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Restauro del moderno, progettare nel già costruito

Redazione di Redazione
30 Settembre 2013
in Cultura, Gabicce Mare, In primo piano
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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di GIOVANNA MULAZZANI *

Vanto e al contempo eccellenza architettonica presente nel comune di Gabicce, il complesso fu progettato e realizzato alla fine degli anni ’60, per l’editore Mazzocchi fondatore di Domus e di tante riviste che hanno rivoluzionato l’editoria dallo studio BBPR, uno tra gli studi più importanti nella storia dell’architettura moderna italiana. Il convegno è iniziato con la relazione del professor Luigi Spinelli del politecnico di Milano-scuola di architettura, che ha raccontato la storia del luogo, iniziando dalla casa che esisteva prima del complesso progettata dall’architetto Melchiorre Bega, sempre per la famiglia Mazzocchi, nel 1943.

gabiccedomus
In visita a Castel Paradiso. Di spalle Giovanna Mazzocchi, editrice di Domus e Quattroruote

Sulle tracce di questa casa che ha subito i danni di guerra, il relatore ha concluso dicendo che” il complesso residenziale di Castel Paradiso, trenta alloggi articolati in due edifici attorno agli spazi aperti, dove i volumi e le forme, i materiali e i colori gli stessi della falesia – concorrono ad un concetto di inserimento ambientale, tema caro ai progettisti”. Quindi quale significato migliore per una architettura moderna quella di aver aperto le porte ad esperti provenienti da diverse università che durante la giornata di studi, conclusasi con una tavola rotonda al Grand Hotel Michelacci, hanno esposto, e analizzato la problematica del riuso del moderno da diverse angolature? Perché è così attuale ed importante oggi parlare del “restauro del moderno”? Quesito che ci porta nel vivo del convegno. Il tempo ha consegnato alla storia non solo italiana, un patrimonio enorme rivalutato grazie a tutti gli studiosi che con atteggiamento militante hanno difeso strenuamente la continuità del movimento moderno nei confronti di coloro che invece ne decretavano l’epilogo. Così a cominciare dalla fine degli anni ottanta, l’esigenza della tutela del patrimonio architettonico del Novecento ha suscitato un vivace dibattito che ha visto da sempre protagonista il professor Sergio Poretti docente alla facoltà di ingegneria di Tor Vergata a Roma e già presidente di DO.CO.MO.MO Italia. E, mentre scorrevano le immagini del restauro del Palazzo delle poste di via Marmorata a Roma realizzato di Adalberto Libera nel 1933, ci ha raccontato che “il restauro del moderno ha innescato una svolta nella storia dell’architettura italiana del Novecento. Con l’esigenza di conservare alcuni capolavori si è avviato un processo di riappropriazione di un patrimonio rimasto a lungo estraneo nel Paese”.

A tale proposito la relazione dell’ingegnere Francesca Franchini dell’università di Padova, ha focalizzato l’attenzione sul grande patrimonio delle Colonie Marine volute da Mussolini attraverso l’ONB, individuando soprattutto quelle in cui si “intrecciano innovazione dei materiali, tecniche strutturali e costruttive, con la ricerca metodologica, funzionale e formale. Oggi tali architetture si trovano in una condizione che si può vedere come ottimale per un recupero – virtuoso – non solo dell’edificato, ma anche del contesto ambientale”. Sul tema della tecnica e di come la storia della costruzione è fondamentale per capire un’opera e come questa si è sviluppata, ha parlato il professor Umberto Turrini del dipartimento ICEA della facoltà di ingegneria dell’Univeristà di Padova, presentando il riuso dell’ex cinema Excelsior, dalla lunga storia nata nel 1905, riconvertito in store di lusso su progetto di Jean Nouvel. “Il recupero di edifici in cemento armato di inizio secolo per un riutilizzo con nuove funzioni e destinazioni d’uso rappresenta oggi giorno una nuova opportunità che fino a pochi anni fa era appannaggio dei soli edifici tradizionalmente costituiti da organismi portanti composti da murature e orizzontamenti lignei o voltati.” Pensiamo all’importanza che hanno gli studi sulle prime strutture in cemento armato inventate da Nervi, ed il rapporto con la tradizionale tecnica muraria, per capire come impostare un progetto di riuso all’interno di una disponibilità funzionale e di volumi di grandi dimensioni. Si analizzano oltre alle poetiche, le pratiche connesse alla riprogettazione affinché un manufatto in abbandono possa rientrare nella vita del tessuto urbano in cui si trova dando una nuova esistenza a volumi che hanno perso qualsiasi relazione con il divenire. Faticosamente, accanto alla storia dello stile prende corpo la disciplina che studia la materia, e la tecnica della costruzione all’interno di una grande sperimentazione sui materiali che i progettisti affrontavano cantiere dopo cantiere e soprattutto nelle opere pubbliche. E proprio dalla sperimentazione degli anni ’30, dalla scoperta di nuovi materiali, che si vengono tessendo i più solidi fili di continuità che sotto diverse apparenze connettono intimamente il modernismo anteguerra l’architettura della ricostruzione.

Proprio a questo periodo ci ha portato la relazione degli architetti Michele Bonini e Barbara Balassone presentando un progetto di recupero di una fabbrica dismessa localizzata a Fermignano. L’ex lanificio Carotti. Seppur differenziandosi per datazione storica considerato che parliamo di una architettura industriale che ha visto succedersi temporalmente storie importanti, il terreno comune con le architetture moderne, dicono i progettisti “sta nel parlare di Recupero, non inteso in senso strettamente tecnologico, ma in una visione più generale, metodologica del Giusto Recupero inteso come progetto nel già costruito”.

Dopo le relazioni, e prima della pomeridiana tavola rotonda a cui è intervenuto anche il prossimo nuovo direttore di Domus professor Nicola di Battista, c’è stato un momento particolarmente emozionante quando a fine mattina, l’architetto Belgioioso, figlio del progettista e memoria storica dello studio e la dottoressa Mazzocchi che ha preso l’eredità culturale del padre, hanno condotto i partecipanti a visitare il complesso e gli alloggi che ancora portano il segno del progetto iniziale. Tra una vialetto e l’altro e con gli aneddoti di cantiere del costruttore Bertozzini che lo realizzò, si è materializzato il senso di questo luogo: “L’architettura è la volontà di un’epoca tradotta in spazio” (Mies van der Rohe ).

* Architetto in Gabicce Mare

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Tags: Castel Paradisogiovanna mulazzanimodernorestauro
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