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Agricoltura. Frutteti, in 20 anni ettari meno 43 per cento

Redazione di Redazione
16 Agosto 2017
in Attualità, In primo piano, Rimini
Tempo di lettura : 2 minuti necessari
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di Gianmarco Galli

 

Sempre meno coltivazioni di frutteti.  Confagricoltura Emilia-Romagna: «Abbiamo perso il 43% dei frutteti in 20 anni”.

Addio ai frutteti dell’Emilia-Romagna. Ferragosto, la festa istituita dall’imperatore Augusto nel 18 a. C. per celebrare i raccolti, ha lasciato a bocca asciutta i produttori. La superficie coltivata a pesche è crollata da 20.988 a 6.106 ettari e quella a nettarine da 17.728 a 8.563; la pericoltura ha cancellato quasi 10.000 ettari di impianti ridimensionando le sue coltivazioni da 30.715 a 20.095 ettari e la melicoltura si è ridotta addirittura da 11.733 a 4.821 (fonte Rapporto Agroalimentare Regione-Unioncamere).

«Si parla tanto di politiche ambientali, rimboschimento e realizzazione di aree verdi per ridurre l’emissione in atmosfera di gas clima alteranti, poi però questi bei propositi sembrano svanire quando il disastro diventa doppio e si assiste alla scomparsa di un comparto strategico per l’economia regionale». Il tavolo ortofrutticolo nazionale convocato a settembre dal Mipaaf? «È un primo passo ma agli incontri devono poter partecipare anche le rappresentanze agricole cioè tutti i produttori, non solo quelli organizzati in strutture. Con l’intento di giungere ad un’unione piramidale costituita alla base dalla platea di frutticoltori e, sopra, dalle strutture di condizionamento; all’apice dovrebbe ergersi un organismo unico deputato alla commercializzazione di ogni specie frutticola, in grado di portare alla condivisione delle regole produttive-organizzative». Dice il presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna, Gianni Tosi .
Ma quali sono le ragioni? Lo scenario non lascia dubbi: le colture arboree stanno cedendo il passo di fronte alla crisi dei prezzi dovuta alla scarsa competitività della frutta italiana rispetto a quella estera e alla maturazione in contemporanea di svariate varietà, accelerata dal clima africano, che ha creato un parziale eccesso di offerta sui mercati. Sono lievitati i costi di produzione soprattutto per l’aggravamento derivante dal consumo di energia elettrica. «L’irrigazione di soccorso è costata 5 centesimi in più al chilo e non è bastata perché la pianta ha sofferto comunque delle ondate di calore. Così il calibro raccolto è risultato lontano dallo standard valorizzato dal mercato e richiesto dal consumatore. Chi adesso conferisce il prodotto, fa i conti con prezzi che vanno dai 47 ai 52 centesimi/kg per le pesche gialle di eccellente pezzatura, ma non ce ne sono. Infatti la maggior parte dei frutti raccolti si ferma al calibro B e C, con quotazioni dai 10 ai 19 cent al chilo quando i costi di produzione si aggirano in media sui 50 cent/kg (fonte CRPV, Centro Ricerche Produzioni Vegetali e Unibo, Università di Bologna)» Spiega il presidente regionale degli imprenditori agricoli. Riguardo alle pere, solo chi ha potuto disporre di adeguati sistemi irrigui “sopra chioma” o di moderni impianti di “fertirrigazione” che prevedono peraltro grossi investimenti aziendali, ha ottenuto raccolti di buona qualità. I bilanci in rosso non si fermano qui. Le prime mele raccolte sono mini.

«Non va meglio neppure per chi produce kiwi (sono 4.405 gli ettari coltivati ad actinidia in regione) e raccoglierà alla fine di ottobre: la varietà più diffusa (Hayward) vive il suo momento fondamentale, che determina l’accrescimento del frutto, proprio nei mesi di giugno e luglio quindi la sua stagione si preannuncia critica». Conclude il presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna.

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