IL FATTO
– A questo punto sarebbe meglio se saltassero gli accordi tra il Comune di Morciano e la Ghigi. Al Comune andrebbero piazza Ghigi e parcheggi sottostanti, alcuni milioni di euro di fideiussioni, con la cubatura che scenderebbe della metà, con al posto di mattoni e cemento piante, fiori. E strade. Le vecchie strade che il pastificio acquisì negli anni Sessanta per far fronte alla crisi di allora.
Dopo gli ultimi accadimenti se lo augurano in tanti, perfino nelle sacre stanze del Palazzo morcianese.
Purtroppo la Ghigi come industria, come marchio, come bontà degli uomini, è in ginocchio; speriamo che la crisi non sia senza ritorno. Fa fatica a riaprire i battenti, da alcuni mesi non paga stipendi e salari.
Si ventilano varie soluzioni, ma ci si pone la domanda: il vecchio e caro marchio ha ancora qualche chance di sopravvivenza? Con questa dirigenza, come la storia ha dimostrato, proprio no. Ci vorrebbe la fortuna, ma senza la forza del saper fare che a parere di Machiavelli vale il 50 per cento non è pensabile alla sorte, almeno a quella che aiuta gli audaci.
Da parte sua il pubblico, Comune di Morciano, Comune di San Clemente, Provincia e Regione hanno commesso errori colossali. Le quattro istituzioni hanno fatto fin troppo per dare una mano alle sorti del pastificio. Hanno concesso contributi e creato aree industriali (con terra, tanta, fin troppo, acquisita a costi di favore).
Forse hanno salvato le sorti urbanistiche di Morciano (si legga qualità di vita), ma compromesse, per almeno 100 anni, lo sviluppo urbanistico di Sant’Andrea in Casale, dove civili abitazioni e capannoni si intrecciano. Quando quei quasi 90 ettari di terreno industriale sarà ultimato ci sarà molto di cui arrossire. Già la vergogna c’è ora. Tanta e triste. Domanda: ma con quale logica è stato fatto tutto questo? Le domande potrebbero continuare. Ma le risposte non possono essere che impertinenti.