Storia della Linea Gotica, continuano le ricerche sulla fuga di Laci Boldemann e Stefan Stillich.
MONDAINO, 3 LUGLIO 1944
Ad 80 anni dalla rocambolesca fuga di due militari tedeschi da Mondaino, riceviamo da Stoccolma il seguente reportage di Marcus e Susanne Boldemann.
Negli ultimi anni siamo tornati in Italia, nel piccolo paese di Mondaino, per trovare nuove tracce di nostro padre/suocero, il compositore Laci Boldemann, che drammaticamente disertò dall’esercito tedesco il 3 luglio 1944 insieme al suo amico Stefan Stillich.
Due unità del GFP, la Polizia Militare Segreta tedesca, cercarono intensamente i due, ma senza risultati. Entrambi sopravvissero, ma più volte, durante la fuga, durata 6 settimane, furono molto vicini ad essere rintracciati. Ad un certo punto si trovarono molto alle strette, con proiettili che volavano vicino alle loro teste. E se fossero stati catturati, molto probabilmente avrebbero rischiato la condanna a morte.
Per i Tedeschi, la perdita dei due soldati fu particolarmente critica, poiché appartenevano all’Unità di Intercettazione e Decodifica. Stefan Stillich addirittura era a diretto contatto con lo staff del generale Kesselring.
In questo momento stiamo scrivendo una biografia su Laci Boldemann ed è per questo che siamo tornati a Mondaino. La prima volta che ci siamo stati, nel 1997, abbiamo trovato, fortuitamente, il passaporto tedesco, che Laci Boldemann si era lasciato alle spalle al momento della fuga. Il passaporto era stato conservato da Concetta Benedetti, nipote del partigiano di Mondaino Antonio Benedetti, che aiutò Laci e Stefan Stillich nella diserzione.
Laci Boldemann, nato nel 1921, era un pianista ed esperto compositore di musica. Morì giovane, nel 1969, a soli 48 anni, ma fu felice di poter ascoltare la Berliner Philharmoniker Orchestra suonare la sua musica. Quattro mesi prima della sua morte, la televisione svedese trasmise persino la sua opera “L’ora della fantasia”, tratta dalla commedia della scrittrice italiana Anna Bonacci. Nuove registrazioni sono ancora in corso e in Svezia molti cori cantano ancora le sue canzoni.
Nato il 24 aprile 1921 a Helsinki da madre finlandese e padre tedesco, Laci crebbe come cittadino tedesco nella frenetica Berlino degli anni ’30. Trascorse la sua infanzia e la sua giovinezza tra vari problemi, poiché i suoi giovani genitori conducevano una vita dissoluta e la situazione peggiorò quando divorziarono.
Quando Laci aveva 12 anni, i nazisti salirono al potere. Suo nonno, Georg Boldemann, era un oppositore del regime e non amava i Nazisti. Quattro anni dopo, quindi, prese la decisione, molto discussa in famiglia, di inviare l’allora sedicenne Laci a Londra per sostenere un esame di ammissione alla Royal Academy of Music, per studiare pianoforte e composizione. Laci fu ammesso e andò da solo a vivere e a studiare a Londra.
Nelle lettere che ancora rimangono, Laci scrive degli studi, ma nulla della situazione politica sempre più grave. Che fosse molto consapevole di queste cose, tuttavia, lo sappiamo grazie ad una lettera di Georg Boldemann al suo amico compositore Jean Sibelius, dove Georg scrive il 23/11/1938 che Laci, dopo gli eventi più recenti, non voleva più essere tedesco. Laci aveva reagito con forza alla persecuzione sempre più brutale degli ebrei che culminò nella “Notte dei cristalli”. L’ormai diciottenne Laci trascorse con sua madre in Finlandia le vacanze estive dell’anno successivo, 1939. Poco prima del suo previsto ritorno in Inghilterra, scoppiò la seconda guerra mondiale, il 1° settembre 1939. La Germania aveva attaccato la Polonia. Due giorni dopo, l’Inghilterra dichiarò guerra alla Germania. Come cittadino tedesco, Laci non poteva tornare a Londra. Gli studi alla Royal Academy of Music furono così interrotti.
In quasi tutta Europa scoppiò la guerra e Laci, con la sua cittadinanza tedesca, dovette vivere nel terrore che le forze armate della Germania nazista avrebbero scoperto dove si trovava e lo avrebbero chiamato alle armi. Ogni sei mesi doveva richiedere un nuovo permesso di soggiorno in Svezia e anche rinnovare il passaporto tedesco presso l’Ambasciata tedesca a Stoccolma. Nel luglio del 1942, un ordine di convocazione arrivò dalla Wehrmacht. Laci fu costretto ad andare in Germania, dove non era stato da quattro anni e mezzo. Dopo un breve addestramento militare, fu inviato direttamente sul fronte orientale. Si trovò a combattere a 100 chilometri da Mosca e probabilmente il suo destino sarebbe stato segnato, se non avesse contratto l’ittero. Per due mesi fu ricoverato in un ospedale militare. Poiché era indebolito dalla malattia e perché aveva imparato molto bene l’inglese a Londra, fu collocato in una scuola di interpretariato e addestrato come interprete e decifratore di segnale.
Il 30 dicembre 1943, fu inviato in Italia, tre settimane prima dell’inizio della battaglia di Monte Cassino. Sappiamo che fu immediatamente collocato nella Nachrichten und Nahaufklärungskompanie 963. Non sappiamo quando venne destinato a Mondaino, ma molto presto dovrebbe essere arrivato lì, quando i Tedeschi cominciarono a rendersi conto che stavano perdendo la battaglia nell’Italia meridionale e occorreva quindi rafforzare le strutture di difesa della Linea Gotica.
Conserviamo una sola lettera dall’Italia, scritta da Laci Boldemann a suo nonno in Svezia il 27 aprile 1944. Per motivi di sicurezza non poteva indicare da dove fossero inviate le lettere. Superarono anche la censura, quindi dovette fare molta attenzione a ciò che scriveva. Laci dice che gli piaceva lo splendido scenario in cui si trovava e stava studiando l’italiano. Stava inoltre componendo un quartetto d’archi, ma nel suo tempo libero accadevano tante cose che il lavoro di composizione procedeva lentamente. Il ritmo complessivo era abbastanza frenetico e alcune settimane di calma gli avrebbero fatto molto bene. Laci è anche menzionato indirettamente in altre lettere tra famigliari in cui si afferma che nel suo alloggio esisteva un pianoforte, che lui e un altro compagno usavano alternativamente nel tempo libero. Sappiamo che Laci prendeva lezioni di Italiano da un sacerdote nel vicino villaggio. Era molto importante per lui poter capire gli agricoltori della zona, con i quali trattava sui prezzi di vari alimenti come latte, uova, mandorle e fichi. Sappiamo, inoltre, che in chiesa diresse cori di opere italiane, apprezzando molto le belle voci naturali degli abitanti del luogo.
Laci aveva un modo di essere rilassato e naturale, a cui si oppose rigore, formalismo e rigidità. Essendo un musicista e stabilendo facilmente contatti con la gente, Laci conobbe i lavoratori della fabbrica di fisarmoniche “Galanti”, tra cui vi erano alcuni simpatizzanti partigiani. Uno di questi era Terzo Benedetti, detto “Patachin”, fratello di Concetta Benedetti.
La decisione di abbandonare l’esercito emerse gradualmente. Laci incoraggiò il suo amico, Stefan Stillich (di 8 anni più grande) ad unirsi a lui. Stillich era più tranquillo ed accademico, ma furono proprio queste precise differenze di carattere che li resero complementari. Entrambi si convinsero di non voler più prendere parte alla guerra nazista.
Alla fine incontrarono Antonio Benedetti, detto “Cin Cin”, che era in contatto con i partigiani. Suo nipote, Terzo Benedetti, dice che la fuga iniziò alle 20.30, quando i due lasciarono Palazzo Forlani, in cui alloggiavano. Tuttavia Terzo ricorda la data sbagliata: la diserzione infatti ebbe luogo il 3 luglio 1944.
Tra le altre cose, Terzo descrive come sua sorella Concetta e sua moglie incontrassero i due presso la casa di Luigi Bordoni, detto “E’ Gvernatòr”, oggi sede de “L’Arboreto”. Di lì si diressero verso la casa di Agostino Benedetti, nella zona della “Spogna”, dove li attendeva “Cin Cin”. A mezzanotte attraversarono la Val Ventena per raggiungere finalmente Montefiore, Farneto (ove presso la parrocchia c’era il comando del C.L.N.) e una chiesetta presso Mercatino Conca, dove il prete li stava aspettando.
Ma c’è un’altra descrizione di Stefan Stillich, in cui si legge che lui e Laci pianificarono la diserzione insieme ai partigiani per settimane e vennero forniti di doppi “set” di spazzolini da denti e rasoi da barba, in modo che nessuno sospettasse nulla all’inizio, avendo così più tempo a disposizione per la fuga, prima che venisse scoperta.
Ciò rafforzò i sospetti tedeschi che i partigiani li avessero rapiti. I protocolli segreti della polizia militare tedesca non potevano ammettere che i due avessero disertato. La polizia militare organizzò quindi pesanti interrogatori degli abitanti di Mondaino.
Nelle memorie di Terzo Benedetti si dice che i due disertori erano molto importanti per i Tedeschi, tanto che la zona fu perlustrata a fondo e vennero affissi cartelli, in cui si affermava che si sarebbero vendicati uccidendo 10 civili per ciascuno dei soldati tedeschi dispersi. Il parroco, don Carlo Savoretti, disse ai Tedeschi che lui stesso li aveva visti fuggire e che quindi ovviamente non erano stati assassinati. Così la situazione si calmò gradualmente. Più tardi, anche altri testimoniarono che li avevano visti passare per le vie del paese.
In base alla descrizione di Stillich, invece sembra che la fuga sia iniziata al cinema, a quel tempo situato nella casa del Fascio. Durante la proiezione di un film per le truppe – forse alla fine del 1° tempo – i due esclamarono ad alta voce che il film era molto noioso e che sarebbero usciti a fare una passeggiata. Alla chetichella lasciarono il paese.
Stillich dice che raggiunsero una casa in cui vi erano i partigiani; si tolsero le divise e indossarono abiti civili. Le uniformi sarebbero state usate dai partigiani per avvicinarsi di soppiatto ai camion tedeschi e mettere in atto qualche sabotaggio.
Per la fuga, i partigiani avevano organizzato una specie di staffetta, per cui cambiavano costantemente le persone che li accompagnavano. La fuga non si diresse verso Sud in direzione degli Alleati, ma verso Nord-Ovest, dove probabilmente le unità tedesche non avrebbe mai sospettato che si dirigessero i fuggitivi. Ogni ora era contata. Più lontano potevano arrivare la prima notte, meglio era. La narrazione di Stillich afferma che prima dell’alba raggiunsero una casa in una zona boscosa, dove viveva il prete del villaggio. Stillich nota che raramente si trova una aggregazione di persone così straordinaria. Attorno allo stesso tavolo, in piena notte, alla luce di una candela c’erano il capo partigiano, che in realtà era un giornalista ed ex ufficiale dell’esercito italiano, il prete con la sua veste nera, Laci e lui stesso. L’atmosfera ricordava sedute spiritiche. Il sacerdote offrì loro pane e miele e la loro sete fu spenta con un buon vino rosso. Raramente avevano mangiato così bene.
Dopo tre ore di sonno, scesero in una casa del villaggio, dove godettero dell’ospitalità di una povera famiglia di contadini. Da lì raggiunsero un burrone dove si nascosero. Erano costantemente in nervosa allerta. Se avessero incontrato qualcuno, poteva trattarsi di un amico o più facilmente di un nemico.
Un paio di anni fa a Mondaino abbiamo stretto amicizia con Goffredo Chiaretti. Con la sua conoscenza ed il suo entusiasmo, insieme abbiamo deciso di esplorare in dettaglio il percorso dei disertori e siamo riusciti a tracciare con un certo grado di sicurezza la traiettoria della prima parte della fuga, quella più vicina a Mondaino. In auto abbiamo poi esplorato ogni possibile successiva via di fuga, visitando villaggi, chiese con residenze sacerdotali, dove avrebbero potuto mangiare il primo pasto nella notte. Secondo la narrazione di Terzo e Concetta Benedetti, la sosta dovrebbe essere avvenuta nella canonica di una piccola chiesa vicino a Mercatino Conca, probabilmente a Piandicastello.
Laci e Stefan avevano considerato che gli Alleati si sarebbero mossi più velocemente verso Nord. Invece il fronte rimase fermo per molto tempo, rendendo la fuga considerevolmente più lunga. Mentre si spostavano verso Sud, dovevano procedere lentamente e segretamente, evitando strade, attraversando campi e zone boschive. I piccoli sentieri erano le strade migliori.
I partigiani una volta li accompagnarono da un prete locale, che viveva su una collina. Mentre erano nella sua chiesa, i Tedeschi arrivarono con dei fuoristrada. Il prete diede loro il suggerimento di nascondersi dietro l’altare. I soldati tedeschi fecero un giro attorno alla chiesa, ma non li trovarono.
Un’altra volta dovevano attraversare un fiume che era stato minato, probabilmente il Metauro. Solo la gente del posto sapeva dove attraversare, molto probabilmente a Sant’Angelo in Vado. Due ragazzi li aiutarono. Camminarono per circa 75 metri davanti a loro verso il fiume. All’improvviso si voltarono e sussurrarono: “Tedesch! Tedesch!” Il posto era sorvegliato da soldati tedeschi. Il paradiso sembrò però aiutarli: passò un piccolo carretto trainato da un asino. Salirono rapidamente sul carretto, facendo finta di essere italiani e attraversarono il fiume, oltrepassando il posto di blocco dei soldati tedeschi, che non sospettarono di nulla.
Dopo aver scalato diverse montagne e attraversato boschi e valli, raggiunsero Apecchio. Lì, insieme ai partigiani, furono sorpresi da un gruppo ampio di tedeschi. All’improvviso sentirono grida terrorizzate e videro fuggire una dozzina di partigiani, che furono colpiti da mitragliatrici e almeno due di essi morirono nello scontro. Laci e Stefan riuscirono a fuggire, con i proiettili che fischiavano nelle orecchie. Terrorizzati e senza respiro, si nascosero dietro i cespugli. I soldati tedeschi erano a pochi metri di distanza. Il suono delle mitragliatrici lentamente si spense. Alla fine, dovettero assistere ad una scena triste e commovente. Un povero vecchio giaceva in ginocchio di fronte a un lenzuolo bianco steso su un cadavere. Pregava e piangeva. Era un padre che piangeva suo figlio, che lavorava sul campo come un pacifico contadino e quando il gruppo partigiano in fuga si avvicinò, egli fu colpito da un proiettile.
Nella nostra visita ad Apecchio, siamo riusciti a ritrovare il luogo dello scontro. Lì vicino è stato eretto un monumento con una lapide che elenca i nomi delle persone che furono barbaramente uccise negli eventi di guerra del 1944. Abbiamo trovato il punto esatto e il memoriale grazie all’aiuto di Sauro Bernardini (classe 1933), soprannominato “Il Greco”, che ci narrò gli episodi di guerra della sua infanzia. Parlando con la gente del posto, Goffredo riuscì a rintracciarlo e lo incontrammo nella Pizzeria che porta il suo soprannome.
Un altro dei loro nascondigli era ai piedi di una valle scura, tra la fanteria tedesca e l’artiglieria. Lì rimasero per molto tempo. Ogni tanto un contadino veniva con del cibo. Ogni volta che potevano mangiare in una fattoria, era una situazione tanto pericolosa per chi prestava aiuto quanto per loro stessi. Durante il pasto, uno dei contadini stava sempre fuori di guardia. L’esercito tedesco sequestrava gli animali nelle stalle. Alcuni allevatori quindi nascondevano i loro animali nei boschi. I due disertori li aiutarono al meglio delle loro capacità per proteggere gli animali.
Un giorno venne una donna di corsa e sussurrò loro: “Vi cercano! Vi cercano!” L’esercito tedesco aveva invitato tutti i sacerdoti a comunicare che due soldati tedeschi avevano disertato e si trovavano nella zona, e aveva chiesto alla gente di denunciare qualsiasi avvistamento dei due. Nessuno li tradì. La donna disse che dopo l’annuncio, diverse persone avevano pregato per loro in chiesa.
Durante le sei settimane della loro fuga, le truppe alleate non avanzarono. I due disertori, stanchi ed affamati, peggioravano sempre più. La vita, con un piccolo pezzo di formaggio e di pane, divenne sempre più insostenibile. Un giorno incontrarono una giovane donna coraggiosa, che diede loro una piccola immagine della Madonna e insieme alla sua amica indicò loro una strada verso le postazioni inglesi. Le donne camminavano 200 metri davanti a loro, per poter affermare di non avere nulla a che fare con i disertori, nel caso fossero stati catturati.
Erano passate sei settimane e non avevano ancora raggiunto il loro obiettivo. All’alba un giorno si imbatterono in una fattoria, davanti alla quale si trovava un contadino. Totalmente incapaci di sapere dove si trovassero in relazione al territorio alleato, gli si avvicinarono gentilmente, dicendo che erano disertori e si chiedevano dove fossero gli Inglesi. Lui rispose: “Avete appena superato un avamposto inglese”. Finalmente erano in salvo. Il contadino disse loro che a volte soldati tedeschi e inglesi venivano a casa sua per giocare a carte. Erano nella “terra di nessuno”.
Dopo la lunga marcia, alla fine raggiunsero Città di Castello dove si presentarono al Comando in un Inglese così buono che quasi non si pensava che fossero soldati tedeschi.
Passata la guerra Stillich e Laci continuarono ad elogiare gli Italiani per la nobiltà, il calore, la loro umanità, per il loro aiuto altruistico e per il modo in cui offersero la loro amicizia senza pregiudizi e barriere artificiali. Laci continuò a studiare Italiano anche dopo la guerra.
La scorsa estate, il 3 luglio – esattamente nel giorno della fuga – alle ore 20.30, ci siamo ritrovati tra amici alla Porta di Sotto, lì dove tutto è iniziato, volendo ricordare l’evento e ringraziare i coraggiosi cittadini di Mondaino che aiutarono i due fuggitivi. Nell’occasione, Angelo Chiaretti ha creato un piccolo memoriale, che è stato poi inaugurato, tra l’altro, alla presenza dei membri della famiglia Benedetti e del figlio del mitico “Cin Cin”. E’ stato un grande piacere ritrovarsi tra amici ed assaggiare una fetta della ciambella, che Concetta aveva preparato per la fuga dei due giovani amici.
Conclusione della vicenda. Nell’estate del 1944, dopo alcune settimane, i due furono trasferiti negli Stati Uniti come prigionieri di guerra. Dopo la guerra, Laci tornò in Svezia. Stefan Stillich, dopo alcuni anni si trasferì negli Stati Uniti e successivamente in Canada. I due si incontrarono altre volte e rimasero amici per tutta la vita.
Marcus e Susanne Boldemann