– Alberto Baldisserra, un appassionato generoso, a San Clemente, ha avuto 13 gradi dal sangiovese. Ma in 1,2 ettari è riuscito a raccogliere 80 quintali d’uva, quando la media è di 110-120 quintali per ettaro. A quanto dovrebbe essere venduto il suo vino affinché sia un’attività imprenditoriale vera?
La stagione viti-vinicola 2002 è andata così così. Le piogge di agosto e settembre hanno rovinato la produzione. Ci si è salvati grazie alle nuove tecniche introdotte nella filiera della lavorazione: dall’impianto dei vigneti, alla potatura, la cura ed infine la lavorazione in cantina.
E’ certo che le aziende riminesi hanno raggiunto un buon livello di vinificazione: da non sfigurare con regioni che hanno dallo loro la tradizione storica, come la Toscana, il Piemonte, il Veneto, il Friuli. Marcheggiani, noto enologo riccionese, afferma che i nostri vini senza etichetta riescono a reggere la concorrenza. Il vestito, invece, fa loro perdere quel fascino agli occhi dei consumatori.
Negli ultimi anni sono entrati in questo settore dell’agricoltura molti giovani che hanno costruito dei poderi belli, efficienti, con prodotti d’eccellenza. Giovani che sperimentano, viaggiano, vanno alle fiere.
Il vino è cultura. E la cultura per essere riconosciuta ha bisogno della forza del tempo. Le colline riminesi sono naturalmente vocate alla coltivazione della vite. Mancava solo l’intelligenza per estrarne i frutti. E questa è giunta.
E’ giunta anche la Regione e la Provincia. Fino a pochi anni fa per promuovere il vino a Bologna si faceva poco. Si mettevano a bilancio gli spiccioli.
La Provincia di Rimini lavora per lanciare i vini Felliniani. Ha messo in piedi un consorzio enograstronomico: “Strada dei vini e sapori”. E’ stato detto: “Sul lungo periodo la sfida della strada dei vini e dei sapori è avvincente. Si parte dalla percezione di quello che esiste e dalla consapevolezza di quello che si ha in mano. Dobbiamo stare attenti affinché il mercato non bruci la nostra idea se lo sviluppo va soltanto verso il risultato economico ed un’altra carta da giocare a corredo del turismo della costa. Ma va posta molta attenzione sulla qualità, perché il nostro potenziale apprezzatore è attento, curioso e sa valutare”.
[b]Le “colpe” dei ristoratori[/b]
– Ci sono anche i vini romagnoli nei ristoranti ed alberghi della provincia di Rimini. Sono in un angolo del menù quasi nascosti e costano anche meno: un bianco, un rosso, quando va bene l’Albana e nulla di più.
Addirittura, pochissimi sono i maitre che partecipano alla selezione Amira (la loro associazione) per rappresentare la Romagna alle finali nazionali accoppiano al piatto nostrano il vino nostrano. Ci affiancano vini siciliani, toscani, sardi, veneti, altoatesini. E se non ci pensano loro che sono l’élite della ristorazione, potranno mai pensarci gli altri?
E pensare che si parla tanto, ed a proposito, di territorio, terra, tradizione. Sembra che il turismo vero debba battere questa strada, ma i nostri vini non riescono a sfondare, perché?
Fino a pochi anni fa nel Riminese non si producevano grandi vini: si badava alla quantità e non alla qualità. Negli ultimi anni le cose sono velocemente cambiate. I nostri vini non hanno il fascino di regioni partite prima, ma in tanti possono competere con la concorrenza.
Il loro successo passa per i “consigli” dei ristoratori.