Cattolica, una lunga e intensa trasformazione della città che, ancora nel 1890 era frazione del Comune di San Giovanni e nel 1896 diventò Comune autonomo. La parte vecchia era stata edificata vicino alla via Flaminia, in seguito sorsero diverse ville verso l’arenile, alcune di esse appartenevano a famiglie della borghesia cittadina, che venivano a trascorrervi l’estate.
Nel territorio comunale, grandi spazi anche centrali, erano occupati da case rurali con annessi campi arati, che nel mese di giugno esplodevano in un mare di bionde spighe di grano infiorate di “bamboz” (papaveri) con enorme effetto cromatico.
Il porto era stato costruito nel 1840 con palate di legno, per una popolazione marinara numerosa che rappresentava l’economia trainante di Cattolica con la pesca e con il trasporto di merci via mare. Il registro dei galleggianti nel 1895 segnalava l’esistenza di 107 imbarcazioni, di cui 47 barche da pesca e 60 battelli. Nella flotta, tra marinai e pescatori, erano impiegati 570 uomini. La pesca era floridissima di varie e ottime qualità, dal pesce azzurro, alle sogliole, merluzzi, seppie, razze, triglie e calamari, ecc. e poi tante vongole e frutti di mare.
Questa produzione copriva il fabbisogno della zona e una rilevante quantità veniva spedita ogni notte tramite ferrovia in vagoni merci, confezionato in cestini di vimini e con annesso ghiaccio tritato sgocciolante, fino all’arrivo nelle città che lo richiedevano.
Le case dei pescatori, sorte attorno al porto, erano costruzioni piccole e basse formate dal piano terra e un piano rialzato, avevano finestre e portoni piccoli in legno verniciato, i muri erano colorati a calce, case semplici e dignitose fornite di tutto l’essenziale.
Attorno al 1890 in queste abitazioni, d’estate arrivarono dalle città e dintorni della nostra Regione, modeste famiglie che avevano la necessità di curare al mare i loro figli. I bambini trovavano nella casa ospite coetanei che si univano a loro nei giochi in spiaggia. Tra bagni, sabbia, conchiglie e cannelli, trascorrevano le mattinate. Le mamme bagnanti sedevano sulla sabbia con le loro lunghissime vesti, si tenevano all’ombra delle piccole barche “batlen da purac” che venivano tirate a riva sulla spiaggia ogni mattina, (al porto erano ormeggiati battelli e trabaccoli) e in attesa dei figli, chiacchieravano con i pescatori intenti a rammendare le reti.
Prima di tornare a casa, i più grandi salivano sulle barchette per raccogliere nel fondo degli scafi le vongole dimenticate e ancora chiuse, che poi ponevano sulla carbonella dei fornelli di cucina per aprirle e mangiarle.
Era un gioco, in pochi giorni dall’arrivo al mare avevano imparato a gustare il pesce senza aver timore per le spine e a mangiare i “cassoni” con la piada pesce e insalata come gli amici cattolichini..
Al pomeriggio faceva sempre molto caldo, i “burdel” (bambini) sdraiati sui letti al piano rialzato non dormivano, un gioco divertente li teneva svegli, perché dalla strada assolata, la luce che penetrava dalle piccole finestre semichiuse, proiettava magicamente sul soffitto a grosse travi di legno, sagome in movimento ben disegnate.
Il gioco consisteva nell’indovinare in anticipo chi o cosa sarebbe passato. Le varianti erano: un gruppo di pescatori con “sac e panaren” (sacco e cestino); l’ambulante dei cocomeri, il carretto che portava il ghiaccio al porto; un cane o un gatto; una donna con bambino, lo stagnino delle pentole, l’ambulante della carbonella per cucinare, una donna con carrettino, ecc.
Più tardi nel piccolo cortile facevano merenda cogliendo la frutta dagli alberi, c’erano le prugne, i fichi, l’uva bianca, l’uva nera o si recuperava il cocomero dalla frescura del pozzo in cui era stato calato.
Nelle aiuole il trifoglio, le bocche di lupo e le belle di notte tornavano spontaneamente ogni estate a fiorire e così anche la pianta del profumo. Letizia la figlia di un bottegaio di città, si ostinava nel provare e riprovare ad estrarne l’essenza per creare un nuovo prodotto, ogni giorno metteva a macerare le fragranti foglie con risultato deludente, mentre Nerino, suo fratello, tentava di vendere ai passanti le cappe, i cavallini marini e le stelle di mare (questi ultimi due esemplari bellissimi, oggi sono ormai estinti), con scarsissima fortuna, perché coloro che venivano invitati a comprare erano quasi sempre marinai che le raccoglievano nelle loro reti.
Le persone che abitavano nelle ville, quando transitavano di lì, camminavano in mezzo alla strada “drit cume baston e si pid chi in tucheva sal tren” (dritti come bastoni e con i piedi che non toccavano terra) e si tenevano a distanza dai carretti del pesce e dai pescatori come temessero di macchiarsi gli abiti bianchi.
Trenz, Tonina e Gianén i bambini della casa, ridevano divertiti delle strane idee dei loro amici e li prendevano in giro affettuosamente.
La sera abitanti e villeggianti sedevano davanti ai loro portoni di casa ad attendere fino a tardi che scendesse il fresco “at chèsa us buliva” (in casa faceva troppo caldo). Gli uomini erano alla pesca, partivano di pomeriggio per tornare al mattino seguente.
Non passò che qualche anno quando alcune mogli dei pescatori aprirono le prime piccole locande. I mariti arrivavano ogni mattino dal porto con un bel cesto di pesce da servire a tavola ai loro clienti. Si era formato in quelle case lo spirito d’intraprendenza commerciale di Letizia e Nerino per vincere stavolta sui loro acerbi, ingenui, progetti mancati, una rivincita indirizzata a migliorare nel tempo l’economia del paese.
Dati storici tratti da “Storia di Cattolica” di Maurizio Castelvetro
Di Antonio Barbieri