di MILENA ZICCHETTI
“La Scienza in Cucina e l’Arte di mangiare bene”, meglio conosciuto come “L’Artusi”, è stato pubblicato per la prima volta nel 1891. Le ricette in esso contenute e che hanno seguito le nostre nonne e prima ancora le nostre bisnonne, fanno ancora parte della nostra tavola e del nostro vissuto quotidiano? In definitiva: la cucina di Pellegrino Artusi, è moderna o superata? E’ questo l’interrogativo con cui ci siamo lasciati prima del “Processo”, tenutosi ieri sera a La Torre – Villa Torlonia. A decidere se fosse superato, come ha sostenuto l’accusa, o moderno, secondo la tesi formulata dalla difesa, è spettato al pubblico presente, non semplice spettatore ma parte attiva del processo. Su 372 presenti, ben 288 hanno votato per l’assoluzione di colui che è stato più volte definito il padre della cucina italiana. 76 sono stati coloro che lo hanno considerato ormai superato e 8 gli indecisi e quindi astenuti al voto. Poteva la Romagna “tradire” uno dei suoi simboli?
Il primo capo di imputazione è arrivato da Silverio Cineri, chef e titolare dell’omonimo ristorante in quel di Faenza. Come tecnico dell’accusa, ha premesso che non si può nascondere il fatto che l’Artusi sia un manuale di spessore e di valore, ma al contempo “è anche vero che Pellegrino Artusi “è stato un gourmet, non un cuoco, pertanto un punto di condanna c’è – sostiene Cineri. – Ha infatti trasformato la cucina italiana in una cucina tutta sua, prendendo solo le ricette che gli piacevano particolarmente e trasformandole a suo piacimento, seguendo i suoi gusti e adattandole al suo particolare stato di salute”. Concludendo, non ha creato nulla di nuovo, ha semplicemente riportato le ricette di altri, ricette peraltro oggi assolutamente superate, negli ingredienti, nei pesi e nelle preparazioni, “non abbiamo più il metabolismo dei nostri avi – conclude – per non parlare poi del suo utilizzo eccessivo di noce moscata, che copre in modo eccessivo i sapori”.
Per niente d’accordo il giovane chef Alberto Faccani, poco più che trentenne ma con un forte attaccamento alle tradizioni nonostante la cucina moderna e all’avanguardia praticata presso il suo ristorante Magnolia di Cesenatico. Esordisce annunciando che “è un grande onore difendere Artusi e il suo manuale”. Secondo Faccani infatti, mettere in discussione l’attualità di Artusi, significa mettere in discussione le radici culturali dell’intera cucina italiana. “Ha tutte le carte in regola per vincere il processo ed essere ancora attuale – prosegue infatti lo chef. – Se per attualità si intende il copia-incolla delle ricette, allora è evidente la sua non attualità: i tempi sono cambiati, così come gli ingredienti, le tecniche… ma non le basi che lui insegna nel suo manuale, quali l’utilizzo di soli ingredienti di stagione e l’importanza delle materie prime di qualità, un ragionamento assolutamente all’avanguardia per il tempo in cui lui viveva”.
Interessante e nuova la definizione risultata dal dibattito di un Pellegrino Artusi “raccoglitore dilettante di ricette”. A pronunciare questa frase d’effetto, che non ha lasciato indifferenti gli esponenti di Casa Artusi presenti in giuria, è stato l’avvocato dell’accusa, il giornalista esperto in gastronomia Alfredo Antonaros che nonostante la sua posizione, ha dichiarato apertamente di “non avere l’assoluta certezza della sua colpevolezza”. Secondo l’accusa, Artusi non può comunque essere considerato attuale, ma non per colpa sua, sono i tempi che sono cambiati, così come il nostro rapporto col cibo. “E’ anche vero – da detto ancora Antonaros – che a Pellegrino Artusi, già di per sè, come persona e come uomo, non gli interessava forse essere attuale. Basta guardare quell’unica immagina esistente che lo ritrae con quei suoi lunghi basettoni, già antica e superata anche per la sua stessa epoca”.
C’è dell’altro. ” Il manuale dimentica la cultura popolare, Artusi non ama il mondo contadino. Così come Artusi non ama la modernità. Il suo libro esce nel 1891, anno di grandi eventi in Italia e nel mondo, vissuti da lui con distacco e con l’unica preoccupazione rappresentata dalla sorbettiera”, ha detto con ironia. Infine l’affondo: “Artusi dimentica il vino: com’è possibile che un volume con 790 ricette citi solo una decina di vini, in anni nei quali l’enologia era in pieno rigoglio nella sua Toscana e in Piemonte? Questo è il vero peccato capitale dell’Artusi”.
Per lo storico riminese Piero Meldini, avvocato della difesa e membro del Comitato Scientifico di Casa Artusi, “l’Artusi è come il libro de I Promessi Sposi del Manzoni: non ha una ruga”. Dalla relazione è emersa l’indubbia importanza del manuale sotto il profilo letterario per il linguaggio utilizzato, “ma l’Artusi è ancora attuale per la sua idea di cucina – specifica Meldini – una cucina eclettica, aperta non solo all’Italia, ma al mondo intero, per non dimenticare poi che è stato il primo a coniugare piacere e salute nelle ricette. Se per attuale si intende moderno, allora convengo col fatto che l’Artusi non lo sia. Ma se così non fosse, il 70% dei piatti da lui proposti sono ancora attuali e si possono ancora oggi cucinare seguendo passo a passo la ricetta o al limite apportando giusto qualche modifica”. Ma Meldini “cattura” la giuria nell’ultimissima battuta del suo intervento. “Se si condanna Artusi si condannano tagliatelle, passatelli, cappelletti: decenni di cucina. La Romagna non può voler questo”.
Cosa ne pensano altri chef di tutto questo? Secondo lo chef Alberto Faccani, “qualsisasi cuoco deve partire dall’Artusi”, ma a quanto pare non tutti la pensano allo stesso modo. Il primo a fare outing è stato lo chef Pier Giorgio Parini del Povero Diavolo di Torriana che, in una intervista ad un quotidiano locale, ha sottolineato quanto Pellegrino Artusi sia “un personaggio superato, che rappresenta oltre tutto solo una parte della tradizione gastronomica, quella legata alla cultura borghese e non certo a quella popolare”. Una stella Michelin contro l’altra, quindi. A portare il punteggio “pro-Artusi” ci pensa lo chef Gian Paolo Raschi del ristorante Guido di Miramare di Rimini che l’ha definito la memoria del gusto. “Io nasco dalle idee di Pellegrino Artusi e dalla sua cultura gastronomica – ci rivela – per cui non posso assolutamente essere d’accordo con chi afferma che è superato. Non lo è assolutamente e certi parametri che lui utilizza sono quelli e non possono essere diversamente. Poi certo, ognuno di noi parte magari dalla ricetta base per poi modificarla e renderla più moderna e adatta ai giorni nostri, ma… voglio dire… il cappelletto romagnolo è il cappelletto romagnolo! Credo di aver detto tutto”. Dello stesso parere anche Massimiliano Mussoni, chef de La Sangiovesa di Santarcangelo che esordisce con un “bravo Alberto! Penso che noi cuochi non possiamo rinnegare la figura di Pellegrino Artusi. Solo dal passato arrivano le più grandi innvazioni e chi rinnega la storia non potrà mai essere innovativo, sia che si tratti della cucina della tradizione o d’autore. Teniamolo stresso e, ogni tanto… ringraziamolo!” (Nella foto di copertina il pubblico mentre vota – lapiazzarimini.it).
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