– L’allevamento ovino in Romagna risale all’età del ferro, come testimoniano alcuni reperti archeologici di denti e di frammenti ossei di pecora rinvenuti a Verucchio. Passando ad epoche storiche più vicine, nel Medioevo i pastori romagnoli, sudditi della Signoria di Firenze, prima potenza laniera d’Europa, continuarono nella produzione di latte ovino, nonostante le pressioni che venivano esercitate dai proprietari borghesi per privilegiare la produzione di lana. Nell’anno 1550 alcuni documenti pubblici menzionano 32 qualità di formaggio ovino.
L’allevamento degli ovini era più che altro praticato nei terreni incolti, destinati al pascolo, come viene riportato in “Pratica Agraria”, il testo redatto dall’abate riminese Giovanni Battara nel 1778. In questo testo storico si fa riferimento anche alle preoccupazioni manifestate dal proprietario terriero nei confronti del mezzadro per quanto riguarda la parte padronale del formaggio ricavato dal latte munto giornalmente, di cui il proprietario stesso non può sorvegliare, ogni mattina, la manipolazione e pertanto è costretto ad accontentarsi della parte che la massaia “si compiace di riservargli dopo che la famiglia ha sbocconcellato senza ritegno il buon cacio fresco e le contadinelle ne hanno sottratto qualche formella da vendere per appagare, con i quattro soldi, le proprie vanità”.
La pastorizia nel territorio romagnolo seguì poi un graduale e progressivo declino al verificarsi dei mutati rapporti tra i proprietari dei terreni e i coloni a seguito di modificati equilibri di carattere economico e sociale, che, a partire dagli anni ’50, innescarono un massiccio esodo della popolazione rurale dalle zone appenniniche romagnole verso i centri urbani.
La tendenza alla scomparsa dell’allevamento ovino sembrava inarrestabile fino a quando, negli anni ’60, giunsero nelle valli romagnole i pastori sardi, i quali, a causa della bonifica del Campidano, non potevano più effettuare la transumanza dei loro greggi dalla Barbagia alla piana litoranea.
Questa colonizzazione da parte dei sardi interessò in modo particolare la provincia di Rimini, dove vennero presi in affitto, e successivamente acquistati, i poderi abbandonati in seguito al massiccio esodo dei mezzadri. Si venne a creare una nuova pastorizia, quindi caratterizzata da greggi più numerosi e con ovini di razza sarda, che si insediarono agevolmente grazie alla loro rusticità e alla disponibilità di foraggi freschi.
I parametri della qualità
Le suddette condizioni hanno portato a un continuo miglioramento della razza sarda non solo per quanto riguarda la quantità del latte prodotto da ciascun capo, ma anche per la qualità raggiunta attraverso una più corretta igiene, soprattutto in fase di mungitura ottenuta attraverso l’uso d mungitrici meccaniche. La ridotta carica di cellule somatiche consente una produzione di formaggio con caratteristiche organolettiche migliori.
La qualità rappresenta un elemento fondamentale per la valorizzazione del formaggio pecorino di produzione riminese; diventa quindi molto importante valutare attentamente i parametri che influenzano la caseificazione del latte ovino, che, rispetto a quello bovino, presenta una maggiore concentrazione di grassi, proteine e vitamine.
La stagionatura si effettua in locali idonei a temperatura variabile tra gli 8 e 14° C con un elevato tasso di umidità; il tempo è variabile da 30 giorni fino oltre 6 mesi. Per favorire una regolare ed uniforme conformazione del formaggio è indispensabile provvedere alla pulitura con il siero di ricotta prodotto in giornata e al capovolgimento della forma ogni due giorni appoggiandola dal lato opposto. Una volta formatasi una crosta sufficientemente solida, l’operazione di capovolgimento può essere effettuata ogni 10 giorni. La crosta del formaggio pecorino garantisce la conservazione del prodotto oltre a rallentare il rilascio dell’umidità nel tempo, consentendo un prolungamento del periodo di maturazione e conseguentemente di acquisizione del tipico aroma.
Carattere distintivo della tecnologia di produzione del pecorino è l’impiego di caglio in pasta ottenuto dallo stomaco di capretto o di agnello; si differenzia dal caglio utilizzato per la produzione di formaggi vaccini per la presenza di un’elevata quantità di enzimi lipolitici che, agendo sul grasso durante la fase di maturazione, portano alla liberazione di acidi grassi a basso peso molecolare che conferiscono la piccantezza tipica di tali formaggi stagionati. Il pecorino può essere consumato dopo 40 giorni dalla sua produzione, se pecorino fresco e dolce, oppure dopo 6 mesi, o anche 12, se pecorino stagionato dalle caratteristiche note piccanti