Mario, Luigi e Adelio, erano ragazzi attorno ai 20 anni. Rimini li ricorda per il 78° anniversario del loro sacrificio. E’ stata intitolato loro la piazza Tre Martiri, già Giulio Cesare.
Oggi 16 agosto, Con una cerimonia commemorativa sentita e partecipata la Città di Rimini ha ricordato Mario Capelli, Luigi Nicolò, Adelio Pagliarani, trucidati il 16 agosto 1944 dai nazi-fascisti, che pagarono con la vita il loro desiderio di libertà.
Con un corteo partito da Via Tiberio, sono state deposte a ricordo corone di alloro nella piazza dedicata alle vittime dell’eccidio e in via Ducale, nel corso di una cerimonia aperta dalla banda della Città di Rimini, a cui hanno partecipato i rappresentati delle istituzioni, i rappresentanti dei comuni della provincia di Rimini coi loro gonfaloni, i rappresentanti delle forze armate e delle associazioni partigiane, combattentistiche d’arma con i labari oltre a tanti cittadini riminesi.
Le iniziative a ricordo dei Tre Martiri proseguiranno questo sera nella Corte degli Agostiniani, in via Cairoli dove alle ore 21 si svolgerà la premiazione per l’XI edizione del Premio “Vincenzo Mascia”. Il premio, intitolato alla memoria di Vincenzo Mascia ex Presidente ANPI e figura di rilievo per la storia politica e culturale riminese, è rivolto a istituti o classi che hanno svolto un lavoro di particolare importanza sui temi della resistenza e memoria storica della liberazione Riminese. La premiazione verrà fatta dai familiari di Vincenzo Mascia. Il lavoro premiato quest’anno è incentrato sul tema della Pace.
Successivamente, alle ore 21,30 si svolge lo spettacolo in ricordo dei Tre Martiri “Un Gramsci mai visto” di e con Angelo d’Orsi, con accompagnamento musicale a cura de L’Uva Grisa.
Gli eventi, che in caso di maltempo si svolgeranno nel Teatro degli Atti, sono organizzati dall’Anpi sezione di Rimini con ingresso libero.
Riportiamo la poesia che il grande giornalista riminese Guido Nozzoli (1918 – 2000) dedicò ai tre giovani. E’ di una bellezza commovente.
Fu del fiotto di sangue
aggrumato sui vostri panni
che in un giorno accecato
di mezzo agosto
raccogliemmo l’urlo
della vostra agonia,
e nei capestri tesi
che sentimmo il peso
di questa carne nostra
lasciata a guastarsi
in quella desolata morte
penzolante nel sole
Tre volte l’alba,
con il singhiozzo dei galli
e il macinare delle ruote,
scivolò dai tetti
nei vostri occhi spalancati.
Due volte la notte
brancolò tra l’urlo dei treni
e le minacce dei cani
nel vostro sangue spento
L’impiccagione vi tolse
alfine
allo sciame incessante delle mosche?
per restituirvi alla morte
poi rimase un fetido crepuscolo
a sbiadirsi nella polvere secca
su l’orina dei cavalli.
Andammo allora nelle vostre tane
che serbavano ancora
il segno dei vostri piedi scalzi,
vagammo nelle campagne
stordite dall’lito dei fieni,
ma l’estate ci parve vuota
come lo sguardo dei ciechi
E ci fu il cuore solo
a ridarci coraggio
questo piccolo cuore
logorato dalla guerra insonne
e dal giallore delle stoppie
Quando tornammo a voi
(il settembre
era ancora squassato dai cannoni)
l’aria odorava di terra
rimossa dalle macerie,
colavano fili d’erba
dalle macerie delle case.
Non trovammmo0 fiori
nella fossa
no
non trovammo i nomi
tra le dolci menzogne delle lapidi
né un lucignolo inaridito
che avesse raggiato per un’ora
la vostra eterna caduta.
Una croce sbilenca di canna
era la sola pietà.
Come balbettare parole?
Le parole del pane,
del mare, del vento e della strada
non sanno dire la morte
che non ha strada,
né vento, né mare.
Silenzio
solo silenzio
nella siepe dei batticuori.
Gli uomini strinsero i pugni nel saluto
e il sole portò le croci
nelle lacrime azzurre delle madri.
Fu del fiotto di sangue
aggrumato sui vostri panni
che in un giorno accecato
di mezzo agosto
raccogliemmo l’urlo
della vostra agonia,
e nei capestri tesi
che sentimmo il peso
di questa carne nostra
lasciata a guastarsi
in quella desolata morte
penzolante nel sole
Tre volte l’alba,
con il singhiozzo dei galli
e il macinare delle ruote,
scivolò dai tetti
nei vostri occhi spalancati.
Due volte la notte
brancolò tra l’urlo dei treni
e le minacce dei cani
nel vostro sangue spento
L’impiccagione vi tolse
alfine
allo sciame incessante delle mosche?
per restituirvi alla morte
poi rimase un fetido crepuscolo
a sbiadirsi nella polvere secca
su l’orina dei cavalli.
Andammo allora nelle vostre tane
che serbavano ancora
il segno dei vostri piedi scalzi,
vagammo nelle campagne
stordite dall’lito dei fieni,
ma l’estate ci parve vuota
come lo sguardo dei ciechi
E ci fu il cuore solo
a ridarci coraggio
questo piccolo cuore
logorato dalla guerra insonne
e dal giallore delle stoppie
Quando tornammo a voi
(il settembre
era ancora squassato dai cannoni)
l’aria odorava di terra
rimossa dalle macerie,
colavano fili d’erba
dalle macerie delle case.
Non trovammmo0 fiori
nella fossa
no
non trovammo i nomi
tra le dolci menzogne delle lapidi
né un lucignolo inaridito
che avesse raggiato per un’ora
la vostra eterna caduta.
Una croce sbilenca di canna
era la sola pietà.
Come balbettare parole?
Le parole del pane,
del mare, del vento e della strada
non sanno dire la morte
che non ha strada,
né vento, né mare.
Silenzio
solo silenzio
nella siepe dei batticuori.
Gli uomini strinsero i pugni nel saluto
e il sole portò le croci
nelle lacrime azzurre delle madri.