di BERNADETTA RANIERI
Un’imponente manovra antimafia sta tenendo in questi giorni con il fiato sospeso alcune regioni d’Italia, a cominciare dall’Emilia Romagna. Ad essere sotto i riflettori la ‘ndrangheta e, più precisamente, il clan Grande Aracri, storico “locale” originario di Cutro (Catanzaro) da anni radicato nella provincia di Reggio Emilia con infiltrazioni in molteplici settori economici ed imprenditoriali, soprattutto nel business dell’edilizia. A coordinare l’inchiesta denominata “Aemilia” è la Procura Distrettuale Antimafia di Bologna che ha ottenuto dal gip un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di centinaia di persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti nei territori di Italia, Austria, Repubblica di San Marino e Germania. Tutti reati commessi con l’aggravante di aver favorito l’attività dell’associazione mafiosa, oltre che di infiltrazione nella ricostruzione post terremoto in Emilia nel 2012. Un’inchiesta di vaste proporzioni che, come ha dichiarato il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, è “senza precedenti. Imponente e decisivo per il contrasto giudiziario alla mafia al nord. Non ricordo a memoria – asserisce Roberti – un intervento di questo tipo per il contrasto a un’organizzazione criminale forte e monolitica e profondamente infiltrata”.
Tra i nomi eccellenti anche quelli di Graziano Delrio, l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, all’epocadei fatti sindaco di Reggio Emilia. Delrio, che non risulta in alcun modo coinvolto nell’inchiesta, è stato sentito dai pm della Dda di Bologna come persona informata sui fatti e, come riferiscono fonti di stampa, perché chiarisse i suoi rapporti con la “vasta comunità calabrese trapiantata nella città emiliana”.
I numeri saltano immediatamente agli occhi: 160 arresti in tutta Italia e 200 indagati. 117 sono gli ordini di arresto in Emilia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Sicilia. Di questi ordini 7 non sono stati eseguiti perché gli indagati risultano irreperibili. Parallelamente anche le procure di Catanzaro e Brescia hanno emesso altri 46 provvedimenti di fermo per gli stessi reati. Imponente anche il numero di militari impiegati in perquisizioni e arresti, compresi l’utilizzo di elicotteri. A finire in manette imprenditori, soprattutto cutresi, ed esponenti della politica locale delle province di Mantova, Reggio Emilia e Modena. Il sindaco di Mantova, Nicola Sodano di Forza Italia, originario del crotonese, è uno degli indagati. A Brescello, nel reggiano, vivono diversi membri del clan Grande Aracri. A Reggio è presente la comunità di cutresi più popolosa d’Italia ed è qui che risultano coinvolte anche 6 talpe tra le forze dell’ordine che informavano i Grande Aracri, oltre all’avvocato Giuseppe Pagliani, consigliere comunale e provinciale di Forza Italia accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. E ancora, il giornalista Marco Gibertini, finito già in carcere nel giugno scorso per un maxi giro di fatture false, e Giuseppe Iaquinta, padre del noto calciatore. Nel modenese, spiccano altri nomi d’eccellenza: Augusto Bianchini, titolare dell’omonima “Bianchini Costruzioni” e Alessandro Bianchini, tecnico del Comune di Finale Emilia. Secondo quanto emerso dall’istruttoria, Bianchini, uno degli imprenditori più impegnati nella ricostruzione nel cratere sismico a cavallo tra il 2012 e 2013, aveva impiegato nei cantieri della Bassa modenese, alcuni dei quali proprio finalizzati alla ricostruzione post-terremoto, parenti di boss legati alla ‘ndrangheta. Mirandola, Finale Emilia, Reggiolo e Concordia sono alcuni dei comuni colpiti dal sisma in cui la Bianchini Costruzioni ha lavorato prima smaltendo i rifiuti e sgomberando le zone, poi costruendo anche le scuole temporanee. Dalle carte dell’inchiesta emerge un possibile utilizzo di amianto e scarti di fabbricazione per i lavori di muratura. Augusto Bianchini è finito in carcere, Alessandro Bianchini è invece ai domiciliari.
Ciò che è emerso finora dagli interrogatori è qualcosa di nuovo per la gestione del malaffare mafioso : la ‘ndrangheta si era diffusa in maniera capillare sul territorio emiliano e Nicolino Grande Aracri, almeno sino al momento del suo arresto avvenuto nel 2013, era ritenuto il punto di riferimento delle cosche calabresi saldamente insediate in Emilia Romagna. I collegamenti tra Emilia Romagna e Calabria erano dunque continui e costanti, soprattutto con gli imprenditori locali, e non si faceva niente senza che Grande Aracri lo sapesse e desse il consenso. In definitiva, l’intenzione era quella di costituire una grande provincia in autonomia rispetto a quella di Reggio Calabria.
Come già detto, l’operazione è denominata “Aemilia”: nome scaturito dall’antica strada romana che collegava Rimini e dunque l’Emilia alla provincia di Milano. Per il momento l’inchiesta sembra non toccare le province di Ferrara, Ravenna, Parma e Rimini dove, invece, in indagini passate si è riscontrata la presenza dei casalesi. Nonostante il non coinvolgimento il sindaco di Rimini, nonché neo presidente della provincia, Andrea Gnassi ha commentato dicendo che “il territorio di Rimini non può guardare con distacco all’inchiesta Aemilia che ha messo ancora una volta in risalto il rischio della permeabilità delle economie locali alle infiltrazioni mafiose, in questo caso della ‘ndrangheta”. Infatti ciò che stupisce più di altri è come la mafia abbia intessuto legami molto stretti con cittadini, imprenditori locali e politici tanto da sembrare una cosa del tutto normale. La preoccupazione è tanta e Gnassi chiede insomma alla cittadinanza un impegno analogo a quello portato avanti in questi anni dal Comune sul fronte della lotta all’illegalità. Comune che “continuerà a investire in iniziative di contrasto e di sensibilizzazione, a partire dallo straordinario lavoro sul problema portato avanti dalle associazioni civiche”.
Contestualmente, Marco Affronte, Europarlamentare riminese del Movimento 5 Stelle, ha presentato un’interrogazione alla Commissione Europea per capire che fine hanno fatto i 563 milioni di euro che l’Unione Europea, attraverso il suo Fondo di Solidarietà, mise a disposizione dell’Emilia-Romagna per la ricostruzione. “Con il Gruppo Regionale M5S facemmo molta pressione attraverso atti ufficiali per seguire il percorso di quei soldi – dichiara Affronte in un comunicato stampa – e ci rallegrammo quando il 12 dicembre 2013 l’Assessore Muzzarelli e il Presidente Errani dissero di aver centrato l’obiettivo di spenderli tutti nella massima trasparenza di rendicontazione. Peccato che quella trasparenza nei fatti non sia mai esistita. Non c’è alcuna rendicontazione puntuale pubblica di dove siano finiti quei soldi, e il sito Openricostruzione.it, tanto sbandierato in quanto a trasparenza, è fermo ad un anno fa”. Insomma, la ‘ndranghera sembra proprio essere andata a nozze con la ricostruzione post terremoto 2012. Vedremo come si evolverà l’inchiesta e se ci saranno altri altarini da scoprire.