di EVA PANISSA
Il ventennale del Corriere Romagna festeggiato venerdì scorso 20 settembre al Teatro Novelli nell’ambito del Blogfest, manifestazione che riunisce tutto ciò che in Italia gravita intorno al mondo della rete, ha fornito alla città (l’incontro era libero e gratuito) l’occasione per ascoltare le testimonianze di giornalisti di spicco e comunicatori di professione. Sul palco c’erano infatti il direttore de ‘La Stampa’ Mario Calabresi, il suo vice Massimo Gramellini, il direttore del Corriere Romagna Pietro Caricato, il presidente della Cooperativa editoriale Giornali associati Luca Pavarotti, la scrittrice e twitstar Lia Celi. A moderare lo scrittore e giornalista, fondatore del Corriere Romagna, Pietro Caruso. In una sala gremita con diverse persone in piedi e un lieve via vai, ecco che i partecipanti al ‘panel’ hanno dato la loro visione del forte cambiamento portato all’informazione dall’evento internet con aneddoti e scambi di battute intelligenti. Il tema, attuale e carico di pathos, era: ‘informazione e sentimenti nell’era di Facebook’, come e quanto l’avvento dei social network ha condizionato il nostro modo di comunicare, e di vivere le relazioni.
Possiamo dire che questa occasione ha dato qualcosa di buono; dietro ad un quotidiano, ci sono facce e storie, di persone che si impegnano a fare del proprio meglio per garantirci un’informazione libera, globale e locale, nel rispetto delle regole, e soprattutto con la voglia di ‘scrivere per l’altro’, non solo per se stessi, scrivere per il pubblico, per le persone comuni, dando voce al bisogno del lettore, e che la funzione dei giornali sul territorio è proprio quella di essere accanto al cittadino lettore. Un confronto che credo abbia arricchito un po’ tutti i partecipanti, e vi diremo il perché. Pietro Caruso, il primo a prendere parola, dava proprio l’impressione di un ‘veterano’ del giornalismo, una figura diremmo ‘stropicciata’ da una vita spesa per la causa dell’informazione. Ha parlato dell’inizio, il 1993, il periodo forse più incerto e buio del giornalismo, ha ricordato che proprio nell’estate di quell’anno, il suicidio di Raul Gardini è stato il preludio di ‘Tangentopoli’, molti fallirono dove invece lui e il suo staff, un piccolo gruppo di coraggiosi, cominciarono la storia del Corriere, non priva di difficoltà, ma di cui ora è evidentemente orgoglioso, anche della solida collaborazione che da tempo fa de ‘La Stampa’ suo partner ideale. Pietro Caricato, direttore del Corriere Romagna, ha posto agli ospiti la sua domanda: in che modo è più giusto affrontare questo tipo di cambiamento, quando ormai il mestiere del giornalista pare essere sottovalutato, e anche il ‘mestiere’ di lettore ha subito grosse modifiche? Con questa, il dibattito in cui i protagonisti principali, Mario Calabresi, Massimo Gramellini e Lia Celi si è aperto ed ha spaziato dall’archivio gratuito de ‘La Stampa’ dal 1967 ad oggi, fino al chakra del cuore, un sentiero tortuoso che pochi uomini hanno saputo percorrere, e l’infinita voglia di non esser soli. Per aiutarvi a capire, diremo che il direttore de ‘La Stampa’ Mario Calabresi ha reso perfettamente l’idea del cambiamento usando una simpatica similitudine: “definirei questo concetto” dice, “come la dieta informativa: in principio funzionava così, al mattino a colazione c’era la radio, a pranzo il quotidiano, e la sera a cena il telegiornale. Oggi è un eterno happy-hour, si spilucca in continuazione, e il bombardamento informativo è controindicato, sfinisce, e moltiplica le ansie”.
Massimo Gramellini ha una sua opinione di Twitter e di Facebook non proprio rosea: “sottolineano la distanza più che avvicinare, e spesso l’anonimato fa uscire il peggio di sé, specialmente su Twitter, i personaggi noti sono esposti a tutti gli sconosciuti che facendo il bello e il cattivo tempo si riservano il diritto di insultarti in ogni modo se non sono d’accordo con te, e nemmeno approfondiscono le tue motivazioni né provano a capire, per questo Mentana si è chiamato fuori, questi trolls, come li chiamano in gergo, non fanno che postare commenti isterici e destabilizzanti”. Lia Celi, ‘difensore’ del social network, dice qualcosa che ci colpisce particolarmente: “é una bella sfida smontare un troll, una parola giusta, scritta senza astio, una risposta cortese, ed ecco che c’è un modo diverso di prendere la cosa: la gentilezza è rivoluzionaria”. “Dicono” continua Lia “che 140 caratteri siano troppo pochi per esprimersi, ma credo che un buon esercizio per essere più efficaci sia proprio quello della sintesi, una sorta di palestra dell’economia della parola, per aiutare a capire quanto effettivamente essa sia preziosa”.
Mario Calabresi sostiene che su Twitter ci va con moderazione, giusto per vedere cosa succede nel mondo, e che non se ne cura se qualcuno lo insulta, lui cestina e passa oltre, le critiche, se fondate, ne prende atto, e ciò che è gratuito, viene contestualizzato. Non ama Facebook, gli ricorda che la sua prima funzione era quella di ritrovare gli ex compagni di scuola, e qui cita Dado, da Zelig: ‘se ci siam persi di vista, un motivo ci sarà’! “Scelgo io con chi mantenere i miei contatti” precisa. Poi, sottolinea la grande differenza fra molti quotidiani italiani e quelli esteri, “in Italia c’è una forma cronica di nichilismo, siamo avvezzi alla lamentela, ci piangiamo addosso spesso e volentieri, e altrettanto spesso sentiamo dire: basta con questa politica sterile, ma ci siamo chiesti il perché? Perché non riusciamo più ad immaginare un futuro, non vediamo più un briciolo di positività davanti a noi. Perché non c’è più la sana capacità di stupirsi, ecco perché se una notizia non è brutta, non è una notizia. Per contro, i giornali stranieri, oltre a dare le notizie, forniscono l’alternativa: faccio l’esempio dei giornali anglosassoni, se un articolo cita: i bambini italiani sono delle schiappe in matematica, è un dato di fatto, ma poi, a complemento del servizio, aggiungono, ecco cinque modi per fare amare la matematica ai bambini. E’ tutta un’altra cosa. Lia Celi sostiene che ciò che ha creato il web, difficilmente il cartaceo può raggiungere. Mario Calabresi invece è convinto che dietro al giornale c’è una forte percezione della comunità, lo dimostrano le raccolte di fondi che di recente hanno sostenuto il dramma del Corno d’Africa. Massimo Gramellini risponde alla domanda di Pietro Caricato: “cosa ci distingue? Lo stile, la voce, creare qualcosa di diverso, la capacità di sintesi, e soprattutto, io credo che la separazione fra fatti e opinioni sia difficilissima, il resoconto di un fatto è alla fine sempre soggettivo, ognuno ne ha una percezione diversa, e lo racconterà in modo diverso, la freddezza assoluta non esiste, ci vuole la personalità”. Il presidente della Cooperativa editoriale Giornali associati Luca Pavarotti domanda agli ospiti se chiunque può essere giornalista, oggi che si dispone di una pluralità di mezzi tale che ognuno può trovarsi nella situazione di poter dare notizie. Mario Calabresi risponde: “dopo anni di Biscardi sarei propenso a pensarla così” ride. “C’è una sostanziale differenza. Come mi ha insegnato Montanelli, c’è un errore che non devi mai assolutamente fare: annoiare il lettore. Rispettare la gerarchia delle notizie, cioè, Quirico liberato e matrimonio Belen, nel ruolo preciso che devono avere, scegliere di scrivere per una comunità di lettori e non per il potere, dare voce alle persone perché possano sentirsi anche loro protagonisti, niente letture per Principi o salotti”.
Noi possiamo essere d’accordo sul finale emerso: il web e il cartaceo dovrebbero essere complementari, fare un percorso fianco a fianco, senza intralciarsi.
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