– Glauco Selva da una ventennio studia la Divina commedia. Tiene anche lezioni pubbliche a Riccione. Inizia a raccontare i personaggi ed i luoghi danteschi legati alla provincia di Rimini e Pesaro.
– Di Dante Alighieri non conosciamo la data di nascita ma si può ricavare dalle sue opere e si fa cadere nel segno zodiacale dei Gemelli nel 1265.
Il sommo poeta, il padre della lingua italiana ebbe numerose e costanti frequentazioni con la Romagna.
Nella Divina Commedia ne cita persone con le quali ha avuto rapporti diretti oppure ne descrive luoghi necessariamente visti.
Il nome originale è Comedia, sarà Boccaccio a definirla Divina e solo nel ‘500 verrà pubblicato il primo testo col nome che conosciamo.
Nel pensare a Dante dobbiamo togliere quell’alone di bacchettone, un po’ uggioso dato dai commentatori letterari.
Caratterialmente era una persona con tante sfaccettature. Dal poeta che descrive la donna angelicata come veicolo per salire al cielo al play boy navigato in cerca di preda.
Dal letterato moralista un po’ scontroso, al ragazzo della gita fuori porta con l’allegra brigata degli amici. Le loro scorribande in Romagna non avevano nulla di uggioso, si andava a far baldoria
…e quivi a ragionar sempre d’amore, vere e proprie spedizioni goderecce, come le zingarate del conte Mascetti e della sua cricca nel film Amici miei di Monicelli.
Cercavano quello che Firenze, arricchita, dedita agli affari, dilaniata dalle lotte politiche, non poteva dare a dei ragazzi in vena di baldoria.
Della Romagna erano ospiti abituali, ne apprezzavano la cucina, l’ospitalità della gente, la pace dei luoghi ma godevano pure delle floride arzdore romagnole di cui ammiravano il piglio condottiero.
Venire in Romagna, la Romània latina, la Romandiola medievale, la piccola Roma, significava rivivere i fasti della capitale scomparsa. So
tto le architetture e i mosaici di San Vitale o di Galla Placidia ritrovava i suoi avi.
C’è una intera storia fatta di luoghi, di personaggi, di va e vieni che si mescolano tra Toscana e Romagna perpetuata fino ai giorni nostri.
Nel 1403 la signoria dei Medici acquista la città di Castrocaro ponendo le basi per la Romagna toscana che durerà fino all’unità d’ Italia sotto il Granducato di Toscana e poi come provincia di Firenze. Sarà Mussolini ad aggregarla alla provincia di Forlì nel 1923. Ancora oggi al di qua del crinale appenninico c’è la zona di Marradi e che appartiene politicamente alla regione Toscana.
Dal passo del Muraglione erano molti i fiorentini che scendevano ai porti costieri per imbarcarsi verso i ricchi mercati dell’Oriente, preferendo il mare Adriatico, più sicuro nella navigazione e non infestato dai pirati come il Tirreno.
Il primo rifugio di Dante esiliato è in Romagna, dagli Ordelaffi di Forlì e i Guidi nel Casentino. Poi presso l’amico, capitano di ventura di fede ghibellina, Uguccione della Faggiuola nei castelli di Montecerignone e di Casteldelci.
Durante il suo breve e folgorante impegno politico fino ad occupare le più prestigiose cariche della città, era stato ingiustamente condannato per baratteria (oggi diremmo per interessi privati in atto pubblico e in modo strumentale dagli avversari politici), e bandito dalla sua città: aveva sul capo una pena di morte sul rogo e una per il taglio della testa. Doveva spostarsi continuamente da stato a stato e a volte sotto mentite spoglie. Dante viene fuori dalla carriera politica con le ossa rotte e fortemente indebitato. Oggi non usa così!
Termina la sua corsa terrena a Ravenna e lì muore di malaria nella notte tra il 13 e il 14 di settembre del 1321 al ritorno di una ambasciata atta a scongiurare l’attacco di Venezia ai Da Polenta.
Per noi della Val Conca è molto suggestivo che Dante abbia preso spunto dalle grotte di Onferno per il suo Inferno, ma è altrettanto significativo che il nome della località ai tempi di Dante fosse Inferno e non Onferno.
La morfologia del luogo con i calanchi brulli e spogli contrastava fortemente con le campagne di allora fatte di boschi e foreste. Ancora oggi ci dà l’dea di un paesaggio infernale. L’interno della grotta visto con le fiaccole gli hanno evocato le ombre e le fosse infernali. Per l’uomo del Medioevo, impregnato di cultura cristiana, era usuale parlare o figurarsi immagini dell’ inferno o del paradiso: ci sono riferimenti letterari che descrivono o cantastorie che vanno declamando per i borghi queste figure.
D’altra parte per creare il Paradiso terrestre, l’Eden, posto sulla cima della montagna del Purgatorio, cita una scena bucolica vista nella pineta di Lido di Classe.
Il primo personaggio col quale ha un dialogo è proprio Francesca da Rimini. La protagonista dell’amore che vive dopo la morte ancora ci appassiona.
Ma quale era la Romagna di allora?
É proprio Dante che nel canto XIV del Purgatorio ci dà i confini: è quella classica che sta tra il Po e gli Appennini, il mare Adriatico e il fiume Reno.
Ancora nel canto XXVII dell’Inferno, dove si raccontano le vicende politiche della Romagna, ci dà dei confini un po’ più piccoli ma comunque non corrispondenti a quelli geografici ben più stretti.
In una lettera a Cangrande della Scala, signore di Verona e suo protettore prima dei Da Polenta, si è definito fiorentino di nascita ma non di costumi. Vuoi vedere che si sentiva molto romagnuolo?
È usuale definire la Divina Commmedia un poema didascalico allegorico e lo è, ma non basta. Ce lo dice Dante nel Convivio che la sua poesia ha quattro significati.
L’Alighieri era un persona coltissima con una padronanza stupefacente di tutta la conoscenza di allora: quella alla luce del sole ma anche la nascosta, quella esoterica.
Le orecchie della Chiesa cattolica erano sempre dritte e c’era il rogo pronto per chi andava fuori dal seminato. Bastava sentire dire e allora Dante scriveva un poema per tutti ma in maniera criptata per i suoi lettori con li ‘ntelletti sani e in maniera letterale per la gente grossa.