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Home In primo piano

Pesaro. Ossoinack, quel grande antenato di ‘pesaresi’

Redazione di Redazione
4 Luglio 2020
in In primo piano, Pesaro
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Andrea Ossoinack

 

di Franco Conti*

 

– Parlare di Andrea Ossoinack ci porta a riaprire una ferita mai rimarginata, ci porta a riflettere sulla politica estera italiana del ventesimo secolo. Le conseguenze devastanti per le locali italianissime popolazioni, dovute alla mancata tutela del confine orientale d’Italia: le popolazioni dei territori dell’Istria, Fiume, Dalmazia e Zara.
In questo quadro spicca, alla fine del primo conflitto mondiale la figura del deputato di Fiume presso il Parlamento ungherese: Andrea Ossoinack. Rivendicava per Fiume, da lui rappresentata in quel consesso, il “Principio di nazionalità”, noto anche come il “Principio di autodeterminazione dei popoli”; di fatto la piattaforma comune su cui si erano costituite le democrazie europee. Nel lontano 18 ottobre 1918, in veste di deputato di Fiume, rivendicandone l’italianità, al parlamento di Budapest affermò (in quel periodo Fiume era sotto la sovranità ungherese): “…Si vuole sacrificare Fiume alla Jugoslavia. Di fronte a queste tendenze ritengo mio dovere di protestare qui, in questa eccelsa camera …contro chiunque volesse dare Fiume in mano ai Croati! Perché Fiume non soltanto non fu mai croata ma anzi, al contrario, fu italiana nel passato e italiana deve rimanere anche in avvenire!” così concluse: “…Avendo l’Austria-Ungheria, nelle proposte di pace, fatti suoi dei principii del diritto di autodecisione dei popoli proclamato da Wilson, così Fiume rivendica quale CORPUS SEPARATUM questo medesimo diritto per sé e in conformità pretende in piena misura di esercitare senza nessuna limitazione il diritto di autodecisione dei popoli (protocolli del parlamento ungherese n° 3 e 4 del 18/19-10-1918)” L’on. Ossoinack commentando quel momento, a distanza di anni, confessò che era perfettamente cosciente che da solo osava sfidare l’orgoglio degli Ungheresi in pieno Parlamento, rischiando di finire ben presto impiccato.
Il 30 ottobre 1918, si costituì “Il Consiglio Nazionale Italiano” per reclamare l’annessione di Fiume all’Italia, in contrapposizione al “Consiglio Nazionale Croato” che ne chiedeva l’annessione al regno dei Serbi, Croati e Sloveni. La popolazione fiumana, prima fra le popolazioni sottoposte al dominio austro-ungarico, dopo la dichiarazione dell’on. Ossoinack sull’italianità di Fiume si ribellava, contribuendo in qualche misura, allo sgretolamento della già vacillante monarchia asburgica. Durante le trattative per il Trattato di Pace il presidente americano Wilson si disse favorevole alla creazione di uno stato autonomo fiumano. L’anno successivo Gabriele D’Annunzio a capo dei suoi “legionari” partiti da Ronchi, un paese in provincia di Gorizia occupò militarmente Fiume annettendola al Regno d’Italia. Fu sconfessato dal governo italiano, ma non desistette ed arrivò a creare “La reggenza Italiana del Carnaro” con propria costituzione e governo. Il tutto ebbe termine l’anno successivo, Natale 1920, dopo uno scontro con le truppe italiane. Nello stesso anno il 12 novembre, a Rapallo si era raggiunto un accordo tra Italia ed il regno dei Serbi, Croati e Sloveni dando vita allo “Stato Libero di Fiume”.
Il 24 gennaio 1924 con il primo governo Mussolini si stipulò con la Jugoslavia un trattato, con il quale si riconosceva l’annessione all’Italia. Allo scoppio della 2^ guerra mondiale, Fiume partecipò a fianco dell’Italia agli eventi bellici. L’8 settembre 1943, armistizio proclamato dal generale Badoglio, Fiume venne assoggettata militarmente e amministrativamente all’autorità germanica e considerata dal Terzo Reich “Zona d’operazioni del Litorale Adriatico”.
Il 3 maggio 1945, entrarono in città le truppe jugoslave. Fiume conobbe allora un duro regime dittatoriale di marca comunista, il quale in pochi anni causò non poche vittime nell’ambito della componente etnica italiana provocandone l’esodo pressoché totale della popolazione. Esodo che si trasformò per larghissima parte dei profughi in un salto all’inferno, mal tollerati in Italia, loro patria, confinati in dei veri e propri ghetti a volte senza avere alcun punto di riferimento.
Si preferiva lasciare ogni avere, pur di sfuggire alle persecuzioni degli uomini di Tito, per alcuni aspetti una vera e propria pulizia etnica. Non da dimenticare le atroci esecuzioni e l’infoibamento dei cadaveri a cui aggiungevano, legati l’uno all’altro con filo di ferro, persone vive. Di tutto questo si avevano notizie frammentarie, legate ad azioni di rappresaglia in risposta all’idea mussoliniana di “fascistizzare” l’intero territorio di Lubiana in Slovenia, provocando la ribellione della popolazione.
Episodi di violenza contro le popolazioni autoctone da parte dei fascisti si consumavano in tutta l’area nord-orientale dell’Adriatico. 30 maggio 1942, il Prefetto di Fiume Temistocle Testa firmò un proclama in cui:”…. Si informano le popolazioni dei territori annessi che con provvedimento odierno sono stati internati i componenti delle suddette famiglie, sono state rase al suolo le loro case, confiscati i beni e fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia contro gli atti criminali da parte dei ribelli che turbano le laboriose popolazioni di questi territori…” (Copia del proclama pag.327. -Atlante storico dell’ Adriatico Orientale-).
In particolare la lotta contro i partigiani sloveni scatenò un conflitto particolarmente violento: in nove mesi da fine aprile 1942 a fine gennaio 1943, nella Lubiana furono fucilati 20 gruppi di ostaggi per un totale di 121 appartenenti alla comunità slovena. Delle atrocità delle foibe se ne ebbe cognizione in tutta la sua mostruosa tragedia dopo il dissolvimento della Repubblica Jugoslava. Ma quale fu l’atteggiamento degli italiani i “regnicoli” a proposito degli esuli. Da porre in evidenza il pensiero di Togliatti: sull’Unità, organo del partito comunista di sabato 30 novembre 1946, dichiarò: “Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città, non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori.”
Ed ancora: “Non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già scarsi”. A nulla valsero in quegli anni gli appelli del deputato di Fiume Andrea Ossoinack ai ministri della Repubblica Italiana, denunciando la politica rinunciataria di Degasperi (come lui sosteneva fosse il nome originario di De Gasperi) delle terre Giuliane e di tutto l’Adriatico, enumerando in vari capitoli, le questioni irrisolte a partire dalla situazione giuridica, i beni confiscati, i beni nazionalizzati, beni nella libera disponibilità, ruberie.
A conclusione della denuncia Ossoinack mette in evidenza che a fronte della massa dei beni incamerati dalla Jugoslavia ritenuti indennizzabili in circa 130 miliardi in valuta del 1954, si era giunti ad un indennizzo globale ammontante a 45 miliardi in valuta corrente (novembre 1957). A chi gli chiedeva quale fosse la sua appartenza politica l’on. Ossoinack rispondeva: “Non sono fascista”, la sua collocazione non era caratterizzata dall’essere rappresentante di un partito, ma dal mandato ricevuto dalla sua terra. Continuò ad essere sempre vicino ed attento alle esigenze della “sua” popolazione Fiumana. Dopo aver lasciato la politica si dedicò all’attività di industriale, decise di trasferirsi a Venezia dove fu attivo tra gli esuli giuliani: punto di riferimento imprescindibile per tutti i suoi concittadini. In seguito si trasferì a Merano dove si spense nel 1965 all’età di 89 anni.
Bibliografia: ATTO D’ACCUSA del Deputato di Fiume Andrea OSSOINACK a cura del Centro Studi Adriatici Roma, Vittoriano, Piazza Venezia

*Già professore all’Università Carlo Bo di Urbino

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