Carlo Clericetti
di Carlo Clericetti,
già direttore di Affari & Finanza di Repubblica
Vi preoccupate per la crescita zero del Pil nel terzo trimestre?* Cominciate ad avere gli incubi per la paura che il quarto vada addirittura in negativo? Vuol dire che non conoscete le pregevoli analisi dei tecnici della Commissione europea, quelli che hanno detto che fissare un deficit al 2,4% segna uno scostamento di una gravità “senza precedenti” rispetto alle cifre da loro calcolate per il rientro del debito pubblico. Eggià, perché secondo queste analisi la nostra crescita è già ora troppo veloce, e porterebbe il Pil del 2019 oltre il suo potenziale.
Ricordate che cos’è il Pil potenzale? E’ quello che si otterrebbe se un paese impiegasse al meglio tutti i fattori della produzione, cioè con piena occupazione e pieno utilizzo dei capitali, ma senza provocare pressioni inflazionistiche. Il concetto è stato inventato per un motivo condivisibile. Si concorda cioè che quando un’economia è più debole di quanto potrebbe, per ragioni legate all’andamento della congiuntura, può usare più spazi di bilancio – ossia più spesa pubblica – per rafforzare la crescita. Benissimo, Keynes sarebbe stato d’accordo. Ma come al solito il diavolo si nasconde mei dettagli, che in questo caso sono i metodi con cui questi Pil potenziale si calcola.
Quando si dice “piena occupazione” una persona di normale buon senso capisce che significa che non ci sono disoccupati. Eh, mica è così semplice! Se non ci fossero disoccupati i lavoratori si monterebbero la testa e comincerebbero a chiedere aumenti salariali, e questo genererebbe appunto quelle “pressioni inflazionistiche” che si vogliono a tutti i costi evitare. Così, nella formula del Pil potenziale la piena occupazione non è “piena” affatto: è considerata tale quando ci sono abbastanza disoccupati da dissuadere chi ha la fortuna di lavorare dal chiedere aumenti retributivi. In sigla il famigerato NAWRU (non accelerating wage rate of unemployment, tasso di disoccupazione che non spinge i salari ad aumentare). E’ lampante che si tratti in ogni caso di un numero arbitrario: qualcuno crede davvero che si possa determinare quale sia il numero di disoccupati che frena le rivendicazioni salariali? Per giunta con il metodo della Commissione si va oltre il paradosso, perché il NAWRU è in pratica una media dei disoccupati degli anni precedenti. Così, c’è stato per esempio un anno in cui il tasso di disoccupazione “ottimale” per la Spagna era calcolato al 25% (e non c’è nemmeno bisogno di aggiungere un punto esclamativo). Il nostro per l’anno prossimo sarebbe al 9,9: l’ultimo dato (settembre) era 10,1, ma il mese precedente era 9,7 Insomma, siamo in “piena occupazione”. Come? Non ve ne eravate accorti? Che distratti…
In base a questa stima, e ad altre di analoga solidità scientifica, si ottiene l’output gap, ossia la differenza tra il Pil effettivo e quello potenziale. Se l’output gap va sopra lo zero vuol dire che l’economia si sta surriscaldando, sta correndo troppo. E c’è da scommettere che anche di questo molti non si erano resi conto. Ecco il grafico con le stime della Commissione.
Ci si può chiedere a questo punto se Juncker, Dombrovskis e Moscovici, quando ci intimano di “rispettare le regole”, si rendano conto di quello che dicono. Ma lo direbbero comunque, perché sono i bravi soldatini dell’Europa reale, quella che esiste, non quella sognata da chi invoca “più Europa”. La formula del Pil potenziale è anche una sorta di cartina di tornasole per la tesi di chi pensa che un’altra Europa sia possibile se solo ci si impegna per la sua riforma. Sono quattro anni che l’Italia chiede di rivedere questa formula: mica tutta la struttura dell’Unione, solo questa formula che dà risultati palesemente fuori dal mondo. La risposta è nel grafico qui sopra: quella formula continua ad essere usata e in base ad essa si giudicano i nostri conti.
Uscire dall’euro – o persino dalla Ue – è indubbiamente un rischio talmente alto che si potrebbe pensare di correrlo solo a fronte di un rischio di pari intensità, come sarebbe quello a cui andremmo incontro se fosse approvata la riforma della governance europea secondo le proposte attualmente in discussione. Intanto dobbiamo trovare un modo di convivere con partner europeisti a parole ma nazionalisti nei fatti, cercando di limitare il più possibile i danni che derivano dalla trappola in cui ci siamo cacciati.
* NB: l’articolo è stato pubblicato prima della revisione a -0,1% del Pil del terzo trimestre, cosa che – se possibile – fa aumentare l’assurdità dei conti Ue.