LA MOSTRA
di Annamaria Bernucci*
– Domenica 13 marzo 2011, ore 18,30 a Cattolica, inaugurazione della mostra Pasta di Romagna Impronte di fabbrica presso la Galleria Comunale S.Croce (via Pascoli, 21) preceduta alle ore 18 (nella sede del Museo della Regina, via Pascoli 23) dalla presentazione del progetto e del catalogo con l’arch. Massimo Bottini (Istituto per i Beni Culturali e Naturali Regione Emilia Romagna). La mostra verrà chiusa il 2 maggio.
Esplorazione all’interno dell’ex pastificio di Morciano in una mostra fotografica in due sedi d’eccezione: la Biblioteca G.Mariotti a ridosso dello stabilimento morcianese e alla Galleria Comunale S.Croce di Cattolica dove è allestita una installazione che rievoca anche la scomparsa fabbrica di pasta di via Corridoni, nel cuore balneare di Cattolica. Gli autori Lorenzo Amaduzzi e Daniele Lisi.
Il divario generazionale è la prima cosa che salta agli occhi, eppure si sono conosciuti e hanno perfezionato le loro competenze in tecnologie multimediali nelle aule dell’Accademia di Belle Arti di Urbino nel 2008: Lorenzo Amaduzzi (Fano 1946) e Daniele Lisi (Riccione 1982), fotografi, costituiscono quella che chiamano una ‘insolita coppia autoriale’, età, personalità e approcci diversi, ma una passione comune verso temi fotografici contemporanei come il paesaggio (antropizzato e violato), attratti entrambi dalle seduzioni dei nuovi segni che lo connotano: poli industriali, luoghi dismessi, conurbazioni che sfregiano aree di interesse, ma anche l’anonimato delle periferie, l’enigmatica riappropriazione che la natura opera sui siti in abbandono, le sigle dei graffitisti che adornano con il loro linguaggio criptico e colorato muri diroccati. Il silenzio delle rovine, l’improvvisa presenza di passaggi umani, un’umanità derelitta e solitaria alla ricerca di un riparo e di solidarietà. La loro è una fotografia che analizza luoghi dotati di contraddizioni e che necessitano di un confronto con la residualità di elementi problematici. Lisi ad esempio aveva operato sulle colonie a mare riccionesi restituendone un ritratto tra memoria, denuncia e analisi architettonica, sfociato in una mostra del 2007; Amaduzzi, blogger da anni, è autore di numerosi link dedicati alla sua singolare ricerca sull’estetica delle rovine.
Nel 2010 hanno deciso di intraprendere la documentazione dello stabilimento Ghigi di Morciano, relitto, non ancora rudere, oggi reliquato industriale cresciuto abnorme nel cuore del paese, in tempi recenti commissiarato e sottoposto dalla data della sua liquidazione coatta a diversi passaggi di proprietà. La storia del pastificio Ghigi è una storia italiana, in cui si lega ingegno e imprenditorialità, la saga di una famiglia con i suoi declini, la permanenza di un marchio che ad onta di divisioni e difficoltà ha segnato comunque un’epoca di prosperità e di rilancio economico ed è rimasto ancorato nella memoria collettiva locale come un carattere identitario. Non si dimentichi che il pastificio, tra i più antichi della regione – nasce nel 1870 – negli anni ’60 fu uno dei più prosperi, per produzione e distribuzione, alla stregua dei più celebrati Barilla o D’Amato.
Amaduzzi e Lisi hanno affrontato un’investigazione fotografica ed estetica che si è rivelata da subito complessa e articolata; innanzi tutto per l’enorme mole di spazi e del labirintico percorso all’interno della fabbrica svuotata delle sue funzioni ma ancora dotata dei suoi macchinari e ingranaggi. L’eco delle attività interrotte si annida tra i corridoi, le rampe interne, i laboratori. Percorre l’esterno, la torre, la sommità degli edifici, i cortili, i silos, il groviglio gigantesco della struttura cresciuta irriguardosamente negli anni ’50 e ’60 per esigenze di produzione e di uso come una qualsiasi altra fabbrica, ma nel cuore del paese, a lungo e profondamente legato socialmente ed economicamente allo stabilimento. Con totale autonomia i due fotografi attraverso un racconto a quattro mani si sono mossi all’interno della gigantesca fabbrica, ne hanno colto il silenzio e le tracce umane annidate negli spazi; e hanno restituito una narrazione visiva satura di corrispondenze, di relazioni simboliche.
Le atmosfere astratte e sospese di Lisi derivano dalle geometrie e simmetrie degli spazi privati delle attività, misurate negli equilibri tra interni e esterni, nella dose desaturata di luci e di ombre che le foto possiedono, tra le forme degli ingranaggi riscoperti nel loro nitore, nella loro purezza formale di macchine. La sospensione temporale calata sulla fabbrica acquista invece nelle foto di Amaduzzi il senso malinconico della rovina, enfatizzato dalle tracce delle presenze umane che con le loro esistenze e il loro lavoro hanno dato spessore e anima a questi luoghi ora in abbandono.Tracce di vita, foto appese alle pareti, fogli strappati, la pasta abbandonata per terra, la candida farina che affiora negli angoli, tutto parla di un tempo bloccato.
Durante la fase delle ricerche fotografiche si è riscoperta l’esistenza a Cattolica di uno stabilimento Ghigi in via Corridoni, condotto dal 1922 al 1950 da Nicola Ghigi nipote dell’omonimo fondatore morcianese; questa segnalazione ha consentito un ulteriore elemento conoscitivo per la storia del pastificio.
*Direttrice della Galleria comunale S. Croce di Cattolica