di MILENA ZICCHETTI
Se non siete ancora andati a Expo, non preoccupatevi, c’è tempo fino al 31 ottobre, ma sappiate che è assolutamente impossibile vedere tutto in un giorno. Se nei primi mesi ci si poteva permettere di girare tra i vari padiglioni più o meno velocemente, adesso il tutto è molto più complicato. Ora tutti vogliono andarci, all’Expo, anche chi all’inizio lo ha ben snobbato. A partire dai tornelli, soprattutto la mattina, c’è da mettere in conto almeno un’ora di attesa, senza contare poi le file chilometriche un po’ ovunque, non solo per l’ingresso ai singoli padiglioni, ma anche nei ristoranti e nei bazar. Il Cardo e il Decumano. La superficie dell’intera area è di ben 1,1 milioni di metri quadri ed è ispirata alla pianificazione urbana delle antiche città romane. C’è infatti il decumano, lungo 1,5 km per 35 mt di larghezza, che attraversa l’intero sito da est a ovest e che ospita i padiglioni dei vari paesi partecipanti. Questo è attraversato da vie perpendicolari lunghe 350 mt (dette cardo) che ospitano strutture costruite per istituzioni italiane, partners e sponsor vari.
Principali padiglioni. Entrare, visitare ed uscire dai padiglioni può essere davvero affascinante. E’ un po’ come viaggiare nello spazio e nel tempo: un momento si è in Africa, per poi tornare in Europa, passando dall’Asia o dall’America. La scelta su quali padiglioni visitare è del tutto soggettiva, a seconda che si voglia fare un tour logico, scegliendo quindi i principali padiglioni che più hanno rispettato il tema centrale dell’esposizione (“Nutrire il pianeta, energia per la vita”), oppure se quello che ci muove è piuttosto la struttura e quindi un interesse architettonico, oppure ancora culturale o semplicemente la possibilità di visitare (anche se in maniera virtuale) nazioni o continenti altrimenti inaccessibili o troppo lontani. La nostra idea è quella di indicare (in ordine alfabetico e non di preferenza) quei padiglioni che meglio hanno rappresentato il tema di Expo2015, alcuni anche in maniera insolita e interessante.
Partiamo dalla Corea, che propone la sua personale soluzione per nutrire il pianeta: l’hansik, l’alimentazione coreana basata sui concetti di equilibrio, fermentazione e conservazione. Secondo questa pratica, il cibo del futuro si conserva infatti in un vaso (quello che ha ispirato la particolare forma del padiglione) dove segue un naturale processo di fermentazione senza alterare gli equilibri degli alimenti. Uno dei padiglioni più visitati, apprezzati e sorprendenti dal punto di vista architettonico, oltre ad essere particolarmente interessante anche per i contenuti, è quello degli Emirati Arabi Uniti. Già dall’entrata sembra di essere immersi tra le dune del deserto ed è proprio qui che il visitatore viene accolto con domande e risposte sui temi della sostenibilità e delle risorse. All’interno, un personaggio in ologramma, la piccola Sara, attraverso la sua storia, racconta quella del paese e la sua evoluzione. Spostandoci verso la Francia, il visitatore viene accolto da un meraviglioso orto mediterraneo, mentre dal soffitto scendono prodotti tipici francesi e utensili per la cucina. Ai lati, tre maxischermi trasmettono video sul come produrre di più e meglio e cosa dovremmo cambiare nelle nostre abitudini per nutrire meglio il nostro pianeta. Forse uno dei padiglioni più interattivi, quello della Germania, propone in maniera semplice concetti legati alle fonti dell’alimentazione: suolo, acqua, clima e biodiversità. Interessante anche il Giardino delle idee, dove si mostra come ognuno di noi può modificare attivamente il rapporto con la natura. Concetto base dell’intero padiglione del Giappone, è invece l’armonia, necessaria per un futuro migliore. All’interno, proposte e soluzioni per il pianeta, fino ad arrivare al ristorante del futuro con dieci tavoli, sedendosi ai quali è possibile fare un pranzo virtuale con tanto di spiegazioni sulle varie caratteristiche degli alimenti scelti. Israele ha voluto stupire già dall’esterno con un “giardino verticale”, una parete esterna lunga 70mt e alta 12 interamente ricoperta di piante. All’interno, attraverso dei filmati, viene raccontata la storia dell’agricoltura israeliana e le criticità che hanno dovuto superare. L’aspetto architettonico a forma di vele del Kuwait, è invece ispirato al dhow, la tradizionale imbarcazione locale e vuole rappresentare l’importanza dell’acqua e la sfida che il paese ha intrapreso legata all’agricoltura e all’energia. Lungo il percorso verranno illustrate le caratteristiche del territorio e del clima del paese, i risultati di studi e ricerche scientifiche che hanno permesso di creare un habitat ospitale e fertile, fino ad arrivare nell’ultima ala in cui ci si immerge letteralmente nella cultura kuwaitiana. Una delle poche nazioni che non ha dato importanza all’architettura ma piuttosto al tema, è la Svizzera che si è posta invece una domanda ben precisa e visibile sulla torre centrale: “Ce n’è per tutti?”. Un grande magazzino con silos divisi per prodotti: sale, acqua, mele e caffè. Ogni visitatore, a partire dal primo giorno, ha potuto attingere liberamente e gratuitamente a questi alimenti, prelevando le quantità desiderate. Seppur informati delle quantità limitate, il rischio del “chi viene dopo può rimanere a secco” si è manifestato, arrivando in questi ultimi giorni con alcuni container praticamente vuoti! Semplice quanto efficace il ragionamento svizzero per far capire che le risorse sono limitate, non bastano per tutti, per cui quotidianamente dovremmo limitare i nostri consumi per evitare che il pianeta possa rimanere presto senza nutrimento.
Segnaliamo inoltre il Padiglione Zero, ovvero il padiglione dell’ONU. Arrivando in metropolitana o in treno è il primo che si incontra ed è quello con cui ognuno dovrebbe iniziare la visita, perché davvero non c’è introduzione migliore al tema. All’interno, si alternano spazi in cui si ripercorre la storia dell’uomo sul pianeta e il suo rapporto con il cibo, dall’agricoltura all’allevamento, la conservazione degli alimenti, i progressi della tecnica, lo spreco alimentare… Esattamente alla parte opposta del decumano, c’è Slow Food: niente ologrammi, schermi o tecnologia, solo la semplicità delle parole, per spiegare i problemi del nostro Pianeta e le soluzioni che possiamo apportare ogni giorno, partendo dalla vita quotidiana di ciascuno di noi.
Cosa dire di Palazzo Italia (foto grande)? È sicuramente un edificio imponente dove coesistono innovazione, tecnologia e sostenibilità con energia quasi zero grazie al vetro fotovoltaico in copertura e alla proprietà foto catalitiche del nuovo cemento utilizzato per l’involucro esterno. La malta utilizzata inoltre deriva, per l’80%, da materiali di riciclo (in buona parte marmo di Carrara che dona quel bellissimo bianco lucente). Detto questo, il concept interno è davvero molto debole! Dopo un viaggio d’effetto attraverso alcune sale completamente rivestite di specchi (compresi il pavimento e il soffitto) in cui vengono proiettate le immagini più belle del nostro paese, arriva la parte più deludente: il vuoto più totale di contenuti, per arrivare in uno stanzone con un plastico in cui l’unico stato mancante è il nostro e una domanda: “Cosa sarebbe il mondo senza l’Italia?”.
Esperienze culinarie. All’interno dell’Expo, ci sono all’incirca 150 locali: alcuni sono piuttosto cari, ma è possibile mangiare anche con pochi euro, per non parlare dei padiglioni in cui, tra assaggi e degustazioni, si può addirittura mangiare gratis. Sul cosa… c’è l’imbarazzo della scelta. Si può passare dalle cucine esotiche, solitamente più difficili da trovare nelle nostre città, alla cucina tipica europea, da un pranzo stellato ai baracchini dello street food. Per i più tradizionalisti c’è Eataly, dove è possibile trovare il meglio della tradizione regionale italiana. Ricordiamo a tal proposito che l’Emilia Romagna, su sei mesi di esposizione, per due è stata rappresentata da chef riminesi. Il primo è stato Silver Succi del ristorante “Quartopiano” di Rimini, per l’intero mese di agosto con, fra gli altri piatti, la lasagna gratinata al ragù di Mora Romagnola, zucchine, fiori di zucca e tartufo nero estivo e i passatelli asciutti al ragù di pesce con sogliole,vongole, stridoli e pomodoro fresco. A settembre riflettori accesi su Massimiliano Mussoni del ristorante “La Sangiovesa” di Santarcangelo di Romagna con una forte esaltazione delle produzioni della Tenuta Saiano. Tra i piatti non poteva mancare la piada con la cipolla rossa di Acquaviva e la salsiccia, poi ancora la lasagna classica proposta al ristorante e la trippa di Scottona. A chiudere il menù, la ciambella accompagnata da una crema gialla all’uovo. Per chi andrà in questi ultimi giorni, la nostra regione è rappresentata dallo chef del ristorante “Le Ghiaine” di Cervia (RA) con Mamma Mirella al timone.