Francesco Lambiasi, vescovo della diocesi di Rimini
Il Vescovo di Rimini ha affidato gli augurio di Natale al settimanale il Ponte. Il pensiero di mons. Francesco Lambiasi è pubblicato come Editoriale dal titolo “Presepe Vivente” sulla prima pagina del settimanale cattolico riminese in uscita oggi, giovedì 20 dicembre 2018.
Il Vescovo parte da un’analisi dell’Italia così com’è stata fotografata di recente dal Censis. Una nazione intristita, rabbuiata, senza futuro e con un ipotesi di crescita “zero virgola”, dove tutto il male è attribuito agli stranieri e ai migranti.
Il Vescovo si chiede se davvero l’Italia sia così, sia tutta così, se il Paese possa veramente essere compreso tra cinismo e paura.
Mons. Lambiasi racconta una storia (presa in prestito dal quotidiano Avvenire), quella di una coppia di rifugiati e della loro bambina di 5 mesi, una storia che si intreccia con quella di Gesù. Una vera e propria storia di Natale. Perché di presepi di strada, anche in questo 2018 ce ne sono tanti, troppi, avverte il Vescovo. E si chiede: in quel 63% di italiani cinici, impauriti e che danno la colpa a stranieri e immigrati, forse non ci siamo anche noi? Cita Alberto Marvelli, il Vescovo, e invita tutti e ciascuno ad un Natale vero.
Di seguito, l’Editoriale integrale del Vescovo.
Brutta e cattiva: è la foto dell’Italia 2018, raccontata dal rapporto del Censis. Un Paese rannicchiato a riccio dietro il rancore più sordo e la cattiveria più cupa, perché ha ormai smarrito il senso del proprio futuro, rabbuiato da un orizzonte che non promette crescita se non dello “zero virgola”. È il ritratto di una società appiattita e spompata, con il 63% degli italiani convinti che tutto il male sia colpa degli stranieri e dei migranti, al punto di non volerli neppure come vicini di casa.
È davvero questa l’Italia? Se è così, dov’è andato a finire allora il bel paese? Ecco un ‘campione’ pescato su Avvenire di qualche giorno fa. Il presepe di cui qui si parla è veramente vivente. Loro sono giovanissimi: Giuseppe (Yousuf), Fede (Faith) e la loro creatura. Che è già nata, è una bimba e ha appena cinque mesi. Giuseppe viene dal Ghana, Fede è nigeriana, entrambi godono – è questo il verbo tecnico – della «protezione umanitaria» accordata dalla Repubblica Italiana. Ora ne stanno godendo in mezzo a una strada. Una strada che comincia appena fuori di un Cara calabrese e che, senza passare da nessuna casa, porta dritto sino al Natale. Il Natale di Gesù: Uno che se ne intende di indifferenza e di solidarietà, di ascolto e di rifiuto, del “sì” – che salva tutti – e dei “no” che si fanno prima porte sbattute in faccia e poi chiodi di croce.
Giuseppe e Fede sono stati abbandonati, con la loro creatura, sulla strada che porta al Natale e, poi, non si sa dove. Sono parte di un nuovo popolo di “scartati”, che sta andando a cercare riparo ai bordi delle vie e delle piazze, delle città e dell’ordine costituito, ingrossando le file dei senza niente.
Sono i senza più niente. Avevano trovato timbri ufficiali e un “luogo” che si chiama Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) su cui contare per essere inclusi legalmente nella società italiana, apprendendo la nostra lingua, valorizzando le proprie competenze, studiando per imparare cose nuove e utili a se stessi e al Paese che li stava accogliendo. Adesso quel luogo non li riguarda più. Ma allora che “protetti” sono?
Eccolo davanti ai nostri occhi uno dei tanti, troppi presepi di strada del Natale 2018. Ma prima di battere il petto degli altri, dobbiamo battere il nostro. Domandiamoci: non è forse vero che in quel 63% di italiani di cui sopra ci siamo anche noi, quando diciamo “Prima gli italiani”? Cento anni fa nasceva Alberto Marvelli. Sulla porta del suo ufficio di assessore alla ricostruzione aveva scritto: “Prima i poveri”.
Il nostro non potrà essere un Natale né buono né santo se non sarà prima di tutto un Natale vero. Auguri.