Rimane il vuoto, il silenzio: dopo, ci accorgiamo che si è rotto qualcosa.
Cerchiamo di correre a i ripari, di ricostruire, qualunque sia il risultato di questo faticoso nostro affanno manca e mancherà sempre qualcuno e qualcosa, se n’é andato.
In un paese o grande o piccolo che sia l’insieme della vita cittadina è fatto di una moltitudine di elementi che uniti costituiscono una umanità fatta di uomini, donne, lavori, mestieri, feste, avvenimenti allegri o tristi, di incontri, di interessi di rivalità e solidarietà mescolati in una realtà che la storia, la geografia, il clima, la CULTURA hanno nel tempo costruito avvalendosi di un protagonista unico ed irripetibile: L’ UOMO ed il suo lavoro.
Viviamo in tempi di cambiamenti: non sempre capiamo dove stiamo andando, resistere serve a poco: solo a farsi travolgere e sparire.
Ma proprio perché quello che siamo ed abbiamo fatto è frutto di una storia, abbiamo il dovere morale e l’obbligo materiale di governare quanto avviene intorno a noi.
L’ intelligenza serve a far sì che non prevalga la spietata legge darwiniana dell’evoluzione .
Governare è far sì che l’evoluzione avvenga in sincronia con una crescita economica che coinvolga tutte le componenti della comunità in una logica di ridistribuzione delle opportunità e di soddisfazione del bisogni non solo economici (cultura).
Chi governa amministra le risorse di tutti i cittadini, investirle oggi in maniera corretta e lungimirante (vedesi il quinquennio 1999 2004 dell’amministrazione Ciotti) serve a tutelare e far crescere la comunità inserendola nel contesto che ci circonda in un ottica di condivisione paritetica del progresso.
L’esclusione, le opportunità non condivise generano traumi sociali e divisioni non facilmente riassimilabili.
Ecco perché una comunità ha bisogno di non disperdere le sue componenti.
Queste componenti non sono altre che quelle citate prima: l’uomo, il suo lavoro, la sua cultura, il suo risiedere in quel luogo.
Il luogo sia esso paese, frazione o città deve potere offrire le situazioni e le opportunità perché la catena socio-economica culturale non si spezzi, un anello che viene a mancare determina uno scadimento e l’inizio di una tendenza regressiva della qualità della vita difficilmente recuperabile.
Un paese come il nostro non può permettersi di perdere i pezzi, servizi buoni li abbiamo, residenti anche ed in crescita, ci servono infrastrutture atte a propiziare insediamenti di nuclei lavorativi ed offrire spazi per la crescita a quelli esistenti.
Forse non grandi insediamenti, ma attività artigiane o piccole aziende legate al territorio che usufruiscano dei servizi locali e diano sostegno ed incremento alla microeconomia locale: negozi, bar, banche, ecc.
Creare le condizioni perché questo avvenga è superare un concetto vecchio che vede un territorio frammentato fra città, campagna, paesi e frazioni; per approdare ad un altro concetto molto più adeguato ai nostri anni: “Città diffusa” ed aggiungerei compiuta.
Io credo che questa soluzione sia l’unica in grado di reggere le innovazioni della globalizzazione: immigrazione, nuove tecnologie, mobilità, senza perdere la cognizione di un passato e di valori che saranno il collante necessario per integrare ed integrarsi nel nuovo senza perdere la propria identità, ma arricchire noi e gli altri con la certezza che insieme è meglio che contro.
di Giordano Leardini