Tratto da lavoce.info
DI ENRICO RETTORE, professore ordinario di Econometria presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Padova
E PAOLO TOSI, ‘ professore associato di fisica sperimentale all’Università di Trento dove dirige il Laboratorio di Fisica Molecolare
L’errata interpretazione dei dati relativi a fenomeni di interesse pubblico dà luogo a opinioni comuni sbagliate. E opinioni sbagliate portano a comportamenti sbagliati e a volte pericolosi. Succede agli scialpinisti, ma anche a chi rifiuta il vaccino.
Sciatori che non si fidano dei bollettini della neve
L’errata interpretazione dei dati relativi a fenomeni di interesse pubblico dà luogo a opinioni comuni sbagliate. Opinioni sbagliate inducono comportamenti sbagliati. Talvolta pericolosi. Per illustrare il problema, prendiamo il caso degli incidenti da valanga, interessante per almeno due motivi: abbiamo a disposizione evidenze solide, decenni di dati; l’errore commesso nell’interpretazione dei dati ha conseguenze potenzialmente drammatiche.
Ogni anno sul versante italiano delle Alpi muoiono svariate decine di scialpinisti, travolti da valanghe che quasi sempre hanno staccato loro stessi. L’Associazione interregionale neve e valanghe (Aineva) pubblica informazioni relative a questi incidenti e periodicamente analizza i dati fornendo statistiche di sintesi. Il dato che emerge sistematicamente dalle analisi è che gran parte degli incidenti avvengono in condizioni di pericolo valanghe medio-basso (la scala europea dell’indice di pericolo va da 1 – basso a 5 – molto alto). In figura 1 è descritto il caso degli incidenti nella stagione 2019-2020, ma la stessa regolarità si osserva a partire da metà anni Ottanta, quando ne è iniziata la rilevazione sistematica.
Il dato suscita, da anni, vivaci discussioni tra gli appassionati perché sembra contraddire l’ovvia intuizione che a maggior indice di pericolo dovrebbe corrispondere un maggior numero di incidenti. L’apparente contraddizione ha dato luogo a una diffusa convinzione tra gli appassionati – sbagliata, come vedremo – secondo la quale l’indice di pericolo, diramato da Aineva durante la stagione invernale ogni due-tre giorni, sarebbe inaffidabile: per cui, meglio non considerarlo e fidarsi del proprio naso.
L’errore di interpretazione sta nel fatto che il semplice confronto tra il numero di incidenti ai vari livelli dell’indice di pericolo non tiene conto di due elementi decisivi:
– nell’arco della stagione invernale sono molto più numerosi i giorni nei quali l’indice di pericolo è al livello 2 e 3 rispetto ai giorni nei quali è al livello 4 e 5;
– nei giorni nei quali l’indice di pericolo è ai livelli medio-bassi ci sono molte più persone in giro per i monti rispetto ai giorni nei quali l’indice di pericolo è alto.
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Se si rapporta il numero di incidenti avvenuti in corrispondenza a un certo livello di pericolo al numero di giorni in cui si è osservato quel livello di pericolo e se si tiene conto del diverso numero di persone in circolazione ai vari livelli di pericolo, si ottiene il grafico in figura 2. Documenta in modo lampante come al livello più elevato del pericolo il rischio di staccare una valanga sia moltopiù elevato: circa 5 volte più alto rispetto al livello intermedio, circa 25 volte più alto rispetto al livello basso.
Figura 2 – Tasso di distacco di una valanga provocata dallo scialpinista al variare dell’indice di pericolo (Provincia autonoma di Trento, 1995-2009)
Fonte: Associazione Interregionale di coordinamento e documentazione
per i problemi inerenti alla neve e alle valanghe
All’origine dell’errore – molto diffuso, purtroppo – c’è la confusione tra due diversi rapporti:
– (numero di incidenti al livello di pericolo x)/(numero totale di incidenti). È il rapporto che si desume dalla figura 1;
– (numero di incidenti al livello di pericolo x)/(numero di giorni/persona esposti al livello di pericolo x).
Il secondo rapporto – e solo il secondo – è quello che interessa allo scialpinista. Risponde alla domanda: se domani faccio una gita al livello di pericolo x, quanto rischio un incidente? Il primo rapporto risponde invece a una domanda irrilevante per lo scialpinista: se capita un incidente, quanto è probabile che sia accaduto al livello di pericolo x?
La confusione tra i due rapporti dà luogo purtroppo a conseguenze potenzialmente molto gravi. Molti scialpinisti ignorano consapevolmente il livello di pericolo diffuso tramite i bollettini nivo-meteo Aineva, convinti che quel livello di pericolo sia inaffidabile. Qualche anno fa l’ufficio statistico della provincia autonoma di Bolzano ha svolto un’indagine sul campo, intervistando nelle prime ore della giornata un campione di scialpinisti, nei luoghi dai quali si accingevano a iniziare la loro gita: il 50 per cento degli intervistati non conosceva il livello di pericolo previsto da Aineva per quel giorno e per la località nella quale si trovavano.
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Il rapporto da seguire sui vaccini
Fosse un errore che riguarda solo la ristretta cerchia degli scialpinisti, si tratterebbe di un problema grave, ma circoscritto. Ma non è così. A qualche mese dall’inizio della campagna di vaccinazione anti-Covid-19, la domanda cruciale per la decisione se vaccinarsi o meno è la seguente: quanto rischio il contagio se mi vaccino? E se non mi vaccino? Alla domanda si risponde calcolando il seguente rapporto:
numero di contagiati vaccinati/numero di vaccinati
e l’analogo rapporto relativo ai non vaccinati (meglio ancora se si tiene conto dei fattori di rischio: età, patologie pregresse e così via). Procedendo in questo modo, si trova che tra i vaccinati la probabilità di contagio è molto inferiore rispetto ai non vaccinati (qui, per esempio, il caso di Israele). Purtroppo, anche nel caso dei vaccini contro il Covid-19 l’errore incombe, e capita di vedere calcolato e commentato il rapporto sbagliato (per esempio):
numero di contagiati vaccinati/numero di contagiati
È lo stesso sbaglio commesso dagli scialpinisti che snobbano l’indice di pericolo Aineva. Questi errori fanno opinione e inducono scelte sbagliate, con conseguenze potenzialmente drammatiche. Per evitare che si diffondano, urge una “campagna 3I”: identificare, isolare, rendere inoffensivi.
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