E’ al Vinitaly lo scorso 7 aprile che per la prima volta abbiamo sentito dire, autorevolmente, circa l’esistenza di un un atto notarile datato 1672 che attesterebbe, proprio in quell’anno, la coltivazione del Sangiovese a Casola Valsenio, nell’Appennino faentino. A svelare i dettagli è Beppe Sangiorgi, storico e giornalista, (nella foto lapiazzarimini.it presso lo stand del Consorzio vini di Romagna al Vinitaly e sotto in una panoramica), che si è preso la briga di consultare circa 200 testi italiani e stranieri editi dal 1600 a oggi. Ricerca pubblicata, per iniziativa del Consorzio Vini di Romagna, con prefazione dello storico dell’alimentazione Massimo Montanari, nel libro Sangiovese vino di Romagna – Storia e tipicità di un famoso vitigno e di un grande vino (Valfrido EdizioniPag.110. €10,00).
Volume che nella seconda parte, curata da Giordano Zinzani, enologo e presidente del Consorzio Vini di Romagna, descrive il terroir romagnolo e le varie tipologie e denominazioni nelle quali si articola l’attuale produzione viticola ed enologica del Sangiovese in Romagna. Incrociando la constatazione che il Sangiovese è inizialmente presente nell’area imolese-faentina con la convinzione di gran parte degli studiosi che individuano l’origine del Sangiovese nella parte montana dell’Appennino Tosco-Romagnolo, Sangiorgi ha ipotizzato che la culla di tale vitigno, figlio di un vitigno toscano e di un vitigno meridionale emigrato in Toscana, sia stata nella prima metà del secondo millennio la parte alta delle vallate dei fiumi Lamone, Senio e Santerno. E precisamente i monasteri vallombrosani di Crespino e Santa Reparata (Marradi), Susinana (Palazzuolo sul Senio) e Moscheta (Firenzuola), tre comuni amministrati da Firenze ma posti nel versante romagnolo dell’Appennino. Dai gioghi dell’Appennino il vitigno è sceso, da una parte lungo le vallate faentine e imolesi prendendo il nome dialettale di sanzuves (contrazione di sangue dei gioghi) e poi sanzvés, italianizzato in sangiovese, nome che ha sempre mantenuto diffondendosi nel ‘700 nel resto della Romagna. Dall’altra parte, è sceso in Toscana assumendo i nomi di Sangiogheto, Sangioeto, San Zoveto e Sangioveto e solo dalla metà dell’800 di Sangiovese. Il vitigno non solo ha assunto due nomi differenti di qua e di là dell’Appennino, ma ha sviluppato nei secoli anche caratteri diversi stante la sua grande sensibilità al terroir.
A partire dalla metà dell’800 il Sangiovese e il Sangioveto si sono poi diffusi nelle altre regioni dell’Italia centrale e, verso la fine del secolo, la denominazione romagnola “Sangiovese” si è via via affermata, anche in Toscana. E non solo dal punto di vista linguistico, ma anche materiale, attraverso il reimpianto dei vigneti distrutti dalla fillossera. Non rimane che acquistare questa preziosa e imperdibile opera e attendere eventuali “contromosse” o “controprove”. Sempre che ce ne siano.
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