L’INTERVISTA – LA STORIA
– Ho avuto in regalo il volumetto di storia delle nostre terre dal titolo “Don Michele” “Storia dei nostri posti” (Edizioni la Piazza – 2011).
E’ sempre molto gradito il dono di un libro e, nel ripromettermi di leggerlo, l’ho aperto a caso alle pagine 52 – 53 con il paragrafo: “Le origini delle fornaci” ed in queste due paginette, leggo un diario del parroco Don Michele, datato 7 ottobre 1951, che, tra l’altro riporta “…Nel 751 Astolfo, re dei Longobardi, sconfisse i bizantini e occupò le nostre terre, ma per poco tempo, perchè le città della Romagna e delle Marche si rivolsero al Papa Stefano II, il quale intercesse per noi presso il Re Pipino dei Franchi e questi costrinse Astolfo a cedere Romagna e Marche al Papa.
Ha inizio così il potere dei Papi e la nostra sottomissione, libera e voluta, al Papa. …”
Ancora non ho letto le altre pagine, però ho già notato che riportano altri capitoli, con altri periodi storici e non ritornano più su questo scorcio dell’VIII secolo.
Da buon appassionato di storia, non posso esimermi dal fare un’osservazione, che a me preme, sul taglio che il buon Don Michele ha dato, sessant’anni fa.
La realtà infatti è un po’ diversa ed io proverò ad esporla per quel che fu, così come la riportano i trattati storici di vari autori dai quali attingo.
Dopo la morte del papa Zaccaria nel 752, sale al soglio pontificio Stefano II, a cui fanno capo gli avvenimenti decisivi che porteranno in Italia i Franchi.
Il re dei Longobardi Astolfo, succeduto al fratello Rachis, aveva accondisceso a desistere dall’invadere i ducati del Papa firmando una tregua di 40 anni. Pentito aveva poi ripreso le armi, impadronendosi dei beni della Chiesa nel Lazio.
Ormai dominava anche in Ravenna, dopo aver sconfitto l’Esarca Eutichio, passato nelle sue file. Il Papa tentò di fare da intermediario tra l’imperatore bizantino Costantino V ed Astolfo, ma quest’ultimo non lo prese in considerazione.
Allora al Papa venne un’idea geniale, che in verità non aveva nulla di spirituale, ma molto di buon affare. Decise di recarsi personalmente in Francia per convincere “Pipino il breve” (per la sua bassa statura), che diventerà Re dei Franchi, a discendere in Italia, a scacciare i Longobardi ed impossessarsi di tutta la nazione. Il Papa Stefano II arrivò in Francia con tutto il seguito, giungendo alla villa reale di Ponthion, nella Francia nord-orientale, il 6 gennaio dell’anno 754.
Pipino esitava ad esaudire la richiesta del Papa, giacché aveva di che preoccuparsi in casa sua. Occorre dire infatti che Pipino, secondogenito di Carlo Martello, assieme al fratello Carlomanno, aveva messo fuori gioco, nel 741, spossessandolo dei pochi beni che aveva ed imprigionandolo, il fratellastro Griffone di soli 15 anni che morirà poi nel 753.
Inoltre; questo suo fratello maggiore Carlomanno, che sette anni prima, nel 747, preso da fervore religioso si era ritirato in un monastero e fatto monaco (con grande soddisfazione del fratello Pipino a cui veniva lasciata libera la strada per regnare da solo), aveva però lasciato il monastero ed era tornato in Francia vantando la sua parte di domìni.
Pipino però, con tutt’altro che amorevole spirito fraterno, lo aveva fatto arrestare e rinchiudere in un convento nella cittadina di Vienne, a sud di Lione, dove morirà nell’agosto dello stesso anno 754.
Così pure aveva fatto rinchiudere in altri conventi i suoi nipoti, figli dell’infelice fratello, onde stroncare sicuramente ogni velleità di aspirazione alla eventuale successione paterna.
Pipino viveva preoccupato di tutto ciò, con l’opinione pubblica che esprimeva le sue simpatie non per lui, ma per le vittime.
Allora il Papa, per rincuorarlo e premiarlo di questa cristiana benignità verso suo fratello e verso i suoi nipoti, volle consacrarlo personalmente quale re, lanciando poi la scomunica contro chiunque dei Franchi, avessero tentato di spossessare la dinastia Carolingia e nominando inoltre Pipino e i suoi figli quali “Patrizi Romani”.
Ma quale arma aveva il Papa per convincere l’ancora dubbioso Pipino a scendere in Italia contro Astolfo? Aveva in mano un documento: il cosiddetto “Costituto di Costantino”. Era questo un documento falso col quale il Papa Stefano II dimostrava a Pipino che Costantino, circa quattro secoli prima, con un suo decreto, nel trasferire la sua sede dell’Impero a Bisanzio, aveva allora donato al Papa Silvestro I, quindi alla Chiesa di Roma con i suoi successori, non solo il ducato di Roma, ma tutta l’Italia, anzi l’intero Occidente.
Questo documento è un clamoroso falso e per sette secoli fu creduto vero. Anche Dante, pur con dolore manifesto, lo crede vero, (vedasi i versi 115-116-117 del XIX canto dell’Inferno: “Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,/ non la tua conversion, ma quella dote/ che da te prese il primo ricco patre!”).
Lo smascherarono per primi due eminenti uomini di cultura del quattrocento: gli illustri umanisti Niccolò Cusano per primo e poi Lorenzo Valla. Si legga allo scopo quanto scrive Gabriele Pepe ne: “La falsa donazione di Costantino” U.E. Milano 1952.
“La società barbarica, povera di critica, priva di cultura, è tradita da questa Chiesa che per salvare i suoi beni, avendo perduto la fiducia nella salvezza che viene da Dio, nelle forze dello spirito, si affida al falso.
Non è il reato comune che ci interessa, è il documento di una trasformazione radicale del Cristianesimo, che dalle mura del Laterano irradia nel mondo cristiano la rete fittissima di false decretali, nelle quali si impigliano i grossi bocconi della ricchezza e dei privilegi”.
Non si sa chi abbia materialmente forgiato questo falso, se sotto il Papa Stefano II, oppure sotto il suo predecessore Zaccaria.
Questa interessata investitura, che il Papa elargiva a Pipino, serviva anche a donargli una patente di superiore prestigio quale era l’autorità religiosa. Infatti lo aiutava anche nella questione dei Grandi del Regno, verso i quali Pipino spingeva per poter detronizzare Childerico III, superstite dei Merovingi che, lo stesso Pipino e suo fratello Carlomanno, avevano in precedenza legalmente eletto nel 743 e che il 28 luglio del 754 riuscì a deporre e rinchiudere in un monastero.
In cambio il Papa Stefano II, per la Chiesa, che già possedeva tutto il Lazio e la Sicilia quale suo latifondo, mostrando la falsa donazione di Costantino, ottenne la sovranità sui ducati di Benevento e di Spoleto, sull’Istria, su Venezia, su una parte della Corsica, sull’esarcato di Ravenna con tutte le nostre terre e le Marche.
Infatti Pipino, che aveva sconfitto definitivamente Astolfo nel 756, fece regolare cessione scritta di tutte queste terre, al Papa e così il potere pontificio si trasformava da potere di fatto in potere di diritto.
Così, con il falso e con la frode e per un intervento straniero, la Chiesa compiva la sua aspirazione di grande potere temporale, con il proposito di consolidarlo, di ampliarlo e portarlo alla massima espressione su ogni altro potere della terra, così come fece infatti, con tutte le nefaste conseguenze, tra cui, per noi italiani, l’aver causato un ritardo di sei secoli nella formazione dello Stato Unitario, che da quel Duecento di felice memoria dello svevo Federico II, con la precoce formazione culturale che realizzava già una civiltà italiana, ma che non potrà mai costituirsi in Stato, essendo “… la penisola spezzata dalla esistenza fisica dello Stato della Chiesa…” (come ci ricorda Umberto Cerroni nel suo “Le repubbliche perdute” 1997 – Istituto Italiano di Studi Filosofici Napoli ed. Quattroventi).
Ed è nell’avvolgente ed inquietante spazio di questo asse che, fino a quel 20 settembre 1870, la storia d’Italia sarà costretta a girargli attorno (e purtroppo anche dopo).
Quindi non mi posso trovare d’accordo con quanto riassume, in quelle poche righe e con la non veritiera “… nostra sottomissione, libera e voluta al Papa…”, il buon parroco Don Michele Bertozzi da Coriano.
Silvio Di Giovanni