SAN MAURO PASCOLI (FC) – Uno dei periodi storici più controversi messo sotto accusa. Mughini e Mazzuca per l’accusa, Flores e Boato lo difendono (nella foto da sinistra, al centro Gianfranco Miro Gori) . E’ passato un mese dal processo che ha visto la piena assoluzione di uno dei periodi storici più tumultuosi e al contempo affascinanti del nostro passato: il ’68. Per qualcuno un “annus horribilis”, semplicemente da cancellare, per altri un periodo di sogni e speranze di cambiamento. Sede del “Tribunale”, Villa Torlonia, che ogni anno il 10 di agosto ospita uno dei più attesi e frequentati appuntamenti. Il verdetto, emesso da una giuria popolare dopo due ore di grande ed intenso dibattito, non ammette dubbi: il ’68 è stato assolto con formula piena con 244 voti (74 per l’accusa), con tanto di tifo da stadio che mai si era registrato nei processi precedenti.
A sparare per primo contro il ’68 è stato il giornalista Giancarlo Mazzuca, che ha parlato di “ribellione dei figli di papà contro i padri che, sull’onda del benessere economico del secondo dopoguerra, avevano creato ricchezze ed opportunità”. Lapidaria la sua conclusione: “di formidabile quegli anni hanno lasciato solo le macerie. La più grande? Il terrorismo”. Pronto a ribattere lo storico Marcello Flores, che ricorda il ’68 attraverso quattro immagini simbolo: la ‘Marianna del ‘68′ come venne chiamata, una ragazza sulle spalle di un giovane che sventola una bandiera vietnamita durante il maggio a Parigi; i giovani di Praga che circondano i carri armati sovietici; un generale sudvietnamita che giustizia un prigioniero a Saigon sparandogli a bruciapelo un colpo alla tempia; gli atleti americani Tommie Smith e John Carlos che salutano col pugno chiuso in un guanto nero alle Olimpiadi di Città del Messico. “A dimostrazione che il ’68 è stato un fenomeno mondiale, non solo italiano”, conclude. E’ la volta dello scrittore, opinionista e giornalista Giampiero Mughini, uno dei protagonisti di quegli anni e forte accusatore. “Il 68 è stato un grande movimento di energie che si sono avariate e durate troppo, 18 anni per la precisione: dal luglio del 1960 con l’uccisione dell’operaio edile Salvatore Novembre, sino all’uccisione di Aldo Moro. In quegli anni c’era l’illusione che la politica rivestisse un valore assoluto e modellasse la società, salvo poi scoprire che le cose erano più complesse”. A chiudere il dibattito, l’ultimo difensore, il politico Marco Boato: “se gli anni ’70 restano ancora oggi nella memoria per le tragedie della strategia della tensione, dei rigurgiti fascisti e poi degli ‘anni di piombo’, in realtà essi hanno anche determinato la più straordinaria stagione di riforme e di conquista di nuovi diritti civili di tutto il secondo dopoguerra”.
Durante le udienze preliminari (istituite per la prima volta nella storia del processo), sono state interpellate, tra le altre, anche cinque personalità unite tra loro dal fil rouge di avere partecipato, con diverse modalità, ai Processi di San Mauro Pascoli. Anche in questo caso, i pareri sono stati tra i più diversi. C’è chi, come lo storico Roberto Balzani, spara a zero su quel periodo, sostenendo che “gli esiti italiani, rispetto al 68 ‘internazionale, sono stati modesti e i sessantottini, in larga prevalenza, hanno dato vita ad una generazione politica di opportunisti e di trasformisti. L’ennesima, nella storia d’Italia”. Interpellato anche il giornalista Onide Donati che racconta di essere nato nel 1954 e dunque, “al tempo del maggio francese, che sancì la nascita del ‘68, dovevo dare l’esame di terza media e portavo ancora i calzoni corti. Piccolo per capire. Però credo che il ‘68 sia stato un passaggio storico con tante belle luci che qualche inquietante ombra non potrà mai spegnere. Il momento nel quale il figlio dell’operaio poteva diventare dottore, se aveva voglia di studiare. Oggi non è più così”. Sentiti anche gli storici Stefano Pivato e Maurizio Ridolfi, che vedono nel ’68 un mutamento sociale e del costume destinato a cambiare l’Italia. Stefano Pivato, storico dell’Università Urbino, sostiene che “sarebbe limitante giudicare il ’68 solo alla luce di quei pochi mesi che infiammarono la società italiana e in particolare la scuola. Certo, il 68 fu breve ma la sua violenza provocò uno choc nella società italiana e innescò una onda lunga destinata a scuotere la storia della mentalità e del costume. Senza il ’68 non ci sarebbe stato il referendum sul divorzio del 1974 ad esempio”. “Il Sessantotto registrò una delle ondate giovanili che trasformarono con più profondità i costumi e gli stili di vita, tanto sul piano socio-culturale che su quello politico”. A sostenerlo Maurizio Ridolfi, storico dell’Università della Tuscia. “Fu anche l’occasione di un esplosivo protagonismo femminile e l’Italia del benessere dovette fare i conti con le sue contraddizioni. Si aprì la stagione dei diritti civili ma emerse anche l’incapacità della classe politica di corrispondere ai mutamenti della società. E uno dei tratti salienti dell’Italia che il Sessantotto ci ha lasciato in eredita”. C’è infine chi è particolarmente critico come il giornalista Rai Giorgio Tonelli, secondo cui “il 68 è stato un sisma mondiale che, da qualche parte, ha picchiato anche duro. In Italia è stato soprattutto un fenomeno studentesco, cioè di intellettuali in formazione, con un tentativo, non sempre riuscito, di coinvolgimento della classe operaia che, solo per un attimo, ha vissuto illusione di essere in paradiso”.
A processo terminato, Gianfranco Miro Gori, presidente di Sammauroindustria e Presidente del Tribunale di Villa Torlonia, finalmente può esprimere il suo personale parere: “mi sento di dire che il 68 è stato un movimento di liberazione in una società autoritaria e moralista”. Formidabili dunque quegli anni (così stando al verdetto della giuria popolare) o testimoni della peggio gioventù? Ad ognuno la sua conclusione.