Museo Gentiletti, uno scrigno di tesori
di Patrizia Mascarucci
– Il segreto della provincia di Pesaro e Urbino, ricca di artisti moderni di rilevanza nazionale attivi sul territorio locale è di essere una terra gelosa dei propri ospiti, che lega a sé in un abbraccio dal quale è difficile sciogliersi, affascinandoli con il mare e la dolcezza delle colline, rassicurandoli con paesaggi placidi e mutevoli.
Uno di questi artisti innamorati del proprio habitat è certamente Giovanni Gentiletti, la cui famiglia si trasferì da Candelara per andare a vivere a Pesaro, ove lui si diplomò all’Istituto d’Arte “F. Mengaroni”, presso il quale poi insegnerà sbalzo e cesello nella sezione Arte dei Metalli e dell’Oreficeria. E sempre a Pesaro con stupore scoprì il mare, “una cosa mai vista”, disse, riportando la meraviglia di questa scoperta nelle opere dell’età matura.
Gentiletti inizia con il rame nel 1969, a cui segue un ventennio – il suo “periodo dell’oro” – in cui si cimenta nell’oreficeria, rivelando la insospettata delicatezza della mano educata a trattare metalli pesanti quali il ferro e l’acciaio inossidabile. Crea gioielli, anelli e ciondoli in stile egizio e zoomorfo: l’oro gli è congeniale, è il metallo più vicino al rame per colore, riflessi di luce e malleabilità.
Apre il suo primo studio, da lui chiamato “l’officina”, a Baia Flaminia; dopo la sua demolizione, avvenuta nel 1989, ritorna nelle campagne della sua infanzia, trasferendosi in quella che diventerà la sua casa-studio a Santa Maria dell’Arzilla, ora sede del museo a lui dedicato.
Tra le sculture di questo primo periodo figurativo troviamo scarabei, rondini, aironi, ibis: questi ultimi fermi, accovacciati, in procinto di alzarsi o in piedi, hanno zampe e colli allungati come in esplorazione dello spazio circostante, pronti a trovar la forza per librarsi eleganti e leggeri nell’aria.
Tra le sue tante sculture, solo le primaverili rondini hanno spiccato il volo e gli scarabei ammirati nell’infanzia si sono posati a perenne memoria sulle pareti della casa-museo.
Gentiletti, negli anni successivi, incastona le sue figure zoomorfe in forme geometriche: parallelepipedi, trapezi, triangoli, pentagoni, ettagoni, cerchi e scudi dove i volatili sembrano essersi rintanati a proteggersi, dove – ancora una volta – la tensione interiore si moltiplica nell’ancestrale necessità di liberarsi per poter alzarsi in volo.
Negli anni ‘90 viene chiamato da Arnaldo Pomodoro a collaborare al Centro TAM (Trattamento Artistico Metalli) di Pietrarubbia, una scuola di alta formazione nella lavorazione dei metalli, rivolta a giovani artisti, decoratori, scultori, progettisti e stilisti dello spettacolo, con lezioni teoriche e laboratori. Giovanni Gentiletti vi partecipa come insegnante tecnico, esperto di sbalzo e cesello. In questa esperienza entra in punta di piedi, il progetto è nuovo ed unico in Italia, forse nel mondo, tanto innovativo da fargli dire di essere “il ventunesimo corsista”.
La frequentazione di personalità di primo piano della cultura italiana, le esperienze e la ricchezza dei risultati costituiscono uno stimolo e un naturale scambio di idee: gli si aprono nuove prospettive che coglie ed elabora in autonomia con risultati originali, aprendosi all’astratto. Ne scaturiscono coni, ruote, porte chiodate, piramidi.
Le Ruote della memoria rappresentano superfici che trattengono astrazioni come fossero incrostazioni marine, ricci di mare, onde sovrapposte che stanno per adagiarsi sulla riva di quel mare scoperto per la prima volta negli anni ‘60 e trasportano scritture o materiali. Apparentemente monolitiche, vengono realizzate con due lastre sovrapposte e distanziate, saldate a spessore sulla costa, poi riempite di catrame bollente attraverso un foro; una volta raffreddato il leggero disco diventa rigido come pietra, viene appoggiato su un cuscino di sabbia e finito a bulino, martello, scalpello e cesello. Poi Giovanni lo scalda riapre il foro e lo svuota del catrame.
Le opere intitolate “Frammenti del Mediterraneo” raccolgono lemmi di cui non si conosce il suono né il significato, unitamente a Calendari, Porte del tempo, Alfabeti, Lettere, Trittici altaroli ex-voto. Sono opere dedicate alla riflessione interiore, forzieri che custodiscono alfabeti antichi, narrano storie di cui si è persa memoria, segni di culti intimi, per la famiglia, per il dono della maestria nell’arte, per la sensibilità, per la vita.
Nella Casa-museo Gentiletti pare lavorare ancora oggi in una grande stanza laboratorio, l’officina, intatta! dove respira ossidi, dove le sue mani ricamano di cesello, i suoi polsi battono con mazze e con la fiamma ossidrica vince e doma le resistenze del metallo. Oltre al rame lavora il ferro, l’ottone, l’acciaio inossidabile, il piombo, l’alpaca, la ruggine. La sua cifra stilistica è rappresentata da chiodi con castoni gemmati, aculei, impronte di aironi, incisioni, cabochon, capocchie di chiodi, punte acuminate, tutti elementi di diversi materiali la cui funzione è quella di catturare la luce, seppur fioca, e spargerla sulle sculture come pulviscolo.
Possiamo immaginare che quando la casa si svuota dei visitatori le sculture si mettano in movimento, i coni ruotino, gli uccelli volino, gli aironi rinserratisi nelle geometrie aprano gli involucri cigolanti falcando il bramato cielo, muovendo l’aria mentre il suono si fa brezza.
È così che gli scarabei hanno scalato le pareti della casa dell’arte, scrigno colmo di tesori lasciato alla cura delle sue amorevoli donne, le figlie Ilaria e Daniela e la moglie Tullia Mariotti, che ne curano la memoria accogliendo i visitatori ogni terza settimana del mese.
Può il metallo librarsi in aria, il ferro spiccare il volo, l’ottone, il bronzo e il rame essere eterei, catturare la luce e il buio simultaneamente e rimandarli a noi attraverso uno squarcio di mistero? Il mistero è la funzione dell’arte: mistero come irrinunciabile frutto dell’attività umana proveniente dall’archè, ἀρχή, principio o sostanza originaria, oggetto della ricerca sull’origine di tutte le cose; funzione di stimolo ad educare, nell’accezione di educere – trarre fuori ciò che sta dentro – per stimolare il visitatore a scoprire le proprie emozioni, visioni, immagini interiori, sentimenti suggeriti dall’opera che gli si pone innanzi.
Un mondo artistico in movimento, fatto di calendari, trittici, porte del tempo che si aprono a cavallo tra un passato reso mitologico, cambiamenti nel presente e presagi di futuro. Alfabeti che paiono assiro-babilonesi o fenici, codici di civiltà che hanno viaggiato nel mare Mediterraneo fino a noi lasciando tracce di cultura, di racconti, di segreti e lemmi il cui significato ormai si è perso nel tempo lasciando tuttavia tracce. Giovanni lascia intravedere in esse due parole: “Matteo” e “amate”, parole lette su due opere distinte (e forse ce ne sono altre). Ebbene, ci piace pensare che su quest’ultima parola – amate – identificata tra tanti caratteri in un’altra dimensione comprensibili i visitatori potranno aprire il loro cuore e fantasticare di un altro mondo, forse generoso e accogliente come è la Casa-museo che ci ha lasciato l’uomo Giovanni Gentiletti.
La Casa-museo Giovanni Gentiletti fa parte del circuito di Pesaro Musei. Strada dei Guazzi 4, 61122 Santa Maria dell’Arzilla. Aperta ogni Stradomenica (terza domenica del mese)
Info: 347.7219106
pesaro@sistemamuseo.it / www.pesaromusei.it
Sito web: www.giovannigentiletti.it
Email: info@giovannigentiletti.it
Principali opere presenti a Pesaro: l’altarolo “Trittico-teca” donato al Duomo di Pesaro per conservarvi le reliquie dei Santi Decenzio e Germano e la fontana nella rotatoria in via Cecchi “Nel vento del mito” (nota come “le vele”).