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Tra le contestazioni è nato il Consorzio della Piadina Romagnola

Redazione di Redazione
13 Maggio 2013
in In primo piano, La buona tavola
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
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PRESENTAZIONE Tutti i diretti interessati alla Chiesa dei Servi di Casa Artusi a Forlimpopoli.

di MILENA ZICCHETTI

Il Consorzio di Promozione della Piadina Romagnola è ormai una realtà nata, come si vedrà, senza qualche critica. Partiamo dall’inizio. Quali sono gli obiettivi del Consorzio? “Il nostro obiettivo principale – spiega il presidente Elio Simoni – sarà quello di valorizzare al massimo la Piadina Romagnola. Il riconoscimento IGP non è altro che un primo traguardo, al momento tutto Italiano, ma siamo ora in attesa che anche la Comunità Europea si esprima in tal senso. Proprio per questo motivo, abbiamo organizzato un evento a Bruxelles dove parleremo di questo prodotto storico che ci rappresenta e organizzeremo una sorta di degustazione. Il progetto è iniziato una decina di anni fa, ma il lavoro è ancora lungo e pieno di salite che cercheremo di superare”.

Ma vediamo nello specifico cosa prevede il disciplinare di produzione della indicazione geografica protetta. E’ stato identificato il nome da proteggere: Piadina o Piada Romagnola. La descrizione del prodotto, secondo il quale vengono riconosciute le due tipologie di piadina: una con un diametro minore (15-25 cm) ma più spessa (4-8mm) e l’altra con un diametro maggiore (23-30 cm) e più sottile (fino a 3 mm). In questo ultimo caso è obbligatorio aggiungere sulla confezione l’indicazione “alla Riminese” al fine di fornire maggiore chiarezza al consumatore. Gli ingredienti: farina di grano tenero, acqua quanto basta per ottenere un impasto omogeneo, sale pari o inferiore a 25 grammi, strutto e/o olio di oliva fino a 250 grammi (è consentita l’eventuale aggiunta di agenti lievitanti ma non di conservanti, aromi o altri additivi). La descrizione del metodo di ottenimento: la preparazione dell’impasto, la porzionatura in pani o palline, la laminatura che può essere manuale con l’uso del matterello oppure meccanica attraverso la laminatrice, la cottura che varia dai 200 ai 250°C con un massimo di 4 minuti e il raffreddamento. Nel caso in cui almeno tre di queste fasi siano effettuate manualmente e in assenza di confezionamento chiuso, potrà essere affiancata al Logo la dicitura “lavorazione manuale tradizionale”. Altra condizione fondamentale, la definizione della Zona di Produzione e quindi le province di Rimini, Forlì-Cesena, Ravenna e i Comuni della provincia di Bologna a sud del corso storico del fiume Sillaro (l’imolese). Si sottolinea altresì che tutte le fasi di produzione, incluso il confezionamento, devono essere eseguite nella zona indicata.

E’ proprio sul disciplinare che sono arrivate diverse contestazioni e, a tal proposito, sono stati tirati in causa anche Slow Food Emilia Romagna e la Confesercenti: entrambi assolutamente in disaccordo sul riconoscimento di marchio Igp per la piadina industriale. Questi si sono infatti già opposti a quanto previsto nel disciplinare, inviando una nota alla Comunità Europea spiegando che “la vera Piadina Romagnola è quella preparata dai chioschi, fresca, manualmente e non si può paragonare in nessuna maniera a quella prodotta industrialmente e conservata nei sacchetti di plastica per la vendita nei supermercati”.

La risposta, da parte di Simoni, è stata piuttosto secca. “E’ stato tenuto conto di queste problematiche, ma dobbiamo riconoscere che la produzione dei chioschi è limitata ad una determinata zona e non possiamo permettere che questo prodotto sia a disposizione delle sole persone che vivono in Romagna. Se così fosse, il turista che viene da noi e si innamora della Piadina Romagnola, dovrebbe attendere di ritornare in vacanza per poterla rimangiare. Affidare la produzione, secondo il disciplinare, anche ad aziende più strutturate, ci permette invece di fare entrare questo prodotto anche nella grande distribusione, raggiungendo il resto d’Italia o del mondo. Per premiare la produzione artigianale, è stata data la possibilità di inserire una dicitura al logo in cui si fa cenno alla lavorazione manuale tradizionale”. Ma è proprio questa ultima affermazione a risultare “beffarda” nei confronti di chi sta portando avanti una tradizione che esiste da sempre.

Presso la suggestiva Chiesa dei Servi di Casa Artusi a Forlimpopoli, il 22 marzo scorso, è andato così in scena il primo atto ufficiale del Consorzio dopo il riconoscimento dell’IGP (Indicazione Geografica Protetta). Al momento inaugurale erano presenti Tiberio Rabboni, Assessore dell’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, Elio Simoni e Paolo Migani, Presidente e Direttore del Consorzio e gli Assessori all’Agricoltura delle quattro province coinvolte: Rimini, Forlì-Cesena, Ravenna e Bologna per quei comuni che fanno parte della Romagna.

Quattordici le aziende artigianali o semi-industriali del Consorzio che ad oggi rappresentano l’intero territorio e che possono fregiarsi del marchio IGP: Adp (Riccione), Alimenta Produzioni (Riccione), Compagnia della Piada (San Giovanni in Marignano – Rn), Piadina Le Vele (Bellaria Igea Marina), Riviera Piada (Rimini), Piada d’Oro (Saludecio – Rn), Acquamarina (Coriano – Rn), Alla Casalinga (Roncadello Forlì), Come una volta (Forlì), Gitoma (Bagnacavallo – Ra), Deco Industrie (Bagnacavallo), Gastone (Ravenna), Graziano Piadina Romagnola (Massa Lombarda), Negroni (Castel Guelfo – Bo).

Un numero questo destinato a crescere, dal momento che sono in corso di valutazione nuove adesioni da parte di piccole e medie aziende del settore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Tags: consorzioigppiadina romagnolaproduttori piadina romagnola
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