– Aveva compiuto novant’anni da quattro mesi e, pochi giorni avanti al suo invidiabile compleanno, il nostro amatissimo Presidente Azeglio Ciampi lo aveva insignito quale Senatore della Repubblica. “Per i suoi altissimi meriti nel campo letterario ed artistico”, fu la motivazione.
E’ considerato quale ultimo degli ermetici, Mario Luzi, il grande poeta del ‘900.
Quella corrente letteraria che, tra le due guerre, mirava pur nel comportamento eclettico, a costruire un tipo di linguaggio sintetico ed essenziale, che rompesse con i vecchi canoni in quell’insieme di una espressione pienamente e totalmente evocatrice.
In verità, quando venne da noi a Cattolica alla Civica Università, il 6 aprile 2002, per un incontro nell’ambito di una indimenticabile conferenza sulla sua poesia, non si dimostrò entusiasta di essere catalogato tra gli ermetici.
Lui si sentiva forse portatore di valori che oltrepassavano quell’ermetismo che nel periodo post-bellico andò in gran parte dissolvendosi.
Me lo ricordo quel sabato pomeriggio! Il nostro amato ed indimenticabile Atos Lazzari lo era andato a prendere a Firenze con l’autista e con l’auto del Comune e l’impressione che conserviamo di questo vetusto signore, distinto intellettuale, nobile nel portamento, smilzo ed essenziale nel fisico, appassionato ed aperto nelle spiegazioni e nei commenti, mai supponente e fin troppo disponibile alle incalzanti interruzioni e richieste di Francesco Di Pilla.
L’impressione che si conserva, dicevo, è grande e di quelle che non si scordano. Nell’aspetto, nell’atteggiamento e nel contegno mi ricordava tanto il grande intellettuale inglese; filosofo e matematico; Bertrand Russel che ci ha lasciati nel 1970.
Quel pomeriggio pieno di emozioni, nel nostro teatro Snaporaz di Piazza Mercato, mi ha lasciato un ricordo vivo, veramente memorabile, mi dispiace ancora di non aver colto l’occasione per un lungo colloquio diretto con lui.
Il professor Giancarlo Messina, che questa opportunità quella sera l’ha avuta, racconta di conservare una piacevole memoria ricca di spunti e di tracce che sono utili e fondanti per un giovane docente di letteratura.
Era nato nel 1914 e di quella schiera di poeti che, per l’anagrafe, hanno dovuto fare i conti col fascismo, era il più giovane rispetto ai già noti e conosciuti letterati quali: Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto ed altri; allorquando, con Francesco Flora nel 1936, in maniera anche polemica, farà la sua apparizione la cosidetta “poesia ermetica” e si assisterà poi alla reazione di non pochi “ermetici” rispetto all’indirizzo ufficiale che voleva dare il “Minculpop” del fascismo, diretto ad accademizzare e svuotare la cultura, inibendola da ogni espressione e vitalità e da ogni spinta rivoluzionaria.
Fu un uomo di fede che credeva negli importanti valori della democrazia e quando ricevette l’alta onorificenza nello scorso ottobre, fu fatto segno di critiche ed inimicizie da parte degli esponenti della “Casa delle Libertà”, per essersi espresso in relazione alle discutibili riforme istituzionali messe in campo dal Governo.
Ancora più pesanti e vergognose, all’inizio di quest’anno, furono le violente polemiche del “Polo” e così anche la campagna denigratrice nei suoi confronti per avere osato dire ad un intervistatore che Berlusconi fosse molto bravo, quanto Mussolini, a fare la vittima. Firenze, la sua città, gli ha aperto il salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, ove è stata allestita la Camera ardente.
Il letto è una bara di legno chiaro ove il corpo immobile del poeta giace tra il raso bianco, su di un supporto metallico, posto al centro di quel salone che ha ospitato la commemorazione di grandi uomini come Eugenio Garen, il grande storico e filosofo spentosi all’età di 95 anni negli ultimi giorni dello scorso dicembre 2004; il giudice Antonino Caponnetto, due anni prima all’età di 82 anni; del giornalista e scrittore Tiziano Terzani, spentosi nel 2004 all’età di 66 anni; l’ultra novantenne etnologo e saggista Fosco Maraini, grande conoscitore della civiltà dell’Oriente.
Lui se ne è andato, ma la sua poesia resta. Resta il messaggio più importante che lasciano gli uomini eccelsi, i grandi uomini. Mi piace ricordare un suo elegiaco componimento del 1944: “A un compagno” che lui nella sua raccolta in volumi lo catalogò negli “Affetti”.
LA POESIA
A un compagno
E la musica ansiosa che bruiva
nel biondo dell’estate
ora densa di ruggine risale
confusa col tuo nome alle colline
mentre un cielo violato dal ricordo
mesce nubi con la marea di biade instancabile, rotta alle pendici
dei borghi di Toscana.
Voci rare feriscono il silenzio
eterno, ancora accese
qui dove indugio, anima sulla riva
del fiume inquieto ferma ad ascoltare.
Il passante ravviva
le croci di papaveri votivi
alle svolte della strada.
Ed ora che per te
morire sempre più profondamente,
per me essere è non dimenticare, la forza di quel gesto ci conviene usata a ritrovarci,
a difenderci l’un dall’altro quando
striscia un vento recondito di morte.