Tratto da lavoce.info
DI PAOLO BALDUZZI, ricercatore in Università Cattolica, dove insegna Scienza delle finanze ai corsi diurni e serali, triennali e magistrali.
Con il Decreto Ucraina presentato alla Camera il 18 maggio, il governo Draghi ha posto per la cinquantesima volta la questione di fiducia su una votazione in Parlamento, raggiungendo la media record di 3,33 questioni di fiducia poste al mese.
Cos’è il voto di fiducia e come è regolato
Nella Costituzione italiana, la parola “fiducia” compare tre volte. Tutte le volte, peraltro, all’interno del medesimo articolo, il 94, che disciplina il voto – appunto – di fiducia del parlamento nei confronti del governo e che determina la sua entrata in carica. Non si fa riferimento invece alla “questione di fiducia”, che è invece normata dalla “Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, meglio nota come legge 400/1988 (artt. 2 e 5), nonché dai Regolamenti di Camera (art. 116) e Senato (art. 161). Secondo il regolamento della Camera dei deputati, se il Governo pone la questione di fiducia su un testo (ordine del giorno, mozione, risoluzione, emendamento, articolo, o anche intero progetto di legge se costituito da unico articolo), in caso di voto positivo del parlamento decadono tutti gli emendamenti e il testo è approvato. Sulla questione di fiducia si deve votare per appello nominale, non prima di ventiquattro ore dalla richiesta, salvo diverso accordo fra i gruppi parlamentari. Inoltre, la questione di fiducia non può essere posta su proposte di inchieste parlamentari, modificazioni del Regolamento e relative interpretazioni o richiami, autorizzazioni a procedere e verifica delle elezioni, nomine, fatti personali, sanzioni disciplinari ed in generale su quanto attenga alle condizioni di funzionamento interno della Camera e su tutti quegli argomenti per i quali il Regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio segreto.
Il regolamento del Senato contiene meno dettagli ma la sostanza, naturalmente, resta la stessa. Infine, secondo la legge 400/1988 (art. 2), serve l’assenso preventivo del Consiglio dei Ministri prima che il Presidente del Consiglio, o un ministro delegato, ponga la questione di fiducia dinanzi alle Camere. Curiosamente, anche se dovrebbe essere ovvio, non sono definite le conseguenze di un eventuale voto sfavorevole. In altre parole, non è esplicitamente previsto che a seguito di voto sfavorevole su una questione di fiducia il governo si debba dimettere.
Perché la questione di fiducia è un istituto criticato? Secondo i critici, perché sovrappone la volontà del Governo a quella del Parlamento, attraverso quello che può essere considerato come un ricatto istituzionale: la vita del governo – e possibilmente la continuità della legislatura – vengono legate a questa decisione. Una forzatura che squilibria la tradizionale divisione dei poteri tra i due organi. Cosa invece giustifica il voto di fiducia? Da un lato, la necessità di decidere in tempi brevi; dall’altro, la certezza alle norme approvate. Anche con la decretazione d’urgenza (art. 77 della Costituzione), il Governo può legiferare per motivi di urgenza; tuttavia, il decreto legge così approvato richiede comunque un passaggio parlamentare di conversione – con o senza modificazioni – in legge entro 60 giorni, pena la decadenza dell’efficacia del decreto stesso. Non vi è quindi certezza che le norme approvate dal governo siano mantenute inalterate dal parlamento, a differenza della “questione di fiducia”. Che l’uso o l’abuso della questione di fiducia sia un problema rientra nelle valutazioni politiche: non c’è un organo che certifichi la necessità o meno della richiesta.
Il ricorso alla fiducia negli ultimi venti anni
Chiariti i riferimenti normativi, qual è stato l’uso del ricorso alla questione di fiducia negli ultimi 14 anni? Come illustrato già in un grafico su questo sito, il governo Draghi è quello che più di ogni altro ha fatto ricorso al voto di fiducia (considerando le medie mensili), seguito dal governo Monti, dal governo Conte II e dal governo Gentiloni.
Ci possono essere diverse ragioni che spiegano il fenomeno. Uno è la natura del governo. Sia il governo Draghi sia il governo Monti sono nati in un momento di emergenza nazionale, per affrontare temi specifici e urgenti (la crisi del debito nel 2011; la crisi pandemica e il Pnrr nel 2021). La fretta di dover approvare provvedimenti certi e urgenti potrebbe giustificare il ricorso elevato alla questione di fiducia. Tuttavia, anche il consenso parlamentare su cui si regge il Governo stesso potrebbe giocare un ruolo. La Tabella 1 presenta i voti ottenuti dagli ultimi 8 governi in Parlamento al momento del loro insediamento, nonché il numero di partiti nella coalizione di maggioranza e di quelli all’opposizione.
Senza enfatizzare troppo il risultato, è possibile comunque notare come il ricorso mensile alla questione di fiducia sia piuttosto correlato al supporto del governo in Senato, al supporto del governo alla Camera e, soprattutto, al numero di partiti che sostengono il governo stesso. Questo potrebbe significare che più ampio il sostegno al governo maggiore il numero di richieste e di emendamenti della stessa maggioranza che il governo si troverà ad affrontare: un ammontare di richieste che può essere gestito fino a un certo punto ma che, se considerato eccesivo, potrebbe portare il governo a porre la questione di fiducia.
Che questo processo faccia bene o male alla democrazia è impossibile da dire in termini oggettivi. Vale comunque sempre la regola per cui se il Parlamento ritenesse il Governo troppo autoritario, lo potrà sfiduciare con una mozione apposita.
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