– Mai avrei pensato di scrivere di Henghel Gualdi perché se n’era andato: purtroppo è così. Non erano ancora trascorse ventiquattro ore dall’ultima telefonata che gli avevo fatto, che un comune amico mi informava della sua improvvisa quanto inaspettata morte.
Ho avuto la fortuna di frequentarlo amichevolmente durante le sue permanenze cattolichine da una decina d’anni, prima lo conoscevo come qualsiasi altro ascoltatore, meravigliato per le sue straordinarie esibizioni, anzi quando ero giovane, influenzato da certi insegnanti di musica classica che impedivano a noi giovani allievi di ascoltare e tanto meno di sperimentare con lo strumento quel genere di musica, l’ho guardato anche con diffidenza.
Fino ad una sera di tanti anni fa nella quale dei miei amici mi convinsero ad andare ad ascoltarlo al Dancing Esedra. Andai verso mezzanotte, quando era l’ora del numero di attrazione, naturalmente fuori, in strada, attaccato alla rete, perché come molti studenti dell’epoca di soldi in tasca ne avevo pochi. Vi garantisco che mi parve di sognare, mi pareva persino impossibile che con un clarinetto si potessero eseguire tali virtuosità. Iniziò con una sua composizione “Passeggiando per Brooklyn”, poi “Rapsodia in blue” di Gershwin, “Malagueña” di Lequona, ma il momento culminante arrivò quando Henghel si esibì nel “Concerto” di Artie Shaw per clarinetto e orchestra. Lì ho capito che era un Grande, che poteva suonare di tutto, che aveva una solida abilità professionale, virtuosismo, fantasia, ed una rara facilità di improvvisazione che non vuol dire, come ci facevano credere, suonare a memoria, ma avere la capacità di comporre su un tema dato o su delle armonie, una evoluzione di variazioni con uno sviluppo melodico direttamente sullo strumento in forma estemporanea.
Quella sera capii che se avesse eseguito l’assolo di clarinetto dalla Tosca di Puccini, per intenderci quello dove il tenore canta “E lucevan le stelle”, Gualdi l’avrebbe eseguito con la stessa bravura del grande solista della Scala, anzi regalandoci qualche emozione in più.
Utilizzai i pochi soldi che avevo per comperare un disco 45 giri inciso da Henghel e con quello andai al Conservatorio Rossini di Pesaro dal mio insegnante di storia della musica, musicista vero anche lui. Ascoltammo il disco in un religioso silenzio, come quando si ascoltava musica classica, alla fine chiesi al Maestro un giudizio su Gualdi. Pensò un po’ e poi disse:”Con uno strumento come il clarinetto non si può andare più in la di quello che ho ascoltato, è straordinario, ma soprattutto quello che mi impressiona è l’intonazione perfetta, il timbro di uno strumento ad ancia con quella rotondità del suono, la virtuosità nell’improvvisazione pertinente e pulita”.
Lo ringraziai e lui aggiunse: “Sono io che ringrazio te per avermi dato questa opportunità” poi aggiunse “Come hai detto che si chiama il solista?” “Gualdi, Maestro, sì Henghel Gualdi” – “E’ straordinario” aggiunse.
Questo, al di là degli innumerevoli riconoscimenti nazionali ed internazionali, da quella lontana sera attaccato alla rete dell’Esedra, è stato ed è il musicista Gualdi per me. Cattolica deve essere onorata di averlo avuto per tanti anni tra i suoi cittadini.
E l’uomo? Anche qui riusciva a stupirci con la sua semplicità, la sua sensibilità, l’ironia, la sua curiosità, la sua capacità progettuale.
Anni fa ha regalato e me e mia moglie un libretto dal titolo “Henghel Gualdi Story”che l’Amministrazione Comunale di San Martino in Rio, suo comune di nascita, aveva pubblicato in occasione del suo sessantesimo compleanno. Il sottotitolo di questa pubblicazione è “Paginette da un diario di Henghel Gualdi” ed è lo stesso Henghel che si racconta con dei pensieri in dialetto.
Mi piace ricordalo così con la traduzione in italiano di uno di questi pensieri.
BIANCO O NERO E’ LO STESSO
“Cosa ricorda di importante di quei tempi, quelli là?..(riferito alla guerra) ha /capito?” Mi ha domandato uno con un microfono in mano?/”La fame”, gli dico “La fame!”/Che vergogna che non ci fosse neanche il pane per i bambini./ Quando hanno finito di ammazzarsi, è arrivato quello bianco./ Adesso è meglio mangiare quello nero, dice il dottore, sembra che / faccia meno male. Però “vigliacchi” dopo cinquant’anni ci sono ancora dei / bambini, magari negri, che non l’hanno né bianco né nero./ Uomini? non deve più capitare? se non volete arrossire / davanti a dei bambini.
A lui e Luciana io e mia moglie dobbiamo un grazie per l’amicizia sincera che ci hanno regalato.
di Raffaele Bersani