Tratto da lavoce.info
DI DIRK PILAT, ricercatore associato dell’Istituto di ricerca economica di Valencia (IVIE) e Senior Research Fellow del Lisbon Council
La produttività ha un ruolo chiave per la crescita economica. Per questo diversi paesi hanno istituito comitati che si occupano della questione. L’Italia non l’ha fatto, ma dovrebbe rimediare, facendo tesoro del lavoro di analisi che possono garantire.
La funzione dei comitati per la produttività
Il ruolo chiave della produttività per stimolare la crescita economica è riconosciuto da tempo. Ciononostante, solo di recente i governi dei paesi Ocse hanno creato istituzioni specifiche deputate alle politiche per la produttività. L’Australia ha istituito una commissione per la produttività nel 1998 ed è stata seguita da altri paesi tra il 2010 e il 2020. Nel 2016, a seguito di una raccomandazione del Consiglio europeo, molti paesi dell’Ue hanno nominato “productivity boards”, comitati per la produttività. Non tutti, però, lo hanno fatto: tra i paesi della zona euro, l’Austria ha istituito un comitato di questo tipo solo nel 2022, mentre Estonia, Italia e Spagna non lo hanno ancora creato. Tra gli stati non appartenenti all’Eurozona, solo la Danimarca e l’Ungheria hanno varato comitati simili. Oggi, dunque, nell’area Ocse operano all’incirca venti comitati per la produttività. E benché alcuni siano relativamente nuovi, possono già indicarci diverse lezioni.
In generale, i comitati sono stati istituiti per evidenziare l’importanza della produttività per la crescita economica, studiarne i fattori trainanti e fornire indicazioni sulle politiche per rafforzarne la crescita. I comitati non solo aiutano a identificare le politiche giuste, ma grazie alla loro indipendenza e al focus sul lungo termine possono contribuire a contrastare la ritrosia politica alle riforme e a “educare” i responsabili politici sulle materie in questione.
L’assetto istituzionale dei comitati differisce da paese a paese e influisce sull’impatto che possono avere. Ci sono significative differenze in termini di mandati, indipendenza, composizione, rendicontazione e risorse disponibili. L’efficacia dei singoli comitati non dipende solo da questi elementi ma anche dall’impegno dei rispettivi governi nel sostenerli e dalla capacità di valutare e mettere in pratica le loro raccomandazioni.
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Determinanti dirette e indirette
Come mostro in un recente studio sul tema, i comitati condividono diversi aspetti di fondo. Ciò riflette, in parte, tendenze e sfide generali, come il rallentamento della crescita della produttività. La maggior parte dei comitati ha dedicato molto del proprio lavoro all’esame delle determinanti dirette della produttività, ossia investimenti, capitale umano, innovazione, digitalizzazione e dinamiche aziendali, sebbene con diversi gradi di attenzione. In particolare, saltano all’occhio questi elementi:
innanzitutto, è stata dedicata poca attenzione alle politiche per affrontare il rallentamento degli investimenti, un fattore chiave in quello complessivo della produttività;
il capitale umano è l’aspetto più esplorato. La mancanza di competenze e il loro crescente disallineamento sono considerati ovunque ostacoli fondamentali alla crescita della produttività;
pochi paesi hanno studiato il rallentamento della diffusione della tecnologia e il suo impatto sulla produttività;
infine, mentre la maggior parte dei paesi ha esplorato la cosiddetta demografia di impresa (creazione, crescita e chiusura delle aziende), poca attenzione è stata dedicata alle politiche per stimolare la produttività nelle imprese di frontiera, rispetto alle politiche per le imprese tradizionali.
Per quanto riguarda le determinanti indirette della produttività, che influenzano gli incentivi delle imprese ad aumentarla, le differenze sono maggiori. Molti comitati si sono concentrati sul commercio e gli investimenti diretti esteri, sulla concorrenza e la regolamentazione e sui mercati del lavoro. Mentre minore attenzione è stata dedicata alle politiche industriali, regionali e ambientali. A spiegare alcune delle differenze sono i mandati dei singoli comitati e l’equilibrio istituzionale con altre autorità nazionali, come per esempio le autorità per la concorrenza.
Le sfide da affrontare
La maggior parte delle raccomandazioni dei comitati riflettono temi presenti da tempo nel dibattito sulla produttività. Tuttavia, nuove questioni, come il ruolo della politica dell’innovazione (Nuova Zelanda), l’autonomia strategica (Germania) o le politiche legate ai dati (Australia) iniziano a entrare nell’analisi, riflettendo la volontà di affrontare un’ampia varietà di fattori e politiche.
Nonostante i comitati abbiano coperto già molti temi, ce ne sono altri che non hanno ancora ricevuto molta attenzione, in particolare:
cambiamenti climatici e produttività: solo Belgio e Irlanda hanno iniziato a lavorare su questo tema;
input intermedi: solo la Germania sta esplorando il ruolo dell’energia e delle materie prime essenziali;
benessere e produttività: la maggior parte dei comitati non ha ancora studiato questa relazione.
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Le politiche per la produttività sono complesse e investono questioni di ampia portata. Resta quindi ancora molto lavoro da fare per analizzarne in profondità le varie determinanti e le leve politiche che possono essere azionate. Il lavoro dei più di venti comitati già operanti costituisce una fonte di ispirazione a cui dovrebbero attingere appieno ricercatori e governanti.
Proprio il lavoro fin qui svolto dai comitati mostra che la ragione di fondo dietro la loro creazione resta più valida che mai. I paesi che non hanno ancora istituito un comitato di questo genere, come l’Italia, dovrebbero crearne uno al più presto, per beneficiare del contributo di analisi e di dibattito pubblico che queste istituzioni consentono. E potranno farlo sulla base delle lezioni apprese negli altri paesi, prima fra tutte l’importanza della loro indipendenza e dell’accesso a tutti i dati necessari per definire politiche pubbliche fondate su solide basi.
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