AMARCORD
di Silvio Di Giovanni
– Ciao Paolo!
È triste salutare per l’ultima volta un amico, un concittadino, un compagno di lavoro, quando lui, più nemmeno ti può ascoltare, né ti può più sentire.
Chi era e chi è stato Paolo nella vita?
Non era certamente un possessore di titoli, né onorifici, né accademici. Non era un commendatore né un cavaliere. Era una persona che ha tanto lavorato per tutto il tempo che è vissuto, ma nessuna istituzione ha mai pensato e mai penserà, di offrirgli una onorificenza, un titolo e/o di chiamarlo, ad esempio, “Cavaliere del lavoro”.
Ma Paolo è stato sicuramente un Grande Lavoratore, un ottimo, capace Grande lavoratore, e l’aggettivo Grande è, per lui, certamente meritato.
Sfido a trovare un’altra persona che abbia dedicato, come lui, tutta l’intera vita per il lavoro.
Oltre ovviamente ai naturali affetti famigliari verso i suoi cari, Paolo ha sicuramente amato il lavoro.
Ha cominciato nella tenera età giovanile, come tanti di noi in quei tempi, sui cantieri edili e già sessanta anni fa, lui aveva appreso l’arte muraria ed era divenuto un apprezzato capomastro-muratore e tale da riscuotere la fiducia dell’impresario-capo che gli affidava la conduzione del cantiere.
Ma non era un capocantiere qualsiasi.
Lui aveva appreso, imparato ed amato l’arte muraria.
Era diventato un bravissimo capomastro.
In quei tempi passati, di oltre mezzo secolo fa, era alquanto carente, l’aiuto diretto del tecnico e dei tecnici in genere, sui cantieri edili, per la effettiva direzione ed assistenza tecnica sullo svolgimento dell’opera, e solo i bravi capimastri, ben si destreggiavano, nella realizzazione dei vari percorsi costruttivi.
E Paolo era uno di questi.
Lui intuiva l’opera da eseguire dopo un breve scorcio al progetto, lui “vedeva” anzitempo il lavoro da svolgere e già lo prefiggeva: dalle fondazioni, ai cordoli di collegamento, ai muri in elevazione, ai pilastri, quando la struttura portante era in cemento armato, alle strutture coprenti orizzontali, agli sbalzi, alle gradinate delle scale, al tetto di copertura.
Sapeva disimpegnarsi nei lavori più complicati. Incarnava l’esempio del vecchio capomastro che ama profondamente il suo lavoro.
Paolo ha fatto anche l’impresario edile.
Ma Paolo non era e non aveva il carattere di un imprenditore.
Lo ha fatto come conseguenza del lavorare in proprio.
Ma ad un carattere ed una mente di lavoratore oltremodo laborioso, buono ed onesto, come lui era, mancavano sicuramente certi attributi di perizia contrattuale, di capacità di gestione aziendale, di tutela, dei fini del guadagno, come scopo vitale e necessario per potersi ben destreggiare.
Lui era essenzialmente un bravo capomastro ed un uomo buono e generoso anche. Gli era successo più di una volta di alzarsi nel cuore della notte, se il tempo cambiava repentinamente, per andare, da solo, a notte fonda, a stendere un telone protettivo su un tetto con i lavori iniziati, scoperto nella giornata.
È vissuto, lavorando sempre, fino ad 80 anni, ed è morto senza diventare vecchio, ma nemmeno anziano.
Se non fosse stato vittima del terribile male che lo ha colpito ed avesse superato i 90 anni, come ora non è insolito per molte persone, lui avrebbe sicuramente sempre lavorato fino all’ultimo, senza diventare vecchio e senza diventare ricco.
Io, Paolo, voglio unirmi alle espressioni di cordoglio verso i tuoi famigliari, voglio dire alle tue figlie che hanno perduto un grande babbo e, nell’unirmi al saluto di tutti quanti noi che ti conoscevano e ti volevano bene, vorrei offrirti come saluto personale, la saggezza dei versi dei poeti, che io tanto amo e che tu, purtroppo, non hai avuto modo di conoscere.
Non ti vedremo più, Paolo, giungere sul cantiere con tutta la tua carica di idee e di entusiasmo per l’opera da svolgere, per il lavoro di volta in volta da intraprendere, non avremo più l’occasione di disquisire su quale strada migliore inoltrarsi e su quale materiale migliore da adoperare, perché tu sei morto per sempre, Paolo.
Perché tu sei morto per sempre, come tutti i morti della terra, come tutti i morti cui il tempo tende a far impallidire nella memoria. Ma io oggi ti ricordo, Paolo.
Ti ricordo per dopo, per la tua voglia di vita che avevi, per il tuo intuito, per la maturità della tua intelligenza, pur privata dell’apporto istruttivo, per la tua volontà di operare, di fare, di esserci.
Ti ricordo con un senso profondo di struggimento e con un velo di nostalgia e di mestizia, piuttosto che con un gemito straziato in gola.
Ti ricordo con l’aura soave di brezza della collina di Saludecio, nella tristezza che aleggerà tra quegli ulivi.
E, con i versi del grande poeta iberico, nella vana ricerca di alleviare il peso della morte anche con l’uso di un paradosso:
Vai Paolo… non sentire il caldo bramito… Dormi… Vola… Riposa… Muore anche il mare!!!