– Giorgio Montanari è morto lo scorso 10 agosto. Aveva 96 anni. Malato, da tempo non partecipava a nessun momento sociale. Per i morcianesi era semplicemente il Professore; mentre il fratello Giuseppe, anch’egli medico, scomparso pochi anni fa, era per tutti Pippo. Nelle denominazioni c’è lo stile di vita dei due: uno confidenziale, l’altro che trasmetteva una affettuosa soggezione. Forse, della dinastia dei medici, iniziata col babbo Ernesto (il fondatore della clinica Montanari di Morciano nel lontano 1913), ne è stato il fuoriclasse.
Giorgio Montanari aveva un prestigioso curriculum professionale. A Roma era stato assistente universitario di un principe della chirurgia, Paolucci, dal quale ne aveva ereditato capacità e modi. Davanti gli si presentava una carriera universitaria brillante, invece, si avvicina a casa ed ha la libera docenza in Chirurgia all’Università di Bologna e diventa primario prima a Santarcangelo e poi a Riccione. Durante la settimana era a Morciano per interventi impegnativi.
La montagna come grande passione, l’uomo invece ha vissuto con il fare dei Montanari: sobrio, lavoratore attento non meno che un certo stile di vita fatto di pudore e buon maniere. Apparteneva a quella classe dirigente di vecchio stampo che soleva dire nel momento di massima contrarietà: “Preferirei di no!”. Ha lasciato anche molti libri di chirurgia.
Da giovane gioca a pallone nella Morciano Calcio; poi fa l’arbitro. Smette col fischietto e diventa presidente della Morciano Calcio. Del suo periodo del pallone ha lasciato ore di intervista a Gianni Romani, un appassionato della storia morcianese. Da anni viveva a Riccione. Gli amici morcianesi erano Aldo Uva e Piero Filippini.
Geo Agostini, morcianese, presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Rimini, tra il 74 e l’83 è stato anestetista alla clinica Montanari, lavorando a stretto gomito con il professor Giorgio. Ricorda: “Per me era un maestro; è stato un grande professionista della chirurgia generale. Venendo dall’Università anteponeva sopra ogni cosa l’interesse del malato; sempre disponibile verso le persone. Dava confidenza, ma il suo distacco, i modi, il tono della voce, lo mettevano in una posizione di rispetto”.
Lascia due figli, Luca e Lia, entrambi lavorano alla clinica Montanari.
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Papi: personaggio, non persononaggio – Un non personaggio diventato personaggio. Morto lo scorso agosto; trovato in casa dopo alcuni giorni
– Tranne prìncipi, re, pochissime persone al mondo si possono permettere di vivere senza mai lavorare. Giorgio Papi, figura morcianese atipica ma simpaticissima, si è permesso il lusso di non dipendere mai da nessuno. Ci ha dimostrato che si può vivere anche con gli acciacchi immaginari di cui soffriva e che ingigantiva, informandosli insistentemente con gli uni e con gli altri. Chiedendo se soffrissero anche loro degli stessi malanni.
A modo suo, Papi, è stato un personaggio emblematico della vita. E’ riuscito con la sua visione tutta in retromarcia e sicuramente distorta causa la sua malattia a tenere allegro un intero paese, con le battute che gli si appiccicavano addosso, come la pece alle mani del calzolaio. Guai a chi si permetteva di consigliargli una qualsiasi terapia lavorativa. Andava su tutte le furie dicendo che la sua patologia era una cosa rara, incurabile. Molto probabilmente era così; perché non era affatto uno sprovveduto, in tutti i sensi. Dagli amici, a volte, si lasciava gentilmente prendere per i fondelli, purché costoro utilizzassero un minino di buon senso e di diplomazia. Pur non avendo quasi nulla da fare, camminava sempre con il passo da maratoneta. Quaranta anni orsono un amico burlone decise di fargli un piccolo scherzo. La giornata era battuta da un caldo infernale, l’amico d’accordo con un gruppo di giovani seduti al bar, “il Roma”, il suo preferito, si mise a parlare a sproposito del pastificio Ghigi che a quel tempo (a cavallo tra gli anni ’50 e ’60) andava a gonfie vele. Erano gli anni in cui era stata formata la famosa squadra di ciclisti professionisti, la Ghigi. Il Campionissimo era venuto a Morciano per visitare l’azienda. Giorgio era rimasto impressionato dalla magrezza del campione e diceva: “Come avrà fatto quell’uomo così alto e asciutto, con quelle gambe così secche, a diventare campione del mondo? Ma voi lo avete osservato bene?”. “Giorgio – disse l’amico Pino Ricci – quello che più conta per la bicicletta sono i muscoli”. “Ho capito! ho capito! Non la ciccia. Ma lui è uno stuzzicadenti! Per me quella Dama Bianca l’ha spolpato!!”.
“A proposito della Ghigi, Giorgio, lo sai che quando hanno formato la squadra la produzione della pasta è aumentata a dismisura?”.
“Eh, allora! Che cosa vorresti insinuare'”. “Niente, Giorgio. Solo che stanno cercando altro personale nel reparto della pasta all’uovo”.
Giorgio, capendo dove volesse arrivare uno dei suoi migliori amici, gli rispose: “Pino, non fare il pataca che a me le uova mi fanno vomitare solo a sentirle nominare”.
Giorgio volle vivere così, beatamente, con il sole in fronte, un incanto che non costa nulla. Non giudicate Giorgio per tutto ciò che non è riuscito a fare, ma per quello che è riuscito ad essere. Ciao Giorgio, a Morciano molti si ricorderanno la tua non facile vita, che hai lasciato in totale solitudine.
Il tuo amico.
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Ciccio, il barbiere: una bella persona – scomparso lo scorso 19 agosto
– Forse esiste ancora chi accompagna gli amici col vestito elegante per l’ultimo viaggio, di certo qualche volta la chiesa piena denota quanto quella persona era riuscita a farsi voler bene dalla propria comunità. Ai funerali di Domenico (per tutti Ciccio) Pecci la chiesa era talmente piena che lo ha fatto notare anche don Luigi.
Una bella persona generosa Ciccio, il barbiere. La sua più che una bottega era un luogo di veementi discussioni, di chiacchiere antiche, dove gli uomini si ritrovano da secoli per intrecciarsi al tempo che scorre. Gli amanti dello sport, dei motori (e delle donne) si incontravano nella sua barbieria; aveva fondato anche una squadra di pallavolo. Juventino sfegatato e dalla memoria ferrea, probabilmente ha raccolto tutte le locandine che recano le partite del Morciano calcio in casa; a suo modo un patrimonio. Quante mogli alla domanda, “dove sei stato?, si sentivano rispondere, dai mariti: “Da Ciccio!”.
Per anni, insieme a Giuseppe (Palèn) Sanchi, era la bottega più alla moda di Morciano. Vi passavano i giovani che facevano tendenza. Ciccio aveva imparato il mestiere a Riccione, nei pressi del Grand Hotel. Aveva impomatato la zazzera a clienti di fama, calciatori e pezzi dello spettacolo. Ritornavano per il taglio e la barba anche morcianesi che abitavano fuori; come Paolo Ghigi e Fausto Vannoni da Rimini.
La sua prima bottega è in via Pascoli, dopo la tabaccheria. Per una ventina d’anni invece le sue forbici hanno armeggiato nell’angolo tra le vie Pascoli e Marconi, dove un tempo c’erano i magazzini Rossi. L’aveva chiusa una manciata di anni fa.
Ciccio è morto lo scorso 19 agosto, a 72 anni. Lascia la moglie, Anna, e due figli, Barbara e Paolo (un ’82, anno dell’Italia mondiale e porta il nome di Rossi, capocannoniere del torneo). Qualche anno fa gli morì il figlio militare, Stefano.