Tratto da lavoce.info
DI BRUNO ANASTASIA, si occupa di analisi del mercato del lavoro
MAURIZIO GAMBUZZA, si occupa di analisi del mercato del lavoro
E MAURIZIO RASERA, si occupa di analisi del mercato del lavoro
I dati documentano che nella stagione in corso il settore turistico è ripartito ed è stato in grado di attivare un volume di lavoro perfettamente in linea con gli anni migliori. Ma qualcosa è comunque cambiato nell’incontro tra domanda e offerta.
Si è parlato spesso, nelle scorse settimane, di difficoltà enormi nel reperimento di manodopera per il lavoro stagionale. E tale situazione, secondo alcuni, sarebbe imputabile al Reddito di cittadinanza, che incrementerebbe la riottosità dei giovani a lavori faticosi o poco remunerati o che ostacolano il divertimento nel week end. In più il Covid avrebbe favorito la fuoriuscita dal lavoro stagionale: molti lavoratori si sarebbero ‘riciclati’ in altri settori, magari con posizioni più stabili.
Proviamo a verificare se riusciamo a trovare qualche traccia di tali difficoltà nei dati sulle assunzioni (fonte: Comunicazioni obbligatorie delle imprese) relative al litorale veneziano, che comprende cinque località balneari di assoluto rilievo nazionale: Bibione, Caorle, Jesolo, Cavallino-Treporti, Eraclea. Complessivamente registravano negli ultimi anni pre-pandemia circa 23 milioni di presenze turistiche, pari al 5 per cento del totale nazionale.
I dati relativi al 2022 sono disponibili fino al 30 giugno, più che sufficienti a valutare la situazione, dal momento che le assunzioni con contratto di lavoro stagionale si concentrano largamente nel periodo aprile-giugno.
Il lavoro stagionale è cambiato
Tutto a posto, dunque? È solo un estivo ballon d’essai la crisi del lavoro stagionale? Si possono archiviare le notizie sulle “difficoltà di reperimento” come aneddoti dell’infinita casistica delle esperienze di lavoro?
I numeri, come al solito, circoscrivono i problemi e costituiscono la base per approfondimenti ulteriori. A tal fine si possono proporre alcune considerazioni:
non c’è necessariamente contraddizione tra la constatazione che gli incontri domanda-offerta comunque avvengono e l’osservazione che essi – rispetto al passato – sono “più difficili”: soprattutto si rivelano tali per quegli imprenditori abituati in passato ad aspettare il materializzarsi spontaneo dei candidati a “fare la stagione”, provenienti da un entroterra ricco di offerta di lavoro (donne, giovani) alla ricerca di occupazioni che possono anche richiedere un impegno intenso ma comunque ancillari rispetto ad altri progetti di vita (un rapporto di lavoro stagionale nel litorale veneziano ha evidenziato negli anni recenti, pandemia a parte, una durata media di circa 110 giornate);
il segnale della riduzione dell’offerta di lavoro stagionale da parte degli adulti può alludere alla difficoltà, oggi avvertita più che nel passato, di costruire intorno alle professionalità tipicamente spendibili nel settore adeguati progetti di vita (compatibilità con la famiglia, livelli di reddito etc.);
qualsiasi – anche minima – crescita della domanda di lavoro nel comparto turistico incrocia vincoli importanti nell’offerta, di ordine demografico, normativo (difficoltà a inserire lavoratori stranieri), organizzativo e professionale. Occorre tener conto che la domanda di lavoro può crescere non solo in funzione dell’incremento dei turisti, ma anche dell’innalzamento (necessario) della qualità dei servizi offerti. In effetti, si stima che negli ultimi anni, pur trascurando il biennio pandemico, il rapporto tra giornate di presenza turistica e giornate di lavoro stagionale (con contratto a termine) sia sceso da oltre 7 a circa 6: se il trend viene confermato significa che anche a parità di presenze turistiche serve un maggior impiego di forza lavoro;
la disponibilità di un’offerta di lavoro maggiormente in grado di contrattare redditi, orari e condizioni di lavoro può aver messo in difficoltà soprattutto le strutture turistiche marginali, economicamente fragili, con la propria sopravvivenza legata a filo doppio alla possibilità di introiti non dichiarati. E di conseguenza senza margini (o anche senza cultura) per inventarsi un nuovo rapporto con i dipendenti.
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