di Giorgio La Malfa
Forse conviene mettersi l’anima in pace e smettere di pretendere che la destra oggi
al potere riconosca che l’antifascismo e la Resistenza sono all’origine della
Costituzione italiana. Non perché non sia vero. È evidente che le libertà sancite dalla
Costituzione sono state ristabilite dopo il ventennio della dittatura per la lotta
condotta dagli antifascisti nel corso del ventennio e dai partigiani che affiancarono gli
eserciti alleati nella lotta contro i tedeschi e contro i Repubblichini di Salò fra l’8
settembre e il 25 aprile.
Questo è senz’altro vero. Probabilmente lo sanno perfettamente l’on. Meloni e i
caporioni del suo partito. Una persona onesta intellettualmente come Gianfranco
Fini, che proveniva da quella parte politica, a un certo punto si è resa conto che
bisognava fare i conti con la storia. Lo ha fatto e ha detto senza infingimenti molti
anni fa ciò che andava detto. E lo ha ripetuto ieri. Ma alla classe dirigente di Fratelli
d’Italia non si può chiedere di pensare qualcosa che non fa parte della loro “cultura”,
del loro patrimonio, della loro formazione. Essi non pensano affatto che il fascismo
sia stato il male assoluto e che l’antifascismo e la Resistenza abbiano liberato l’Italia
da una dittatura. Non è questa la loro convinzione di fondo; non è questo il mondo
nel quale gli esponenti di questo partito sono cresciuti; non è questa la “cultura” nella
quale si sono formati. Tutto questo emerge dalle dichiarazioni che “sfuggono” loro
quando parlano senza controllo o quando non controllano ciò di cui parlano. Quando
si piegano a riconoscere che la Costituzione ha chiuso un’era di mancanza di libertà
ed ha aperto un’era di democrazia, lo fanno, come ha fatto ieri il Presidente del
Senato, per rimediare a una gaffe precedente. Si ha la netta sensazione che si tratta
di qualcosa cui essi si piegano per necessità, ma che non riflette e non può riflettere
il loro sentire di fondo.
La verità è che le ferite del ventennio e della guerra sono molto profonde. Si può
tentare di rimuoverle non parlandone o aggirando le questioni. Molto più difficile è
superarle. Vi è stata in Italia fra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile del 1945 una guerra
civile. Questa era la tesi dei neofascisti. Per chiudere quella guerra essi hanno
sostenuto negli anni successivi e fino ad oggi che bisognava riconoscere le ragioni
degli uni e degli altri (almeno di quelli che erano stati in buona fede). Per molto
tempo i partiti antifascisti si sono rifiutati di riconoscere che vi era stata una guerra
civile. Poi uno storico come Claudio Pavone lo ha scritto. Ma il fatto che sia stata una
guerra civile non fa sì che siano giustificati i comportamenti e le scelte tanto degli uni
che degli altri. La pietà “repubblicana” può giungere fino a dedicare un diario della
Resistenza ai caduti “della nostra parte e dell’altra”, come scrisse Leo Valiani in Tutte
le strade conducono a Roma, ma non può equiparare, come incautamente fece un
esponente della sinistra, i giovani della Resistenza e i giovani della Repubblica di
Salò.
Aggiungiamo anche che gli antifascisti e i resistenti furono minoranza nel Paese,
come ha ricordato in un bel libro recente Michela Ponzani. Che fosse una lotta giusta
quella degli antifascisti non fa sì che sia stata una lotta della maggioranza degli
italiani. E oggi gli eredi di quelli che furono dall’altra parte pretendono di non
riconoscere ciò che è avvenuto. O quanto meno possono solo ammetterlo a mezza
bocca e fra tante riserve. In fondo – diciamolo francamente – sarebbe imbarazzante
se il senatore La Russa si presentasse domani a Milano.
Dunque, gli antifascisti e gli eredi di quanti combatterono contro la dittatura, e poi
contro l’occupazione tedesca e contro i repubblichini, sono i “titolari” della
Costituzione. Ma non possono pretendere che vi credano anche quelli che sono
eredi di un’altra storia, anzi dell’altra storia di quegli anni terribili.
Conviene rendersi conto che il Paese, con le elezioni di settembre 2022, si è affidato
non a un partito postfascista, ma a un partito almirantiano, cioè a un partito che ha
difeso la sua storia e la sua origine e ha chiesto sempre che la Repubblica
riconoscesse che tutti gli italiani – fossero stati da una parte o dall’altra – avevano
diritto allo stesso riconoscimento.
L’esito del voto di settembre costituisce un vulnus di qualche genere? Vuol dire che
la democrazia italiana corre dei pericoli per il fatto che il governo è in queste mani?
Noi non crediamo che dal partito dell’on. Meloni venga una minaccia consapevole
alle nostre libertà. Semmai, temiamo gli errori che un governo improntato a questa
cultura può commettere – ne sta commettendo molti – e le conseguenze sul tessuto
politico e sociale del nostro paese che ne possono derivare. Una piega
antidemocratica può essere la conseguenza di un malessere sociale alimentato da
un’azione di governo improvvisata e avventuristica.
Proprio per questo, oltre che per rispetto della nostra storia, dobbiamo rivendicare la
partecipazione alla lotta antifascista della nostra parte politica. Ed è quello che
faremo con serenità domani, prendendo parte alle manifestazioni per il 25 aprile a
Milano.