– Tutti conoscevano Batzot, un vecchio marinaio molto semplice e simpatico con un cuore grande così. Al primo mattino, già anziano, andava ancora a pescare col suo battello poco distante dal porto. Nelle giornate fredde si portava uno scaldino ricolmo di brace, per scaldarsi. Con la sua rete faceva una calatina, poi ritornava in porto. Se gli chiedevano il perché fosse ritornato così presto, lui rispondeva: “Per ogg ma mé um basta; dmèn us vidrà”.
Batzot era un buon credente e ogni sera a casa sua si riunivano le donne della via per recitare il Santo Rosario. Conduceva Batzot con un rosario senza fine perché aggiungeva: “Credo per al Crucifis ad Castel d’Mèz” – In quella chiesetta sul mare, il Crocifisso proteggeva i marinai. Poi: “Credo per il Crucifis dl’uspidèl” – Per i marinai ammalati. Credo, credo. Tanti crocifissi per tante protezioni…
Un giorno Batzot ritorna dalla pesca; si ferma col battello in banchina e pulisce il pesce pescato. A bordo accende il fornello a carbone e comincia a cuocere, in una pentola di terracotta, qualche cosa che a sentire dall’odore deve essere molto gustosa. Una villeggiante che passeggia sul molo si ferma e chiede: “Marinaio cosa state cuocendo di tanto profumato?” – “Un bruvèt ad canocc” – “E’ una ricetta difficile?” – “Nàaa… us còs t’un sbris… in uno sbrisso” (nooo… si cuoce in un istante). Ecco la ricetta telegrafica di Batzot: “Met tal tighem sal fogh: olie, canocc, aj, cunserva, aqua, sèl e pevara, pevara… blò, blò, blò, blò… (bolle)… cot e magna! Più sbris di sé!” (più celere di così!).
L’arte culinaria
A Cattolica intere vie sono formate da casette basse con cucina a pian terreno e finestre che guardano la strada. In queste case le donne, tempo fa, erano impegnate dalle 9 circa in poi a battere sulla “batlèrda sal curtlon” riscaldato sulla brace, un pezzo di lardo e cipolla. Il toc, toc, toc, continuo si spargeva per tutto il paese (che bel ricordo!). Questo lardo soffritto con cipolla e con l’aggiunta di conserva e acqua, era la base di tutti i menù casalinghi di allora (l’inting-le). In una di queste casette la moglie di un marinaio si dà da fare al fornello con il carbone acceso.
Passano due donne forestiere e impiccione, si fermano e dal marciapiedi si affacciano al davanzale della finestra per parlare: “Signora cosa sta cuocendo? Che odorino!” – “L’è roba da poco: ho cot tl’aqua i fasol e ades ci faccio un sufritto cipolla e conserva; lo butto tla pignatta di fasol, li faccio bullire ancora un po’ e l’è tutto pronto per cundire una minestra di bigulotti o di quadritun”. Dice una delle donne per farle un complimento: “Signora lei è molto brava nell’arte culinaria”. La cattolichina si ferma di colpo come avesse ricevuto una mazzata, poi: “Cul in eria ma mé? Cul in eria ma ti… svergugnèda; mé… mé a so una dona seria, mé a pens sno mai mi fiol e mal mi marid!” – “Ma signora cos’ha capito? Parlo dell’arte culinaria!” – “Mé ho capì, ho capì ben! Bèla, pulida la mi sgnora; stè a cul d’insù l’è un’arte?… La si vergogna… Sui fusa al mi om, ui daria lò al su sangin! Cus is cred da es sti sgnur dal ca… Izza fora!”. La donna continua a sbraitare, ma le due bagnanti spaventatissime se la sono date a gambe in tutta fretta.
Bagiabon e la granzevla
Ora parlo di un vecchio marinaio: Bagiabon, uno degli ultimi ad indossare nelle giornate fredde la “Gabèna”, un indumento pesante prettamente marinaro, simile ad un cappotto, ma lungo fino alle caviglie, con maniche ampie ed un cappuccio. La “Gabèna” era di un colore marrone bruciato con fodera piuttosto chiara. Questo cappottone doveva durare una vita, per questo era molto liso e pieno di rattoppi.
Un giorno a Bagiabon che ritorna a casa qualcuno chiede: “Bagiabon, an do t’zé stè?” – “A vengh dal pòrt. L’è mnù in tèra Angiulen d’Macaron. Lù l’è un bon om, ma i vecc marinèr ui rigala sempre un pugn ad muséna. Ogg ma mé u m’ha dè una granzevla, che a vagh a chèsa a cosla: a la but sla brèsa dal furnèl o quela dal camén. Quand l’è cota da una pèrta a la ciap p’na ciata (chela) e ai facc fè una capriola, i sé la scos anche d’là”.
Io credo che questa ricetta sia la più semplice e primordiale che esista: cuocere un crostaceo direttamente sulla brace. Il marinaio sorride socchiudendo due occhi a fessura che non si vedono perché abituati a scrutare l’orizzonte nel riverbero del sole, nelle sferzate di vento e negli spruzzi di mare improvvisi. Due occhi che si aprono appena fra le rughe del viso che la salsedine ha indurito. Questo vecchio marinaio va a casa scomparendo oltre la strada con la sua “Gabèna” logora e la sua grancevola. Tratteniamolo ancora per un istante nei nostri ricordi: ci sentiremo per un poco felici nella semplicità di quel passato e… perduto… per sempre.
Racconto di
Lorenza Morosini