L’INTERVISTA
– Con Gianfranco Cenci continua il viaggio in cerca di politici e amministratori del passato. Si è già intervistato Ferdinando Staccoli, sindaco di Montegridolfo. Vedremo com’era la politica allora e com’è oggi. Differenze e similitudini. Quali erano i valori e i sentimenti. Insomma, raccontare il tempo che fu per capire il presente e proiettarsi sul futuro. Senza paure e con l’etica della responsabilità.
– Siamo ad alcuni anni fa nella zona di Montecerignone, il buon ritiro di Umberto Eco, in una giornata di pioggia. Gianfranco Cenci e signora sono per la classica scampagnata della domenica. Si fermano in un chiosco per una piadina ed un bicchiere di vino. Non si sa come, viene fuori che lì vicino si vende un rudere. E ancora non si sa il perché, i marignanesi lo vanno a vedere. Lo acquistano. Il sindaco di San Giovanni tra gli anni Novanta, mattone dopo mattone, infisso dopo infisso, lavoretto dopo lavoretto, se lo ristruttura da solo. E’ andato perfino a raccogliere le pietre nei campi per tirare su il muretto come recinzione. Ha iniziato come “manovale” ed ha finito l’avventura come “muratore”.
Allora Cenci com’è questa politica?
“Piena di errori da parte nostra, non ci sono tanti dubbi e giri di parole. Basta guardare le nostre colline per rendersene conto. Le abbiamo cementificato a casaccio, incidendo proprio un brutto segno. Sono lo specchio della crisi dell’economia, delle istituzioni, della politica. I nostri padri ci hanno consegnato un testimone pieno di aspettative, con la speranza dei diritti civili. E nel dopoguerra, per alcuni decenni, l’economia è cresciuta, i diritti sono aumentati, la qualità della vita migliorata. Una bella escalation, che sembrava scontata quanto inarrestabile. Insomma, abbiamo vissuto l’era delle conquiste…”.
E poi che cos’è successo?
“E’ successo che se non stiamo attenti, il nostro faticoso patrimonio fatto di tante tappe può crollare da un momento all’altro; sotto qualcuno sta demolendo i pilastri. Il benessere comune non coincideva (coincide) più con i valori, ma con l’immagine, i simboli del consumismo. La sintesi di questa svolta: è stata la debolezza della politica; più di qualcuno l’ha anche demonizzata, dicendo che era meglio non occuparsene. Che c’era la società civile contrapposta ai partiti. Alla politica. E’ dalla fine degli anni Ottanta che la politica ha perso il ruolo di guida, di possedere un’idea di società e di quale percorso fare per raggiungere gli obiettivi”.
Politica, ma come andare a ricominciare?
“Dalla base. La famiglia. La scuola. L’ambiente. I comuni, gli enti locali, lo Stato si devono riappropiare di questi principi, con obiettivi ben chiari; perché dal mio punto di vista la crisi economica è figlia della crisi delle coscienze.
La famiglia è centrale nella costruzione di una comunità migliore di questa; è un microcosmo di buoni comportamenti, di sane abitudini. E’ insostituibile. La scuola viene solo dopo; non deve essere il parcheggio dei giovani che non sanno che cosa fare, ma il luogo della preparazione umana prima e dei saperi poi. Le istituzioni scolastiche hanno prodotto troppa carta e pochi uomini.
Detto questo, va ripensato il nostro rapporto con la natura. L’abbiamo massacrata, l’abbiamo abbandonata, facendola diventare la prosecuzione degli abitati. Abbiamo anche dimenticato di fare i fossi; si facevano per le acque mica per ragioni estetiche. L’agricoltore era colui che presidiava e controllava. Oggi, ad ogni pioggia c’è da avere paura.
Non voglio essere frainteso, quanto detto non significa che dobbiamo abbandonare l’innovazione, anzi. La modernità va soltanto coniugata con l’abc del quotidiano, con i saperi del passato, altrimenti si rischia di gettare via l’acqua sporca col bambino”.