– Cesare Arduini era nato e cresciuto a Cattolica verso la fine del 1800, in una famiglia numerosa che coltivava e risiedeva in un podere agricolo, nella zona dove ora si snodano via Viole e via Caduti del mare, verso il fiume Tavollo. All’inizio della prima guerra mondiale Cesare fu richiamato alle armi e inviato sul fronte del Piave e vi rimase fino al 1918.
In quegli anni di stenti e paure incontrò Dosolina una ragazza del Cadore, a fine guerra si sposarono, presero residenza a Longarone e Cesare inizio la sua attività di camionista viaggiando attraverso il confine con la Germania, la Svizzera, l’Austria, ecc.
La distanza di chilometri tra la parte estrema sud della Romagna e la provincia di Belluno, per quei tempi era quasi incolmabile a causa delle difficoltà economiche del dopo guerra, dei trasporti scarsi, degli orari di lavoro esasperanti, per cui nei decenni che seguirono Cesare e Dosolina vennero raramente a trovare la famiglia di origine, ma a mezzo posta arrivavano notizie, lettere con accluse fotografie in bianco e nero dei loro figli Valentina, Terenzio (Enzo) e Flora, man mano che crescevano, e raccontavano di loro e della scuola.
Le ragazze erano studiose, ma Enzo era molto svogliato, due volte avevano provato a metterlo in collegio e due volte era scappato. Voleva andare con il padre e con il loro camion, ma doveva aspettare gli anni della patente. In famiglia a Cattolica in una grande scatola di latta grigia, con sopra un disegno del mare di un faro e barca, riponevano tutte le lettere dei figli lontani. Altri due erano partiti, Rosina e Attilio, emigrati in America e scrivevano che stavano bene. A Cattolica con gli anziani genitori erano rimasti solo due dei sei figli, Palmina e Antonio detto “Tugnin” e le loro famiglie. Il figlio che era morto nel 1929 in mare con il genero Eugenio nel naufragio del Wilson si chiamava Angelo.
Era alle porte la seconda guerra mondiale e questa volta il richiamo alle armi toccò ad Enzo che fu destinato a Roma al Ministero della Marina Militare. In quel periodo la nonna Marianna lavorava a Roma, e grande fu la sorpresa quando si trovò sulla porta di casa un ragazzo tutto elegante nella sua bianca divisa che le diceva “Mi son Enzo, il fiol di Cesare di Longaron”. Era alto e snello, aveva capelli ricci e il viso simpatico e molto espressivo.
Rimasero a parlare per tutto il tempo che gli era concesso dalla libera uscita, Enzo e Marianna erano figli di fratelli, non si erano mai visti prima. Tornò un giorno che c’era mia madre che allora aveva undici anni, Enzo la portò a prendere il gelato, nei giardini c’erano le giostre, decisero di salire su di una macchinina della pista da scontro, tra urti e scintille a non finire, lei ad ogni urto faceva un saltino sul sedile dell’automobilina e rideva, di giri ne fecero tre, quando scesero lei disse di non essersi mai divertita tanto. Al ritorno a casa Enzo le raccontò che la sua fidanzata a Longarone “si ciama come ti”.
Parlava un italiano perfetto ma si divertiva a fare lo spiritoso. Erano già diventati amici. Un giorno Enzo arrivò con un suo superiore, aveva ricevuto un encomio dal suo Comando. Era successo che essendosi insospettito di una affascinante signora che lo circuiva, riferì al suo comandante e con la sua collaborazione arrestarono due spie di guerra inglesi.
Finita la seconda guerra mondiale Enzo tornò a Longarone e diventò camionista. Ormai lassù le sorelle si erano sistemate, Valentina impiegata in Comune, si era sposata e aveva due bambini, Flora aveva sposato il direttore della cartiera di Longarone, era una ragazza molto carina, una maestrina sportiva che amava fare le gare di nuoto nel Piave e spesso le aveva vinte. Anche Enzo si era sposato con la dolce e generosa Eugenia e nonno Cesare e nonna Dosolina che stavano bene aspettavano già l’arrivo di altri nipotini.
Con gli anni Cinquanta si aprì il boom economico e la strada delle vacanze di massa, e proprio in quel periodo la famiglia Arduini di Longarone, che era diventata numerosa iniziò a tornare al mare Adriatico quasi ogni anno dopo il ferragosto. Valentina aveva due figli, due ne aveva Enzo, il timido Cesare molto carino e la vivacissima Adele (Delì), e Flora aveva tre deliziose bambine. Venivano a Cattolica con tanto entusiasmo, perché la città era bella e piena di attrattive e con i parenti che erano rimasti sempre a viverci si trovavano a casa. Facevano molto mare, molti bagni, andavano in gita con la nave Europa e la notte a pescare con i battelli dei cugini pescatori, e mangiavano il pesce la sera sulla barca, tutto per loro che vivevano sulle montagne delle Dolomiti qua era straordinario. Di sera a passeggio con i parenti nel centro di Cattolica andavano a prendere il gelato da Pimpi, la più rinomata gelateria artigianale dell’epoca, si fermavano davanti all’entrate dei dancing di moda e molto eleganti come il Sirenella, l’Esedra, il Mouline Rouge a curiosare dentro. Le coppie ballavano stretti stretti con le luci soffuse valzer lenti poi le luci si alzavano e la musica diventava vivace, così di seguito fino alle ore piccole. Qualcuno del gruppo entrava per passarvi la serata e gli altri risalivano viale Bovio verso il Municipio. Nei giardini giravano cariche le giostre per far divertire i bambini prima di riportarli a casa, le bancarelle con i croccanti, lo zucchero a velo emanavano dolci profumi e il circo iniziava lo spettacolo e la musica ovunque era a dir poco assordante.
Finita la vacanza gli zii invitavano i parenti a Longarone, e solitamente, a ottobre di ogni anno qualcuno del mare andava a conoscere le Dolomiti e tutto il bel Cadore dove a metà mese cominciava a nevicare. Dopo la pianura Emiliano-Veneta c’era il trenino che arrancava in salita e il panorama era splendido. Si vedevano laghi e ancora laghi, valli verdi e valli fiorite, piccoli centri urbani con lunghissimi viali di platani rossi e montagne sempre più alte che sembrava ti girassero intorno. Longarone era un paese di 4000 abitanti, aveva un aspetto ordinato e tranquillo e offriva ogni servizio per una vacanza in montagna e la gente era simpatica, come si sa, i veneti lo sanno essere. Valentina abitava nella sua casa che era in alto rispetto al paese, e così pure Enzo sulla strada che portava a Cortina.
Flora invece era proprio nel bel mezzo della vallata perché vicina alla cartiera e al Piave. Con Flora vivevano i nonni che erano di aiuto per le tre bambine, Lidia (Didi), Antonella e Anna molto diverse tra loro. La più grande Didi a 10 anni era già una perfezionista, si alzava un ora prima del necessario per fare tutto bene, diceva lei. Antonella scendeva dal letto sempre troppo tardi, Anna era ancora piccolissima.
Intanto nel 1957 a Longarone avevano iniziato i lavori della diga, dopo fiumi di parole sulla sua pericolosità, perché la formazione geologica delle Dolomiti non era sicura per un simile progetto, e riportati per mesi sui giornali commenti di ogni parte, si era formato un clima di grande incertezza, tutti erano convinti che prima o poi qualcosa di grave sarebbe successo e la popolazione guardava in su quel gigante con sospetto. Enzo dal canto suo era tanto pessimista che disse testualmente: “Un giorno ci vedrete arrivare qui nell’Adriatico come una moria di pesci d’acqua dolce in acqua salata”.
La sera del 9 ottobre 1963 era serena mentre dal monte Toc dietro la diga si staccarono tutti insieme 260 milioni di metri cubi di roccia che cascarono nel lago dietro la diga e sollevarono un ondata di 50 milioni di metri cubi di acqua. In cinque minuti i paese di Longarone era scomparso. Enzo, Eugenia e Adele erano in casa quando sentirono un boato indescrivibile. Aprirono una finestra e giù c’era acqua fango e buio pesto. Cercarono per tutta la notte assieme alla famiglia di Valentina gli altri, cioè Cesare che era in paese e tutta la famiglia della Flora, gli zii Dosolina e Cesare… non trovarono più nessuno.
All’alba Longarone sembrava un paesaggio lunare, metà degli abitanti erano scomparsi con l’onda. Li ritrovarono a chilometri di distanza, dopo giorni e giorni denudati dall’acqua, avvolti nel fango e nei detriti. Dicono che un po’ dell’acqua uscita dalla diga sia giunta veramente fino all’Adriatico. Le Autorità locali chiesero ad Enzo di prendere l’incarico di Sindaco per la popolazione rimasta, per tutto il lavoro che incombeva.
Enzo accettò, lavorando giorno e notte, riusciva meglio sopravvivere alla sua tragedia familiare. Ma nè Enzo nè Eugenia riuscirono mai più a superare il dolore per la perdita del figlio Cesare. Ora lassù sulle Dolomiti è rimasta solo una Signora che di nascita si chiama Arduini, è Valentina ultraottantenne figlia di Cesare del Fronte sul Piave, una Signora che ha vissuto la tragedia del Vajont e che ora ha troppe tombe da visitare, che mostrano fotografie di fanciulli con sotto in basso una medesima data 9-10-1963.
Dati storici tratti da www.sopravissutivajont.org
di Antonio Barbieri