concepito un più alto ed audace progetto per poter raggiungere attraverso la Chiesa, un posto di potenza tale che invece il mondo civile, nella sua organizzazione, non gli avrebbe mai potuto consentire.
Si fece monaco lasciando tutte le cariche laiche e modificò la sua ricchissima casa sul Celio, ricavandone un imponente monastero, ordinato in sostanza secondo le regole benedettine. Sostenuto da una cultura politica che aveva appreso nella vita pubblica, non gli fu difficile intraprendere una brillante carriera nell’organizzazione diplomatica della Chiesa. Ebbe subito elevatissimi incarichi tra cui la consacrazione a diacono da Papa Benedetto I e la sua successiva nomina, da parte del Papa Pelagio II, a nunzio pontificio alla corte di Costantinopoli, ove si intrattenne per sei anni. Al ritorno fu nominato dal Papa suo segretario personale e alla morte del pontefice il passo al soglio di Pietro fu facile e breve. Ciò che si legge sui suoi presunti tentativi di evitare l’elezione va considerato un luogo comune agiografico.
Subito si diede a realizzare la grande ambizione che era tipica del suo temperamento e cioè la meta del dominio della Chiesa nel mondo. Gregorio doveva aver intuito che per raggiungere una potenza politica, occorreva prima una potenza economica e che per poterla raggiungere era necessaria una perfetta amministrazione degli innumerevoli beni terreni che la Chiesa aveva già incominciato ad accumulare.
Fu quindi subito un grande organizzatore nell’amministrazione della proprietà ecclesiale sparsa in tutto il mondo allora conosciuto, ove i vari vescovi governavano le diocesi a loro esclusivo tornaconto, spesso cercando di rendersi indipendenti dall’autorità centrale e non di rado i casi di malgoverno e ruberie nei vari preposti, sfociavano anche in scandali di cui il monachesimo dei conventi non era immune.
La capacità e la fermezza di Gregorio gli permisero di riordinare le diocesi, disciplinare le proprietà dei conventi (accordando anche dei privilegi ove appariva conveniente), reprimere gli abusi dei vescovi, creare un’amministrazione fortemente centralizzata che assicurasse al “Patrimonio di San Pietro” il massimo rendimento, regolato da un flusso di rendite continue alle casse centrali della Chiesa Romana.
Aveva, infatti, sterminati latifondi la Chiesa di Roma. L’intera Sicilia si poteva dire fosse suo patrimonio e le terre coltivate erano condotte da schiavi e dai coloni. Anche se erano passati sei secoli dall’avvento del Cristo con il suo insegnamento di umanità, Gregorio non ebbe per niente l’idea di sopprimere la schiavitù con tutto il sistema schiavistico dei latifondi della Chiesa. Evidentemente l’intento di ottenere il massimo rendimento dalle immense proprietà terriere, era più alto degli umani insegnamenti cristiani. Conservò, infatti, l’impalcatura schiavistica nominando un governatore dell’isola, tal Paolo Diacono, con una complessa struttura burocratica di “rettori”, “difensori”, “attori” tutti preposti all’amministrazione, alla continua sorveglianza e all’esazione dei proventi.
Agli schiavi dispose di praticare un trattamento più pietoso, in pratica fu un padrone di schiavi più umano, ma sempre un padrone di schiavi rimase. A suo merito, gli si deve ascrivere di aver difeso gli ebrei e di avere compiuto opere di pietà.
La Chiesa con Gregorio entrò sicuramente in aperta contraddizione tra la sua posizione di strapotente proprietaria terriera, che conserverà nei secoli, arroccandosi alla difesa e all’accumulazione dei suoi beni terreni e al loro massimo sfruttamento, ciò la porterà a diventare la naturale alleata delle classi dominanti e conservatrici, quindi in logica contraddizione con i suoi insegnamenti in relazione alla condizione degli schiavi, dei coloni, dei diseredati, degli umili, di quelli che per istituto cristiano avrebbe dovuto difendere.
Gregorio fu anche un’energica personalità politica ed uno stratega del suo tempo. Non esitò a prendere iniziative militari per difendere Roma nel 591 dal longobardo duca di Benevento Ariulfo e poi nel 593 contro il re Agilulfo che lo aveva cinto d’assedio in Roma. Con entrambi stipulò convenientemente dei patti. Col primo stilò autonomamente una tregua e col secondo ebbe la capacità di giungere alla pace senza l’intervento di Bisanzio, di fronte alla cui corte irresoluta e al comportamento dell’Imperatore d’Oriente e dell’Esarca di Ravenna, si era venuto a trovare a mal partito.
Analogo energico comportamento attuò anche in altre occasioni. Riuscì a mantenere con saggezza l’equilibrio della Chiesa nel conflitto tra i Bizantini e i Longobardi e trarne profitto affermando l’istituto della Chiesa e gli interessi del papato stesso.
Anche se la cultura di Gregorio in campo ecclesiastico fu ristretta, infatti, lui così la volle mantenere, basti pensare che nei sei anni di permanenza in Oriente non sentì la necessità, né volle apprendere il greco, mantenendosi per sua scelta in una “sacra ignoranza” per giustificare la sua esigenza di umiltà in questo campo, tuttavia Gregorio lasciò una produzione di opere morali e teologiche con oltre ottocento lettere, tra le quali alcune assumono una rilevante importanza storica ed altre opere teologiche sulla vita miracolosa dei santi e un cospicuo numero di omelie sui vangeli e su Ezechiele.
Nel 597 inviò nelle isole britanniche il benedettino Agostino, che divenne poi il Vescovo di Canterbury con 40 monaci per convertire quei popoli al cristianesimo. Questa sua iniziativa ebbe enorme successo e fu ricca di conseguenze future su tutta la Britannia, le cui popolazioni acquistarono una devozione per la sede romana e per la dottrina cristiana.
Agostino si diceva deliziato dall’ascolto dei “Canti Gregoriani” che una storiografia compiacente del passato voleva attribuire la paternità a Gregorio Magno. Pare che così non sia, infatti, gli studiosi moderni non attribuiscono il Canto Liturgico Gregoriano, proprio del rito romano, a Gregorio. Prese da lui nome, ma la sua prima codificazione pare sia opera di pontefici a lui succedutosi e cioè Sergio I, oppure Gregorio II, oppure Gregorio III.
A questo punto occorre evidenziare che dopo l’editto di Milano del 313, con il quale Costantino concesse ai cristiani la libertà di culto, si registra un susseguirsi di conquiste di posizioni di potere e di privilegi da parte della Chiesa, fino a culminare nel papato di Gregorio Magno.
Come si è già detto la Chiesa si avvia verso la sua meta di grandezza economico-politica e rompe i legami con le masse dei diseredati per legarsi ai potenti. Le masse restano però la sua base di manovra, non solo per la diffusione della religione cattolica, ma anche per riscuotere l’obbedienza ai poteri sovrani, coi quali poteri si allea di volta in volta, onde ottenere, nel miraggio di una speranza di migliore vita ultraterrena, l’accettazione supina da parte dei diseredati della condizione feudale cui la Chiesa è direttamente interessata.
Un altro elemento importante da tenere in considerazione, è la grande penetrazione che lo spirito religioso riuscì in tutti gli strati sociali e in particolar modo verso quelle popolazioni che da poco venivano a contatto con il cristianesimo. Infatti, la crescente ricchezza poteva permettere al papato di potenziare la sua opera di persuasione e di propaganda, anche attraverso un forte impianto esteriore di misticismo, che esercitava certamente un fascino sulle nuove popolazioni cosiddette barbariche. Il Papa ad esempio appariva in un’aureola di grandezza sovrannaturale.
In quel tempo di enorme arretratezza economica, in cui tutta la produzione essenzialmente agricola era finalizzata ai bisogni di immediata sussistenza, in un mondo rattristato da perenne incertezza con l’avvicendarsi di guerre, spoliazioni, invasioni, senza più un barlume di civiltà culturale, come era stato invece il periodo dei greci e di Roma, questo mondo pervaso da un ascetismo ossessivo, non poteva non alimentare in ogni strato sociale delle popolazioni le speranze di un bene ultraterreno e l’ansia di avvicinarsi ad esso e a volte aspettando con serena speranza tra le mura di un convento dopo aver donato i propri beni alla Chiesa.
Per comprendere lo sviluppo religioso e politico della Chiesa Romana è necessario partire da questa visione realistica delle cose. In tutta la storia medioevale in cui assistiamo alle aspirazioni di dominio, a conquiste, ad espansioni e decadenze di monarchie, alle migrazioni di popoli, alle pestilenze, a pesanti carestie, al permeare del misticismo più chiuso, quasi sempre la sicura istituzione che sapeva ciò che voleva era la Chiesa. Infatti, si prefiggeva la creazione di un potere terreno mondiale supremo e lo raggiunse. Quando tale aspirazione sorgeva anche tra le potenze laiche era inevitabile il conflitto.
Nei conflitti tra potere laico e Chiesa, questa era inevitabilmente in una posizione di enorme vantaggio sull’avversario, giacché aveva il possesso dell’arma spirituale.
La causa della religione poteva così servire da supporto alla causa della Chiesa per la sua politica temporale, con la quale si identificava perfettamente e Gregorio fu senza dubbio il vero campione ed iniziatore dell’opera terrena del papato.