di ANNAMARIA BERNUCCI
Di Aldo Rontini si è chiusa recentemente una mostra importante svoltasi al Museo della Città di Rimini dal titolo ‘Dei gessi’, curata da Peter Weiermair con un intervento critico di Vittorio Sgarbi. Sin dalla sua fondazione come ‘agenzia’ di promozione e attività culturali e di custodia del patrimonio librario, il Centro Culturale Polivalente di Cattolica ha avuto la vista lunga sui linguaggi e le espressioni dell’arte contemporanea. Cioè è sempre riuscito a cogliere gli aspetti innovativi di ricerca, la qualità degli interventi artistici e dei protagonisti. Proprio nel 1980 alla Galleria Comunale S. Croce di Cattolica venne presentata una rassegna intitolata Nuova Ceramica curata da Franco Solmi allora direttore della Gam di Bologna (la Galleria d’arte Moderna della città felsinea) il quale si era fatto paladino di un gruppo di giovani artisti che usavano un nuovo linguaggio lontano dalle diramazioni dell’informale imperante, cresciute devotamente all’ombra di un faentino illustre, Carlo Zauli.
Massimo Pulini
Tra questi giovani emergenti c’era Aldo Rontini che lasciò in dono al Centro Culturale alcuni pezzi della sua produzione d’allora, utilizzando
la tecnica della fotoceramica. Queste opere sono esposte all’interno della Biblioteca di Cattolica, visibili al pubblico. Di Aldo Rontini si è chiusa
recentemente una mostra importante svoltasi al Museo della Città di Rimini dal titolo Dei gessi, curata da Peter Weiermair con un intervento
critico di Vittorio Sgarbi. Un’occasione per rileggere l’opera complessiva di questo scultore che ha fatto della ceramica uno strumento per
approdare ad altre elaborazioni e ricerche sulla forma e concedersi una rilettura della storia dell’arte. Incontrare l’artista nel suo studio, nel centro più segreto di Faenza, a due passi dal neoclassico Palazzo Milzetti, significa immergersi in un’atmosfera in cui tutte le fasi progettuali e lavorative, laboratoriali e inventive sono in comunione, fuse assieme. Rontini è attratto dalle forme del volto e del corpo, declinati sino alle soglie di un’astrazione simbolica, è sedotto da anatomie o porzioni di esse innestate in cavità e contenito ri dalla ambiguità surreale. Soprattutto è preso dall’osservazione di forme mutanti assecondando un suo gusto all’iperbole.
Compaiono allora tra le sue forme gusci e valve che si schiudono in tentacolari torsioni di busti, in metamorfiche addizioni. Tutto è attraversato da un’eroticità ironica e anche sottilmente perturbante. Ma accanto a questo c’è nel suo lavoro una buona dose di disincanto verso il passato e verso la memoria simbolica, un bisogno laico di sovversione. Ciò si traduce in corpi naturali innaturali, ma anche in cuori trafitti come ex voto o in grandi occhi dalla pupilla cieca a dimostrazione dell’interesse di Rontini per elementi archetipici e arcaici. Un repertorio figurativo che la dice lunga sulle sue predilezioni, dove si mischia il richiamo ad una tradizione di matrice classica ma anche ad una compostezza olimpica. Va detto che Rontini guarda e assorbe la grande esperienza nutritiva e di formazione dello scultore Domenico Rambelli che, tra i ripetuti risvegli dell’arte
faentina nel corso del ‘900, rappresentò un riferimento per un’intera generazione; anche la scultura di Adolfo Wildt, è nel podio delle predilezioni di Rontini con quella sua esclusiva iconografia fatte di poche linee scarne e di edonismo ascetico, nel quale il calore della vita sposa il freddo della morte. Il corpo umano e il corpo nudo nella rappresentazione dell’arte possiedono una storia millenaria e una lunga teoria di
tabù infranti. Rontini si concede licenze controllate nella raffigurazione e distillazione del corpo maschile. Fuoriesce la bellezza del desiderio che si imprime negli occhi come condizione del tempo e motore delle vicende umane, istinto insopprimibile e naturale. Sono corpi i suoi che contengono futuro e memoria arcaica, reinvenzione e ricerca perfezionistica del dettaglio, esibizione e atletismo. “La finitura di una forma modellata con le mani nude è destinata a differire da quella scolpita con l’uso di scalpello e martello” – scrive nella prefazione Massimo Pulini a proposito della scultura di Rontini – ma quella antica antinomia tra l’aggiungere e il sottrarre, tra il togliere materia al blocco o dare forma e volume sul tornio sembra risolta da Rontini con la forza suadente del suo tatto e della sua invenzione.