Un fenomeno non si verifica, e soprattutto non prolifica mai per caso. C’è sempre un motivo. O meglio ancora, degli interessi. Quali sono gli interessi dietro il fenomeno dell’abusivismo commerciale? I numeri parlano chiaro. Sulle spiagge ogni giorno, secondo le più recenti stime, 5-800 persone vendono abbigliamento e accessori con marchi generalmente contraffatti. Un danno enorme e gravissimo in primis per per i commercianti. Ma la questione va ben oltre. Lo sappiamo bene. Acquistare non significa più aiutare il “vu cumprà” di turno. Oggi non è più quasi mai così. I tempi sono cambiati. Il fenomemo è cambiato. A tratteggiarne e definirne i contorni ci ha pensato il consigliere comunale Eraldo Giudici (NCD) che, se volete, usa un incipit davvero provocatorio quanto efficace e innocuo: Abusivismo: una caso al giorno per educarne cento. Ma col passaparola, specifica Giudici.
Ecco la sua “breve analisi”. Quello dell’abusivismo commerciale – scrivi Giudici – assume aspetti diversi a seconda degli attori coinvolti e della loro provenienza etnica. Ci sono i cinesi che sembrano organizzati come uno stato nello stato, impermeabili ai nostri costumi, vocati al fabbricare e a commerciare, di costoro sono recenti i casi luttuosi che testimoniano la gravità di quello che è il vero problema la colonizzazione sleale della nostra società manifatturiera e del nostro tessuto commerciale. C’è la malavita dei casalesi che sarebbero i più radicati nei gangli economici del territorio, che avrebbero capacità legale, professionale, economica per agire indisturbati, un pericolo interno difficile da individuare eppure tremendamente efficiente. Ci sono i bengalesi volto sorridente dell’inciucio camorristico – cinese; non producono ma sono venditori, riuniti da schemi familiari allargati, nelle loro attività sarebbero inquadrati “de minimis”, ma un semplice pallottoliere farebbe capire l’attendibilità dei loro libri contabili.
Dal nord Africa e dal Senegal – continua il consigliere di opposizione – provengono i veri vu cumprà da spiaggia, gestiti da strutture tribali a forte connotazione religiosa, prevalentemente musulmana, sarebbero riforniti da malavitosi italiani e cinesi, la merce partirebbe dal porto di Ravenna o dai canali di Prato, Ancona e Napoli. Accettare la presenza di certi fenomeni, al di là degli aspetti umanitari di singole persone che vanno aiutate secondo le leggi italiane e non secondo le dinamiche imposte dai neo schiavisti arabi, significa una connivenza con la malavita in quanto tale. Se non vogliamo Rimini come Scampia, occorre capirsi sui termini della questione, occorre agire in profondità con tutte le forze e la volontà di affermare principi di bene comune anche con iniziative educative. Occorre ricordare ai nostri turisti, che per la maggior parte provengono da – terre di Lega -, che un po’ di coerenza non guasta, non è che qui a casa nostra, liberi da freni inibitori, possano foraggiare mercati illegali e dinamiche delinquenziali.
Che cosa fare quindi? Occorre – sostiene Giudici – contrastare gli acquisti irregolari, da fissare con fotografie scattate mediante il videofonino, per documentare l’atto dell’acquisto dell’oggetto ‘taroccato’, cristallizzando l’illecito nell’istante in cui viene commesso, e sanzionare tangibilmente, non in modo spropositato rispetto al valore della merce acquistata, 30/100 Euro sarebbero sufficienti. Già accade in alcune città del Nord (Verona la capofila), come a Firenze dove agenti della polizia municipale scattano fotografie con il videofonino per incastrare ‘in diretta’ chi acquista capi contraffatti dai vu’ cumprà, ovverosia per cessioni di merce fiscalmente irregolari. Disincentivare gli acquisti con volantinaggi sul lungomare da parte di agenti in divisa di ronda, nessuna rissa sotto gli ombrelloni, pochi agenti in tenuta da spiaggia con videotelefono e poi, al rientro, se del caso, la doverosa sanzione con prova immediatamente documentabile: la foto – conculde il consigliere – non consente scappatoie.
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