– Gino Magi detto “Gino d’Sociali”, classe 1926. Un pescatore tra i più stimati della nostra marineria, racconta.
“Nella primavera del 1943 lo stabilimento conserviero “Marabotti” aveva inviato alcune barche in Istria a pescare un particolare tipo di molluschi “mussoli” (una specie di datteri di mare), così siamo partiti alla volta di Parenzo, la nostra barca era la più grande, tutte le altre erano unite a noi in fila indiana.
Impiegammo undici ore e mezzo facendo rotta Nord-Nord-Est ad una velocità di circa sei miglia e mezzo l’ora. Noi per il ritorno avevamo il compito di prendere a bordo anche gli uomini delle altre barche per la turnazione di riposo, tra le quali era imbarcato Elio Campanelli “Gambren”. Facevamo il pieno carico, oltre che di uomini anche del pescato da portare a San Benedetto del Tronto. Era primavera inoltrata e fortunatamente il tempo era buono. Essendo in tempo di guerra, vigeva il razionamento del pane e l’assegnazione era 250 grammi circa a persona al giorno.
Facemmo rotta verso Sud fino ad Ancona dove pernottammo e la mattina seguente arrivammo a San Benedetto per scaricare, ma avevamo finito il pane. Io e Elio “d’Gambren” abbiamo girato tutta la città ma il pane non l’abbiamo trovato.
Lasciando San Benedetto ci siamo fermati a Porto San Giorgio, era pomeriggio, a quell’epoca il porto non c’era, noi ci siamo avvicinati il più possibile a terra, poi io ed Elio ci buttammo in acqua e arrivando nel paese di Porto San Giorgio “A n’avin armidié gnènca un cuncin d’pèn” (non abbiamo rimediato neanche un pezzettino di pane).
Tornammo la sera a bordo, un nostro compagno “Vicianz d’Baston” che anche lui era senza pane e, devo dire, che conoscendo la bontà di quell’uomo, avrebbe sicuramente rinunciato al suo pane per darlo a noi ragazzi, disse ai suoi colleghi marinai: – Porcamanovra! -, (non bestemmiava) – Avlì dè un pèz d’pèn ma sti burdèl o na? – (volete dargli un pezzo di pane a questi giovani o no?, rivolto anche al “paron” che invece l’aveva).
Dopo l’8 settembre sono arrivati i tedeschi e non abbiamo potuto più andare in mare a pescare liberamente come prima. Ci facevano uscire alla mattina e ci facevano tornare alla sera prima di notte. Il carburante era scarso e si riusciva a malapena a mangiare, a pagare i contributi e il prezzo della nafta. In quel periodo arrivò in porto un bastimento requisito dai tedeschi, dell’armatore Pericoli il “Rosa Madre”, unitamente al bastimento “Domenico Padre” pure dei f.lli Pericoli.
Era il tempo delle “mille lire al mese”, informatomi, seppi che la paga di bordo sarebbe stata di tremila lire al mese, quindi molto vantaggiosa; riuscimmo ad imbarcarci io e Ezio Bontempi “Braghìn” come motorista. Partimmo alla volta di Venezia, appena arrivati ci mandarono alla Giudecca dove imbarcammo quattro militari tedeschi di marina, questi appena giunti piazzarono una mitraglia a prua. Così l’equipaggio diventò di otto persone (quattro di noi più i quattro tedeschi).
Caricammo viveri alla stazione marittima di Venezia per Ancona, premetto che il fronte alleato con l’ottava armata era arrivato a Pescara. Facemmo il viaggio senza problemi; ma quando arrivammo al porto di Ancona sentiamo suonare la sirena dell’allarme aereo, a quel punto ci indirizzarono col bastimento verso l’arsenale che era il posto di ormeggio più vicino a noi: “A met una cima a prova e cur drenta mal rifôgg”. (sistemo una cima a prora e corro al rifugio). E così terminò il primo viaggio, Ancona era deserta perché veniva bombardata tutti i giorni.
Ritornammo scarichi a Venezia, quando arrivammo nel canale della laguna che da Chioggia porta a Malamocco e a Venezia, a causa della nebbia incontrammo arenato un grande bastimento. Il motorista era il padre di Umberto Ricci (Primo), tutto l’equipaggio rischiava la fucilazione perché i tedeschi pensavano ad un sabotaggio intenzionale, in realtà fu poi constatato che mancava la “briccola” di segnalazione. Nel porto di Malamocco a sette-otto chilometri a Nord di Chioggia si era anche arenato il trasatlantico “Conte di Savoia”. Arrivammo mezz’ora dopo a destinazione perché abbiamo partecipato alle operazioni di disincaglio assieme ad un rimorchiatore. Da Venezia siamo andati a Trieste sempre per caricare i viveri ed attraccammo sotto la prua del trasatlantico “Rex”. Ricordo la bellezza di questa nave, ho provato a salire ma non ci sono riuscito.
Quando facemmo il terzo viaggio in mare di notte a fari spenti lungo la rotta di sicurezza che da Ancona a San Benedetto del Tronto era di quattro miglia dalla costa, c’era sempre un marinaio di guardia a prua, noi eravamo con tanti altri bastimenti oltre al “Domenico Padre”, tutti requisiti dai tedeschi. Tonti Nino “Al Nen” anche lui di guardia a prua sul “Domenico Padre” si sentiva sicuro della rotta.
Noi eravamo distanti una ventina di metri, il mare era calmo e sul “Rosa Madre” dove ero imbarcato, di guardia a prua c’era un militare tedesco quando vide la sagoma del “Domenico Padre”, non ebbe la forza di urlare. Anche se si navigava a lenta velocità la modesta collisione fu inevitabile, tanto che “Al Nen” a prua del “Domenico Padre” cadde in acqua.
Facemmo sosta a Cattolica, ma non riuscimmo ad entrare in porto, il nostro capitano Romeo Micioli di Fano decise di andare a Fano e col permesso della capitaneria riuscimmo ad avere il posto di ormeggio. A bordo avevamo 260 ton. di viveri, pensavamo di portare qualche scatola di carne, un po’ di zucchero a casa data la grande carestia del momento.
Per chi conosceva il porto di Fano, dopo l’ingresso esisteva una darsena grande e in prossimità del canale della “Liscia” una darsena piccola, darsene a tutt’oggi in funzione, oltre al nuovo spazio di ristrutturazione del porto. Nella darsena piccola c’era una barca di Cattolica ove era imbarcato Oreste Biondi di Gabicce e un bastimento in allestimento costruito a Cattolica della portata di 350 ton. Noi abbiamo attraccato a fianco di questo bastimento. Era il periodo in cui un’aereo nemico passava sempre di notte per bombardare i ponti che chiamavano “Pippo il ferroviere”. E mentre dormivamo noi a prua e i tedeschi nella cabina grande a poppa, verso le 23.00 circa sentiamo in lontananza un’aereo e noi eravamo indecisi se scendere o meno a terra. Il motorista mi disse: -Getterà proprio qui le bombe?, forse andrà a bombardare il ponte sul Conca! – Terminò di dirmi quelle parole che l’aereo virò all’improvviso e bombardò proprio dove eravamo attraccati. Sganciò tre bombe, una colpì il bastimento cui noi eravamo affiancati, il quale centrato affondò rapidamente.
Penso che quella bomba fosse indirizzata a noi, motivando il fatto che eravamo carichi di viveri, poiché c’era chi informava gli alleati con messaggi via radio. Lo scenario fu terribile, saltarono pezzi di banchina e di barca da tutte le parti e noi a cercare riparo; dalla prua siamo scesi a terra e di corsa tutti quanti giungemmo nelle vicinanze del cimitero, oltre la via Flaminia e lì abbiamo atteso il giorno.
Tornammo poi al nostro natante e una volta verificato che non ci fossero state “falle” abbiamo proseguito la nostra navigazione, arrivando in Ancona che era la vigilia dell’ultimo dell’anno. Eravamo cinque barche di cui due di Pirano, tutte cariche di viveri e tutte ci ormeggiammo nel Mandracchio”.
(continua)